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Oltre la città: la polis

di Nicola Piro - 13/12/2005

Fonte: rinascita.info

È nostro intendimento la conduzione di un dibattito non specialistico, accessibile, cioè, soltanto ad esperti di urbanistica o di scienze politiche, bensì aprire la città ad un interesse più specifico e di facile comprensione, samplice ma non riduttivo, altrimenti coinvolgente ed emozionale in quanto stimolante e partecipativo. La città dovrebbe essere quel luogo dove si realizza e costruisce la vita associata, si intessono relazioni, si pratica quotidianamente l’esercizio della tolleranza, si sviluppa ed esalta la cooperazione tra soggetti differenti. Differenze che dall’urbanistica moderna non di rado sono state fraintese come minaccia, pericolo, ostacoli alla comunicazione, mai come momento di sublimazione dei rapporti umani, come stimolo reciproco. Per questo, spesso, negli ambiti urbani sono state elevate barriere, spazi neutralizzanti e inespressivi che escludessero la minaccia conseguente al contatto sociale, come: facciate riflettenti, autostrade che separano i quertieri poveri dal resto della città, agglomerati urbani dormitori.
La città, in verità, dovrebbe essere una scuola nella quale imparare i modi di condurre una vita centrata, cioè armonicamente equilibrata, sensibile alla rinuncia nel segno dell’interesse comune in guisa che le differenze tra individui vengano percepite come arricchimento spirituale e non come allettamento sentimentale. È l’opera di Agostino Aurelio, De civitate dei, che per la prima volta crea il fondamento teologico di una città le cui forme e la cui architettura offrono in definitiva un domicilio allo spirito inquieto dell’uomo cristiano il quale, seguendo le indicazioni dei suoi occhi, scopre Dio (Romano Guardini). Sì, poiché per Agostino Aurelio, così come per Platone, l’occhio è l’organo della coscienza, della consapevolezza di essere uomini fra tanti uomini. Il termine greco theoria non significa altro che contemplazione, visione mistica o – nel senso moderno che associa sensazione fisica e luce – illuminazione, conoscenza del vero per opera della grazia.
Diversamente da Platone, però, Agostino Aurelio indicò la necessità di ponderare e verificare le esperienze della vita quotidiana con il nuovo, donde la funzione della strada come palcoscenico della vita nel quale è facile incontrare mendicanti, turisti, studenti, bambini intenti a giocare, anziani intenti a riposare. Insomma un panoptikum, un universo di differenze umane.
A che cosa avranno pensato i fondatori della città di Napoli provenienti da Rodi, allorché nell’8. secolo a.C. si insediarono nella costa tirrenica per costruirvi non un centro di vita sociale più o meno grande, ma una polis, una struttura politica caratterizzata dalla partecipazione dei cittadini al governo della città? Napoli, nea-polis; dunque, nuova città, dopo essere stata fondata come Parthenope, a ricordo dell’omonima sirena che lì fu sepolta. Dal punto di vista semantico nella storia della cultura occidentale il termine greco polis e l’altro latino ciuitas (civitas), valgono come espressioni equivalenti che indicano la totalità dei cittadini in un determinato luogo.
Nell’era preistorica, inoltre, la polis indica anche la fortezza, la cittadella (o difesa, baluardo); significato che viene adottato, come riferisce Tucidide, dagli ateniesi per definire la loro akropolis (da akros, elevato, e polis, città). Ma il vero, l’autentico significato che il termine polis esprime a partire dall’epoca classica della Grecia non è quello che si riferisce alla sua estensione spaziale (il termine latino urbs corrisponde al termine greco astu), bensì la comunità di uomini che, per libera scelta (aspetto sostanziale ! ), si sono stabiliti in un luogo per vivere insieme o – come dice Aristotele – per vivere meglio (eu zen). Ecco, allora, per noi il punto di partenza di quello che oggi la dottrina urbanistica, intesa come la somma dei principi teorici fondamentali e organicamente sistemati sui quali si fonda la città , definisce come recupero urbano o presa del senso di città (recuperare, parola composta di re e capere, prendere).
