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L'irreversibile tramonto dell'imperialismo americano

di Giancarlo Chetoni - 12/07/2007

Fonte: lettera informazione



Gli analisti indipendenti concordano su una valutazione di fondo: i
dati acquisiti negli ultimi 15 anni e le stime di inarrestabile
decrescita della produzione industriale USA stanno certificando un
collasso di portata storica. 

La fetta di esportazione di beni e servizi degli Stati Uniti, inseriti
anche i dati della produzione in Paesi terzi di imprese e società
multinazionali a prevalente capitale "yankee" in termini assoluti e
relativi è ormai ridotta alla marginalità del totale prodotto e
commerciato a livello planetario. 

Nonostante i tassi di cambio con l'euro siano partiti da 0.80 nel 2001
e si attestino a  1.40 nel 2007, le esportazioni Usa sono inferiori a
quella della sola Germania mentre il debito della Federal Riserve ha
sfiorato nell'anno scorso i 7.600 miliardi di dollari e si avvia a
superare gli 8.200 nel 2007.

Un debito, è bene precisare, che non verrà mai né ammortizzato né
restituito.  

Gli effetti a cascata sul sistema economico e sociale degli Stati
Uniti seguendo un andamento parallelo hanno finito per indebolirne il
secolare braccio egemonico e ridurne al punto più basso la capacità
globale di influenza politica e militare.

Una proiezione di potenza, quella nord-americana, che prende avvio
ufficiale nel 1816 con la dichiarazione del Presidente Jefferson
contro i Barbary States e ha espresso il punto più alto della sua
solidità e della sua espansione finanziaria, industriale e geopolitica
negli anni a cavallo della guerra del Vietnam per imboccare da quel
momento in poi una linea di caduta discendente sempre più  accentuata
a partire dal 1989 con la riunificazione di Berlino. In 191 anni negli
Stati Uniti d' America, dopo il genocidio di 5 milioni di indiani, non
è mutato nemmeno il linguaggio per demonizzare il "nemico".

Ieri Stati barbari oggi Stati canaglia.

Mentre la deterrenza nucleare degli Usa si è mantenuta pressoché
stabile fino ad oggi con punte di eccellenza nel settore spaziale e
missilistico d'attacco basato a terra e su piattaforme navali, quella
convenzionale, con particolare riferimento ai sistemi d'arma, è via,
via precipitata in un pozzo senza fondo di fallimenti, di ritardi
tecnologici e di clamorosi errori di indirizzo strategico.

L'insistenza USA nel produrre velivoli da combattimento quando si
andava ormai delineando il vantaggio decisivo, in termini di costi e
di efficacia bellica, dei sistemi missilistici sui vettori ad ala
fissa, l'aver mantenuto in linea una costosissima forza d'attacco
basata su portaerei nucleari in un momento storico in cui il potere
aereonavale è in rapido declino ha contribuito a ingessare, prima, e a
rendere, poi, sempre meno efficace e sempre più vulnerabile la potenza
militare convenzionale USA.

Non sono stati i soli errori.

Dal Settembre 2001 oltre 75 miliardi all'anno del budget del
Pentagono, con un incremento di spesa valutato in 500-600 milioni di
dollari  ogni 365 giorni, ha imboccato la strada, senza ritorno,
della lotta globale al "terrorismo" e alla neutralizzazione dei
focolai di guerra non convenzionale nel Maghreb, nel Corno d'Africa,
nella fascia sub-sahariana, nella penisola arabica e in Estremo
Oriente mentre l'"assistenza" militare ai paesi islamici moderati e a
Israele si è portata via altri 7-8 miliardi.

