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L'etica hacker e lo spirito dell'età dell'informazione

di Marco Managò - 12/07/2007

 



Il volume pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli Editore, opera del professore universitario Pekka Himanen, è un interessantissimo saggio riguardo le prospettive, negative, della new economy e delle possibili ancore di salvezza.
La prima doverosa precisazione è quella relativa alla figura dell’hacker, esperto di informatica e di software, oggigiorno colpevolmente assimilato al predatore tecnologico o al realizzatore di virus per computer. In realtà quest’ultima negativa figura è chiamata più precisamente cracker, mentre l’hacker ha tutt’altro spirito: in sostanza quello di rendere fruibile, a una moltitudine estesa, l’accesso alle informazioni e ai programmi informatici. E’ proprio il possesso delle informazioni a determinare le oligarchie del potere e le concentrazioni economiche. Non è un mistero l’alacre attività imprenditoriale rivolta al dominio di marchi e brevetti, di sfruttamenti esclusivi e di accordi di non diffusione.
Il fatto nuovo introdotto dalla mentalità hacker è quello di lavorare ed esplorare, guidati dall’entusiasmo e dalla passione per la propria attività; un’applicazione meritoria che ha permesso lo sviluppo di software diffusi in tutto il mondo e frutto dell’iniziativa individuale anziché di quella governativa o aziendale.
Torvalds, creatore del diffuso sistema operativo Linux, individua il progresso umano da una fase iniziale di sopravvivenza a una intermedia di vita sociale, sino all’ultimo stadio di sublimazione, quello dell’intrattenimento, dell’adoperarsi in modo creativo, indipendentemente dalla relazione/equazione col dio denaro. E tale mentalità è alla base di Linux, aperto a tutti, al quale ognuno può collaborare positivamente.
Resta inteso che tale mentalità hacker, intrisa di giocosità, passione e inventiva, sia un paradigma riscontrabile in altre attività umane, soprattutto di stampo artigianale. Si tratta di focalizzare il principio di un’etica lavorativa da contrapporre, decisamente, a quella che Weber definiva “etica protestante” in un suo famoso saggio (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo); al lavoro, cioè, inteso come dovere esclusivo dell’esistenza, fine ultimo, teso alla valorizzazione della propria forza-lavoro o persino solo del suo possesso materiale (come capitale).
Il concetto enunciato dal predicatore protestante Baxter espresse la dedizione completa al lavoro anziché alla preghiera, in quanto solo con l’applicazione continua si sarebbe soddisfatto il desiderio divino.
Precursore di tale dottrina fu certamente l’ordine monastico (e la severa regola benedettina), improntato alla stessa sottomissione dell’individuo al mito del lavoro.
Himanen spiega come la funzione protestante sia stata quella di esportare la dottrina dell’esasperazione lavorativa, dai monasteri all’esterno, nel pieno della società e avverte di come ormai essa abbia permeato il capitalismo attuale, tanto da perdere l’iniziale connotazione religiosa per acquisire caratteri di universalità, a tutte le latitudini e per ogni fascia sociale.
La pressione, volta alla mitizzazione del lavoro, conduce alla continua ottimizzazione delle variabili, dai costi, al personale, ai tempi. La concorrenza esacerbata, gli eventuali mutamenti dell’ambiente e del mercato, spingono le aziende a un continuo e vorticoso movimento di capitali, come se l’immobilismo fosse gravoso, forse ancor più della lentezza.
Himanen scrive << Non si deve permettere al capitale di stagnare nei magazzini o in personale in eccedenza... >> Prosegue << ... ciò significa che nella nuova economia i veri datori di lavoro non sono le imprese di per sé ma i progetti tra di esse o all’interno di esse. >>
A fronteggiare tali calamità aziendali contribuisce la cosiddetta reingegnerizzazione delle procedure (?!).
Le conseguenze dell’applicazione amplificata dell’etica protestante si riflettono anche nell’orario di svago, ove il tempo libero si mostra deficitario di un rigoroso controllo o di una corretta pianificazione, quasi uno specchio del tempo lavorativo.
In famiglia si deroga la genitorialità ad altre figure e, moderno status symbol, si prospetta e si vanta al prossimo la mancanza di tempo libero per... impegni inderogabili.
Il comune lavoratore, divorato dal desiderio consumistico e bisognoso della gratificazione “spendereccia”, alimenta i ritmi della grande distribuzione, sostenendo la necessità dell’apertura continua degli esercizi commerciali e della conseguente facoltà di poter sempre acquistare.
<< La cultura della supervisione dell’orario di lavoro considera gli adulti come persone troppo immature per essere responsabili delle proprie vite. Presuppone che in qualsiasi impresa o agenzia governativa esistano soltanto poche persone che siano sufficientemente mature... >> Questa la puntuale precisazione di Himanen.
L’hacker vive in una personale gestione del tempo dalla quale riceve giusta valorizzazione e, gratificando la figura lavorativa, ne fa un essere legato al valore del denaro in quanto necessario ma non unico obiettivo vitale. Un istinto di sopravvivenza sublimato nella ricerca delle funzioni sociali e del piacere dell’azione; diverso da chi, scippato dal riconoscimento sociale, si proietta verso l’esclusiva lotta per la permanenza vitale.