All’inizio della sua Politika (presumibilmente scritta tra il 345 e 325 a.C.), la Scienza dello Stato che assieme all’Etica - disciplina filosofica, êthikês theôrias, che scientificamente si occupa delle abitudini, costumi e usi (êthos) – va a costituire la filosofia pratica sulla quale si fonda il principio di quella antropologia politica secondo il quale, per natura, l’uomo è una essenza politica (zoon politikon) – Aristotele spiega come ogni comunità (famiglia, stirpe, villaggio, ecc.) si costituisca in vista di un bene particolare , valido anche nel caso della polis., la quale, in quanto comunità politica, assimila tutte le altre e, pertanto, aspira al piú nobile di tutti i beni: la convivenza pacifica (Politika, I, 1, 1252 a 5-7).
I punti di vista che si riferiscono agli insiedamenti geografici, al numero degli abitanti o alla composizione demografica, sono in alcun modo del tutto irrilevanti per la definizione della polis. Per i Greci, la qualità dei cittadini, così come stabilito dalla politeia (costituzione), contava molto di più. Platone e Aristotele, operanti in contesti temporali relativamente contigui, tendono a sottolineare che la polis, proprio per il fatto di dover soddisfare i bisogni umani che con il trascorrere del tempo erano diventati più complessi, possiede una dimensione funzionale che le consente autonomia e autorità. Nel suo Stato, Platone scrive espressamente che una città si costituisce proprio per il fatto che ognuno di noi non è autosufficiente e, pertanto, ha bisogno dell’altro (Platone, lo Stato, II, 369 b).
Ciò nonostante questa dimensione non è sufficiente per caratterizzare una polis in quanto tale. Aristotele pone, pertanto, l’accento sul fatto che un insieme di persone , in un determinato luogo – sia pure questo delimitato da una cinta muraria o mure urbane – non costituisce necessariamente una polis, mentre diversi individui, che vivono in luoghi diversi, ma che si danno una costituzione, sono in ogni caso da ritenere costituenti una polis. La polis, e le istituzioni ch’essa esprime, rappresenta, così, quella unità nella quale gli individui si identificano.
Nel pensiero classico greco, conseguentemente, per polis s’intende una forma di vita (bios); non soltanto la vita nella sua dimensione biologica (zoe). Quando Platone nella sua Politeia rappresenta lo ordine della polis (taxis) non fa altro che perseguire l’ideale di una buona vita che deve essere garantita a tutti i cittadini. In questo senso la costituzione – specialmente quella che viene ritenuta essere la migliore – deve contemplare un progetto di educazione (paideia) che sia in grado di formare buoni cittadini. Tutto questo spiega anche il fatto che sia Platone che Aristotele si avvicinassero al tema della polis partendo da una premessa normativa, mentre la costituzione prescrive il migliore ordine etico sia per il singolo che per la collettività.
È, così, siamo al percorso che noi del SOCIALISMO NAZIONALE, alla luce della crisi della 2. Repubblica, indichiamo per raggiungere la meta di quello STATO ETICO per la costruzione del quale - oltre alla presenza di un contrat social, con il quale i cittadini (ri)motivano la salvaguardia dei loro interessi (garantiti dalla legge), della loro vita individuale e della proprietà (in senso lato), sulla base di una volonté général (che per Rousseau non è identica alla volonté de tous) e, infine, dello Stato come Stato del Diritto – è necessaria una politica che, in primo luogo, deve essere vissuta e praticata come etica.
Ovviamente non tutti coloro che abitavano la polis godevano dello status di cittadini; in quanto tali erano considerati i cosiddetti liberi (nell’urbs e nel diritto romano, oltre i cives anche i liberti, cioè gli schiavi liberati con forme previste dal diritto civile), cioè coloro che erano titolari dei diritti politici. E, poiché il diritto di cittadinanza non veniva concesso a tutti, la lotta tra i ceti e le classi per acquisirne i meriti era, talvolta, molto sostenuta.
La generalizzazione dei diritti civili nella polis, pur conducendo alla costituzione di una comunità di eguali, non pone in secondo piano gli individui meno abbienti o i nullatenenti.
