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Schiavi del supermercato

di Eduardo Zarelli - 28/07/2007

Monica Di Bari, Saverio Pipitone

Schiavi del supermercato.

La grande distribuzione organizzata e le alternative concrete

Arianna Editrice

Pp 96

Euro 10,50

2007

 

Schiavi del Supermercato è un’esplorazione tra reparti e scaffali della grande distribuzione organizzata, in particolare è sotto osservazione lo Shopville di Casalecchio di Reno a Bologna, dove il carrello della spesa è colmo di alimenti, elettrodomestici, computer, televisori, telefonini, tende da campeggio, mobili, libri, cd musicali, articoli sportivi, abbigliamento, farmaci, carburanti e tutto quello che rientra nel largo consumo. La caratteristica dello Shopville consiste nel superamento del vecchio modello “tutto sotto lo stesso tetto” verso una nuova logica di “tutto sotto lo stesso cielo”, in quanto supermercato, negozi, cinema multisala, ristoranti, pub, palestra sono situati vicino all’autostrada, stazione ferroviaria, residence, e a due passi da Carrefour, Ikea, Castorama, Comet: il classico centro commerciale si evolve in distretto commerciale. Queste nuove realtà riempiono l’Italia. E non solo. A Vienna, una muraglia di insegne distributive s’affaccia sull’autostrada formando un quartiere commerciale. In Slovacchia, le scritte della propaganda comunista sono state sostituite da giganteschi cartelloni che indirizzano a queste cittadelle del consumo. Nel libro c'è una vignetta in cui è disegnato un centro commerciale con una inevitabile rotonda senza via di uscita perché tutte le frecce indicano una sola direzione: il consumo fast, easy e low cost. Una breve descrizione della storia e del pensiero di Coop, Carrefour, Auchan, Esselunga, Lidl, Ikea, Mediaworld e McDonalds per schiacciare l’attesa della più grande catena di distribuzione del mondo: la statunitense Wal-Mart. In Italia, al momento, si contano circa 840 centri commerciali e almeno 56 in corso di realizzazione o in fase di avvio nei prossimi cinque anni, con una forte concentrazione al centro e al sud. La grande distribuzione organizzata incanta continuamente il consumatore per indurlo ad acquistare sempre di più: carte fedeltà, sconti, premi, raccolte punti, carrelli più grandi, pubblicità, prezzi competitivi e percorsi prestabiliti. Inoltre, con il sistema del self-service, dal montaggio del mobile ai lettori salvatempo per la spesa, il consumatore diventa un lavoratore non retribuito e produttore di  plusvalore per l’azienda. Lo controllano con telecamere onnipresenti che non servono solo a individuare i ladruncoli, ma soprattutto ad analizzare i suoi movimenti, scelte e comportamenti. Di sicuro, ci aspetta un futuro fatto di totalizzanti tecniche di controllo e fidelizzazione. Ad esempio, Wal-Mart ha munito il suo impero di un proprio sistema bancario per i rapporti con i fornitori; Coop dispone di sportelli per prestiti e risparmio. Banca, petrolio e farmaci sono i nuovi orizzonti della distribuzione organizzata. In Italia,  le liberalizzazioni “Bersani” agevolano  queste tendenze che apparentemente avvantaggiano il consumatore, ma è ovvio che dietro ci sono dei gruppi di potere. Nei Manoscritti economico-filosofici, Karl Marx scriveva: «ogni uomo s’ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica». Lo slogan «lavora, consuma, crepa» si adatta perfettamente alla situazione di un consumatore che acquista beni indotti e di scarsa utilità provenienti da Paesi, distanti migliaia di chilometri, come la Cina comunista che paradossalmente è diventata la “classe operaia” dell’opulento Occidente. Tutti gli Stati delle economie industrializzate spendono continuamente denaro per costruire infrastrutture, reti di comunicazioni, autostrade, aeroporti, porti, treni ad alta velocità, con il solo obiettivo di un’economia centralizzata, organizzata e multinazionale. Il principio è il vantaggio comparato, in altre parole è utile e nell’interesse di un paese specializzare la produzione per l’esportazione invece di promuovere una produzione diversificata per il bisogno locale. L’ecologista Steven Gorelick afferma e si domanda «un negozio di frutta e verdura a conduzione familiare è senza dubbio una piccola attività, ma se i prodotti in vendita provengono da una dozzina di paesi diversi, se sono stati prodotti da aziende agricole che operano su scala industriale e se sono distribuiti attraverso una rete di trasporti internazionali, è davvero una piccola attività o piuttosto un piccolo tassello di un enorme sistema su scala globale?». Acquistare e consumare produzioni locali significa una salute migliore, meno spreco di imballi, aumento della diversità biologica, ripresa della vita rurale, il denaro rimane nella comunità locale, ecc... Nel mondo sorgono molte iniziative orientate verso il consumo locale, regionale e basate sul coinvolgimento della comunità: dall’agricoltura biologica ai mercati gestiti dai contadini; dalla valorizzazione del cibo locale ai gruppi di acquisto solidale; dal risparmio energetico a comportamenti socialmente responsabili nella finanza fino alle proteste contro le grandi opere. Dalle teorie di decrescita economica alle pratiche della semplicità volontaria: due movimenti che si incontrano per trovare alternative concrete alla complessità obbligata della società dei consumi, in esponenziale crescita a tutto svantaggio dell’ambiente e dell’essere umano. Per Serge Latouche «organizzare la decrescita significa rinunciare all’immaginario economico, cioè alla credenza che “di più” significhi “meglio”. La riscoperta della vera ricchezza nella pienezza delle relazioni sociali conviviali in un mondo sano può realizzarsi con serenità nella frugalità, nella sobrietà e addirittura in una certa austerità nei consumi materiali». Alain de Benoist considera «errato immaginare la decrescita come un appello a un ritorno al passato o a una brutale degradazione del livello di vita. Si tratta di cominciare a far decrescere l’idea che lo sviluppo degli scambi mercantili sia una legge naturale della vita». È necessario limitare i consumi recuperando il valore d’uso degli oggetti. «Riacquistare un senso del luogo, – afferma Helena Norberg-Hodge – osservare con attenzione e partecipare l’ambiente che ci circonda: capire l’origine di quello che mangiamo, imparare a riconoscere i cicli stagionali, le piante, gli animali. Si deve riscoprire il senso della comunità e ricostruire un legame con il luogo nel quale si vive». 

 

 

 

Augé Marc, Non Luoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano 1993

 

De Benoist Alain, Comunità e Decrescita. Critica della ragione mercantile, Arianna Editrice, Casalecchio 2006

 

Gorelick Steven, Piccolo è bello Grande è sovvenzionato, Arianna Editrice, Casalecchio 2005

 

Latouche Serge, Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell’immaginario economico alla costruzione di una società alternativa, Bollati Boringhieri, Torino 2005