La novità dell’etica hacker si rispecchia nell’introduzione di modifiche sostanziali alla concezione capitalistica della network society, per arrivare alla cosiddetta “impresa open-source” attraverso “software aperti”. La condivisione delle informazioni, legata una concezione di libero accesso, non significa necessariamente la gratuità della stessa bensì una sorta di democratico utilizzo. Qualcuno ha addirittura parlato di una componente comunista nel pensiero hacker, anche se le assenze di centralismo e di materialismo sembrano far desistere da tale supposizione.
L’umiltà nel procedere attraverso lo scambio di informazioni e la richiesta di aiuto reciproco su tematiche meno conosciute, sono la base su cui si sono formati i più noti hacker, dal già citato Torvalds, a un certo Bill Gates, poi rivoltosi a una gestione capitalistica classica.
Ciò dimostra il reale collegamento tra il singolo studente appassionato di computer e il programmatore professionista, un rapporto alimentato da continuo scambio di informazioni e consigli.
L’autore si sofferma anche sul delicato rapporto tra gli hacker e la network society, quello che in breve viene definito “netica”, a partire dal crescente spazio assegnato alla Rete. Le opportunità offerte dal nuovo mezzo sono quasi infinite e, per giunta, in parte sfuggevoli ai poderosi controlli governativi che paralizzano la reale informazione mondiale.
Ogni sforzo degli hacker è diretto a minare l’uso perverso della Rete, a limitare la violazione della privacy e del cyberspazio.
A tal proposito Himanen scrive << Gli hacker socialmente consapevoli sottolineano il fatto che la tecnologia di crittazione non deve soltanto soddisfare i bisogni di segretezza dei governi e delle attività commerciali ma anche proteggere gli stessi individui dai governi e dalle attività commerciali. >> Aggiunge << La Rete può essere un medium per la libertà di parola, ma anche trasformarsi in un medium di sorveglianza. >>
Non è un mistero il controllo effettuato sulle e-mail inviate e ricevute, sugli indirizzi frequentati dagli utilizzatori della Rete; una sorveglianza esercitata, a volte, anche dall’azienda datrice di lavoro.
Il marketing aziendale è rivolto all’individuazione dei gusti del consumatore, attraverso le tracce che lascia nella navigazione informatica e, per questo, soggetto a campagne pubblicitarie mirate. L’autore spiega come tutte le nostre azioni e i nostri commenti siano, alfine, registrati e utilizzati per minare le difese, per essere rispolverate, a esempio, in caso di colloqui di lavoro.
Il biasimo della comunità hacker per tale violazione della libertà individuale è fermo e assoluto.
Da notare quanto il capitalismo sfrenato, forzando i ritmi lavorativi, abbia fiaccato la resistenza del consumatore, inducendolo a entità passiva durante le ore del tempo libero e più soggetto al “bombardamento” mediatico.
Nell’epoca dell’affermazione dell’economia globalizzata, si sradicano le tradizioni locali, col conseguente adeguamento aziendale, e si rende sempre più flessibile l’attività lavorativa del singolo, lasciato a se stesso, all’iniziativa individuale, tanto da non poter parlare più di management del personale bensì di management personale.
Versatilità imprenditoriale e innovazione tecnologica spingono il singolo verso una programmazione continua.
Siamo giunti a un limite alto dello sfruttamento intensivo e dell’esasperazione della flessibilità di uomini, mezzi e capitali, al punto da chiederci se barriera esiste a sancire il confine con l’etica e se tale limite sia stato oltrepassato fino a ridursi al solo istinto di sopravvivenza.
Nuova speranza, ancora una volta, dalle comunità hacker, che puntando sull’azione “inclusiva” si prodigano in un “volontariato” per la diffusione dell’informatica e organizzano varie manifestazioni, tra le quali spicca il NetDay, un primo maggio nuovo, tecnologico, per il profondo mutamento; non per quelle parziali e micro-innovazioni che un sistema mette in atto per evitare qualsiasi periglioso fermento di instabilità sociale.
Himanen conclude con una interessante riflessione << … in quasi tutto il mondo si sta verificando un processo di decentralizzazione politica, con lo spostamento di risorse dai governi nazionali a quelli regionali e locali, e perfino a organizzazioni non governative, in uno sforzo concertato di ricostruire una legittimazione e di accrescere la flessibilità nella condotta degli affari pubblici.
Queste tendenze simultanee verso la sovranazionalità da una parte e verso il localismo dall’altra spingono in direzione di una nuova forma di stato, lo stato-network, che pare essere la forma istituzionale più elastica per sopravvivere alla tempeste della network society. >>
Complimenti a Himanen per aver sviscerato alcuni aspetti dell’attuale capitalismo e per aver individuato in un’altra mentalità, in un’altra visione della società, la possibile alternativa alla mitizzazione del lavoro e della sua assoluta prevalenza nella vita di ognuno di noi.