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Il Pd, le banche e l'estetica al potere

di Claudio Ciani - 11/07/2007

     

 

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Quando nel 1944 Guglielmo Giannini fondò a Roma il Fronte dell’Uomo Qualunque, diede vita ad un movimento che intendeva sfiduciare il sistema partitocratico. L’idiosincrasia verso la Politica ed il conseguente stagliarsi all’orizzonte di un’Antipolitica era già stato intravisto da Max Weber, che fonda la sua teoria del mutamento sociale sulla categoria di razionalizzazione, cioè sul fatto che nel mondo occidentale si diffondono sempre più tra gli uomini e nelle istituzioni azioni razionali rispetto allo scopo e, al contrario, si riduce il numero di quegli attori sociali che agiscono in base a un valore. Il processo di razionalizzazione, destino manifesto dell’Occidente, ha però in Weber un corollario, l’attenzione per l’irrazionale, per le “potenze della vita” che compaiono periodicamente nella storia quando la realtà sociale è esangue e dal mondo i valori paiono essersi eclissati. Come non riconoscere in questa analisi “ante litteram” la ragione filosofica di ciò che sta per accadere nel nostro Paese (ed è auspicabile che accada) dove la gente continua a danzare in preda ad una foia orgiastica incapace di abbattere la recrudescenza di un ancien régime mai soppresso da quel fenomeno “eterodiretto” ed indolore che va sotto il nome di “tangentopoli”, la rivoluzione “legale” del 1992. Eppure nel 1789 fu una rivoluzione violenta e non “legale” ed indolore a spazzar via l’ancien régime francese. Il popolo italiano sarà all’altezza di una simile rivoluzione? Ne dubitiamo fortemente.
Si pensi al fatto che alcuni significativi esponenti della classe politica ora al governo in Italia sono strumenti, quand’anche incoscienti, dell’oligarchia bancaria internazionale. Segnatamente: Romano Prodi, Mario Draghi (Governatore della Banca d’Italia), Massimo Tononi (Sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze), Claudio Costamagna (consulente finanziario, grande finanziatore della campagna elettorale di Prodi ed all’origine del progetto Rovati per la Telecom di cui Prodi ha fatto finta di non sapere nulla), sono tutti ex dirigenti della Goldman Sachs, la più grande banca d’affari del pianeta. Mario Draghi ne è stato Vice-Presidente mondiale sino alla sua nomina in Banca d’Italia, Costamagna ne è stato Direttore europeo del settore bancario fino a maggio 2006; quanto a Mister Prodi, egli ne è stato consulente di altissimo livello e nel novembre 1996 un sostituto procuratore di Roma, la Dott.ssa Giuseppa Geremia, aveva acquisito indizi sufficienti per incriminarlo per conflitto d’interesse, mala sua abitazione fu visitata da sconosciuti e la malcapitata fu sbattuta in Sardegna (Ambrose Evans-Pritchard, "Italians claim country run by investment bank", Daily Telegraph, 29 maggio 2007). Abbiamo dimenticato Tommaso Padoa-Schioppa solo per annoverarlo tra gli esponenti più influenti della “Sinarchia Europea”, già membro dal 1998 al 2005 del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea. Ancora, il fantomatico “Partito Democratico” caduto dall’alto come una manna benedicente non è altro che una creazione di quegli stessi ambienti finanziari internazionali ai quali i nostri maggiordomi obbediscono senza domandarsi: che bisogno ce n'è? Dov'è la volontà popolare? Come cambia questo la giustizia sociale? Ora, sulla genesi e le motivazioni che hanno portato alla nascita del sedicente “Partito Democratico” abbiamo una risposta grazie all’EIR Strategic Alert (http://www.eirna.com/italia), che nessun organo di stampa italiano ha mai pubblicato. La nascita del Partito Democratico, scrivono, è stata decisa a Downing Street in una data precisa: 30 gennaio 2001. Allora Rutelli andò a incontrare Toni Blair, che voleva costruire il nuovo partito della "sinistra globale". Rutelli era in lizza contro Berlusconi alle politiche. La Repubblica scrisse chiaro quale fosse il programma: "Blair e Rutelli decisero che il futuro 'partito democratico europeo' avrebbe avuto in Tony Blair 'il motore numero uno, e in Rutelli, se in Italia vince a battaglia (…) il secondo propulsore'". Per quella volta, niente: la volontà popolare non volle saperne di Rutelli. Ma i poteri forti non si danno per vinti per così poco. Nel luglio 2005 Carlo De Benedetti, il padrone di Repubblica, spedisce Rutelli a capo di una delegazione della Margherita, a Washington. Stavolta, l'incontro è coi "nuovi democratici": da Al Gore a Felix Rohatyn, il banchiere della Lazard, gestore del debito pubblico di New York. Ma l'incontro principale, come rivelò «candidamente» un comunicato della Margherita, fu con George Soros: il finanziere da rapina che si atteggia a filosofo della "democrazia", che paga le democrazie arancioni all'Est, e antico compare di De Benedetti nelle speculazioni (Quantum Fund). Naturalmente, da lì è arrivato l'ordine di creare il PD. Completo di programma e di idee. Quali idee? Le esplicò, per chi aveva orecchie per capire, Carlo De Benedetti, tessera numero 1 del nuovo partito: "Ci vuole un mercato del lavoro più flessibile e bisogna intervenire sugli ammortizzatori sociali". Ma lasciamo la parola agli amici dell'EIR: "In una lunga intervista a RAISAT il 15 giugno 2005, il possessore della tessera numero 1 del partito democratico esprime i seguenti concetti: 1. L'Italia come nazione manifatturiera non ha futuro; 2. Dobbiamo abituarci a pensare come consumatori e non più come produttori. Parlando di Enrico Berlinguer, De Benedetti si rammarica che l'allora segretario del PCI 'era ancora convinto che esistesse la classe operaia, e io gli dicevo: guardi, segretario, che la classe operaia non c'è più'. 'L'operaio oggi è un consumatore, un percettore di salario e un pagatore di imposte. Se voi pensate di proteggerlo solo dal punto di vista di percettore di salario quello lo fregate sui consumi e lo fregate sulle imposte'. (...) E subito dopo prosegue: 'La missione d'Italia oggi non è di rivolgersi verso il suo passato strappandosi le vesti, ma è guardare al futuro basandosi su quelli che gli americani chiamerebbero competitive advantages, cioè i vantaggi competitivi rispetto ad altri. E noi ne abbiamo di formidabili, che secondo me vanno sotto la grande etichetta di estetica. Estetica vuol dire mangiar bene, vestirsi bene, arte, cultura, paesaggio, saper vivere. Insomma, è questo il programma del Partito Democratico: l'estetica al potere.