Anche se gli stanziamenti Usa per esercito, marina e aviazione hanno
superato i 625 miliardi nell'esercizio 2007, nel 2008 raggiungeranno i
640, pur in presenza di un indebitamento estero, come abbiamo detto,
da capogiro, da catastrofica implosione finanziaria a venire, la
Russia per raffronto non supera i 47 e l'Unione Europea 43, c'è da
dire che gli Usa mantengono in Africa, Medio Oriente, nel Golfo
Persico, in Asia Centrale, Oceania e Estremo Oriente 737 basi
militari, 113 solo in Italia, e in mare una forza aereonavale di 8
portaerei nucleari e 1 convenzionale da 90 a 115.000 tonnellate e 1 in
costruzione, dalla CVN 65 alla CVN 77, tra cui 18 sommergibili SSN e
18 SSBN per un totale di 75 tra  nucleari e convenzionali, uno stuolo
di incrociatori e fregate lanciamissili, corvette e naviglio di difesa
costiero, scorta e appoggio per grossomodo 2.850.000 tonnellate che
salgono a 4.450.000 includendo il tonnellaggio di trasporti e
piattaforme militari.

Ecco un altro po' di dati. 

Nel Rapporto Gelman in "Military troops around the Word, the costs of
permanent War" militari degli Stati Uniti sono presenti in 156 Paesi e
ci sono truppe Usa in basi Usa in 63 Stati di quattro continenti.

Il numero dei civili e dei militari USA allocati in permanenza fuori
dal territorio metropolitano è stimato, anche se fluttuante, in
366.000 unità. 

In Iraq e in Afghanistan gli Usa hanno impegnati in guerra
rispettivamente 175.000 e 25.000 militari con un costo complessivo,
compreso il reintegro del materiale bellico, di 187 miliardi di
dollari per l'esercizio 2006.

Le perdite di personale hanno registrato in questi due Paesi 23.000
caduti e oltre 90.000 feriti.   

La rotazione del personale combattente ha interessato dal 2001 ad oggi
1.250.000 militari USA. Il costo della guerra in Iraq in 5 anni ha
raggiunto i 657 miliardi di dollari.

Il che ha costretto Washington a un massiccio utilizzo della Guardia
Nazionale con una caduta verticale dell'efficienza bellica delle
truppe sul terreno per usura psicologica e da combattimento, con un
mancato avvicendamento fluttuante tra i 6-12-18 mesi.

Inoltre la crescente opposizione dell'opinione pubblica americana alle
guerre dell'Amministrazione Bush si traduce in passaggi legislativi di
rifinanziamento sempre più lunghi e contrastati dalla pubblica
opinione Usa.  

Una nuova decretazione di urgenza della Camera dei Rappresentanti e
del Senato degli Stati Uniti ha aumentato dal 2006 l'età di
arruolamento a 40 anni e l'impiego di prima linea anche per militari
con protesi articolari.

Dalle sedi diplomatiche ai centri studi, dalle basi di ascolto della
NSA ai terminali di influenza della Cia, le installazioni del
Pentagono sono 845.400 e occupano una superficie di 30.000.000 di acri
che con quelle dislocate sul territorio degli Usa occupano
permanentemente terreni per 2.200.000 ettari.

A dispetto di un apparato colossale, dotato di mezzi sofisticati e di
inesauribili budget di spesa, in ritorni di immagine politica e
militare, i risultati raccolti negli ultimi 6 anni dagli Usa a giro
per il mondo sono stati semplicemente disastrosi.

La strategia militare russa costretta a mantenere una deterrenza
nucleare di risposta adeguata e una struttura militare da distribuire
su un territorio immenso come l'ex URSS, a dispetto di un apparato
industriale ed economico storicamente in accentuato ritardo sugli USA,
eccetto che in settori di eccellenza, è riuscita a individuare i
punti deboli del "competitore" e ad elaborare una strategia di difesa
convenzionale infinitamente meno costosa ma molto, molto più mirata ed
efficace.

Con una sconvolgente novità. La Russia esporta verso Paesi amici e
alleati materiale militare d'avanguardia che nell'impiego bellico gli
Usa non sono in grado di contrastare. La lista va dai missili
aria-aria R 77 a quelli antinave SSN 22 passando per i terra terra
Iskander E-M. Occorerebbe un trattato solo per dare un'idea molto
approssimativa del resto.