Quella che il movimento socialista dell’era postindustriale definirà come giustizia sociale, aveva già trovato nell’impianto comunitario della Grecia classica una precisa e inconfondibile connotazione in quella che Aristotele definisce democrazia radicale, vista come l’unica via per prevenire le tensioni sociali.
Verso la metà del XIX secolo si può osservare nel pensiero di Marx (sia pure per breve tempo) un certo riferimento al principio egualitario di Aristotele nella proposizione di un Vernunftstaat, di uno stato della ragione, che avrebbe dovuto fare della Germania del tempo un Volk von Bürgern, un popolo di cittadini. Proposito irragiungibile per il fatto (Marx ironizza il suo Paese) che il concetto di res publica non è traducibile in tedesco.
I germogli delle gemme del pensiero di Aristotele, nell’irripetibile esperienza della polis greca, vengono percepiti ed elaborati nel 2. Libro di A. de Tocqueville (1805-1859) La démocratie en Amérique, laddove afferma che la democrazia moderna, la quale alimenta le passioni economiche e, in primo luogo, l’individualismo che, a sua volta, inaridisce le sorgenti delle virtù politiche per sfociare nell’egoismo, deve sorreggersi sulle libertà individuali. Le uniche che consentono ai cittadini di interessarsi al bene comune, di fare proprie le istituzioni e, per mezzo dell’arte di formazione della comunità, imparare ad autogovernarsi.
Il filo sottile che lega cittadini e istituzioni, tessuto nella polis greca sulle fondamenta costruite da Platone e Aristotele, trova nel pensiero di Eric Voegelin (1901-1985) e nelle teorie di Leo Strauss (1899-1973) quella cassa di risonanza che pone (e, si pone) le seguenti domande: che cosa dobbiamo intendere per una buona società?; qual è la migliore forma costituzionale?; qual è l’ideale forma di Stato? Essi si rendono conto della necessità di una New Science of Politics (Voegelin, 1972) per contrastare l’urto del nichilismo dominante e il disordine della civiltà moderna. In particolar modo Strauss, sulla base degli insegnamenti di Platone e Aristotele, tenta di collegare la filosofia politica alle ragioni del buon senso, con il cui ausilio andare alla ricerca di quella che potrebbe essere definita come la forma migliore di governo.
A Strauss appare nella sua evidenza come il riaggancio alla filosofia politica debba servire a prendere le distanze dal liberalismo moderno e dalla cosiddetta democrazia di massa proprio per il fatto che il principio della democrazia non è la virtù, bensì la libertà; cioè il diritto di ogni cittadino di vivere come egli desidera.
L’interesse crescente per lo studio della polis sottolinea l’insufficienza della ricerca in un ambito più che mai ricco di spunti e indicazioni utili alle complessità operative delle democrazie moderne, proprio mentre la concezione democratica dello Stato e i suoi contenuti istituzionali sembrano subire l’inevitabile logorio del tempo e un sensibile calo tensionale. La crisi istituzionale del nostro Paese, che in primo luogo è crisi di pensiero e di ideali, altro non è che il risultato della letargia nella quale un sistema partitico asfittico ha voluto coinvolgere le nostre coscienze.
Irrinunciabile è, allora, la necessità di un moto di ribellione spirituale, di un risveglio culturale delle arti, della letteratura, della scuola, dell’architettura, della scienza, della filosofia.
Il Premio-Holberg, preceduto dal Premio-Kyoto della Fondazione-Inamori (2004) e dal Premio-Principe delle Asturie (2001) , conferito recentemente dalla Danimarca al filosofo tedesco Juergen Habermas - l’ultimo rappresentante della gloriosa Scuola di Francoforte - per le prospettive indicate nel campo della democrazia e del diritto, è un esempio di vitalità della cultura della Germania.
Possiamo, noi italiani, contare nella certezza di una mobilitazione delle nostre risorse ? Lo dobbiamo. E, per farlo, è necessario partire da quel dono che ci consegnato la Magna e madre Grecia: la polis. Sì, oltre la città.