La Russia fuori dai confini nazionali mantiene in Ucraina, Georgia,
Abkazia, Cecenia Centro Asia non più di 15.000-17.000 militari
comprese le unità antiterrorismo.

Dopo il ritiro dall'Afghanistan e dai territori dell'Europa dell'Est,
abbandonata la sua presenza nel Mediterraneo e allentati i suoi legami
politici e militari in Africa e Medio Oriente, ristrutturate le sue
forze armate con un piano di dismissioni di portata storica, a partire
dall'anno 2000 è riuscita a concentrare nell'industria militare
crescenti risorse finanziarie attivando avanzati settori di ricerca di
tecnologica applicata nella nicchia della difesa missilistica, aerea e
terrestre.

La Russia è uscita dal XX° secolo dimagrita ma tutto sommato molto più
muscolosa e reattiva.

La dismissione del ciclopico armamentario da Guerra Fredda ha prodotto
in 15 anni un graduale passaggio delle forze armate di Mosca dalla
rottamazione dell'inservibile alla immissione di alta tecnologia nel
suo sistema militare integrato. Il Cremlino peraltro è riuscito ad
ottenere un significativo miglioramento nell'addestramento e nella
flessibilità di impiego del personale della ex Armata Rossa.

La dieta post comunismo se ha lasciato pressoché intatta la sua
deterrenza nucleare col ridispiegamento dei vettori sul territorio
russo o l'immagazzinamento delle testate in uscita dai Paesi ex
Satelliti, liquidati i costi abnormi dell'inutile e dell'ormai
superfluo apparato militare dopo il crollo della cortina di ferro,
superato il pauroso sbandamento seguito alla gestione
Gorbaciov-Eltsin, l'arrivo al Cremlino di Putin ha imposto alle forze
armate convenzionali russe una salutare ristrutturazione in termini di
qualità e di efficienza dopo averle agganciate a un industria di
ricerca e produzione militare rinvigorita dai crescenti profitti che
la Russia ricava dall'estrazione e dalla comercializzazione sul
mercato internazionale delle sue riserve energetiche.

Abbandonata la pratica Krusciov-Brezniev della cessione di metano, di
petrolio, di materie prime, semilavorati, macchinari agricoli e
industriali a prezzo politico ai Paesi dell'Est, la Russia oltre a
liberarsi del peso storico degli "aiuti fraterni" che hanno ritardato
la crescita della sua economia e del suo sviluppo sociale, ha
mantenuto un rapporto di amicizia e di collaborazione con molti Stati
del suo ex impero facilitata dall'unilateralismo e dall'aggressività
delle guerre permanenti e le tensioni regionali scatenate dagli Usa a
partire dal 1991 al 2003 in Medio Oriente, Golfo Persico e Asia Centrale.

La Russia attivando un commercio di tecnologia militare d'avanguardia
con 14 nuovi Paesi, fornendo eclusivamente sistemi d'arma di difesa,
rispettando per altro tutti i parametri internazionali per
l'esportazione legale a Iran, Siria, Algeria, India, Cina, Arabia
Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bielorusssia, Venezuela,
Brasile, Argentina, Indonesia, Vietnam e Paesi del Patto di Shangai,
ha messo a segno fra l'altro fruttuose joint venture con Teheran,
Pechino e Delhi.

Partenariati che puntano, con un trasferimento di sofisticate
tecnologie, ad assicurare con la multilateralità il contenimento della
aggressività militare degli Usa e della Nato. 

In campo economico, del trasferimento energetico e nucleare la Russia
ha seguito un analogo indirizzo strategico moltiplicando con le
opportunità di interscambio il volume della sua produzione industriale
e il braccio della sua influenza politica come potenza continentale
sostenitrice del "multilateralismo". Condizione che l'attrezza sul
quadrante del XXI° secolo e sulla sena internazionale come stato-guida
dei Paesi Non Allineati. Con una considerazione finale amara: la
vecchia  Europa ieri come la nuova Europa oggi, ristretta o allargata,
continua a recitare nei passaggi della storia del mondo la parte del
fantasma in catene.