Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Si fa presto a dire vita

Si fa presto a dire vita

di Assuntina Morresi - 12/07/2007

 

La biologia sintetica, gli embrioni chimera e i (finora vietati) embrioni ibridi uomo/animale

Non basta più dire “per la vita”, per capire,

in certe battaglie, da che parte si sta.

Ultimamente è proprio il significato di “vita”

a essere messo in discussione, come leggiamo

in un recente editoriale su Nature: la biologia

sintetica – quella branca della scienza che

si propone di creare in laboratorio forme di

vita artificiali, non esistenti in natura – porta

con sé l’idea che la “formazione di un nuovo

essere è graduale, contingente e precaria”,

superando così la “nozione popolare” che “la

vita è qualcosa che appare quando è superata

una soglia evidente”. In altre parole, con il

tentativo di costruire nuove forme di vita in

laboratorio si abbatte la barriera fra esseri

viventi e materia inerte, il concetto di “vita”

diventa fluido, e si “scalza la nozione che ‘una

scintilla divina’ improvvisamente dà valore a

un ovocita fertilizzato”. La “vita”, insomma, è

qualcosa di sempre meno definito, un concetto

sfuggente, e fortuna che arriva la biologia

sintetica a spiegarcelo.

Nuove forme di vita create in laboratorio e

non esistenti in natura sono anche gli “embrioni

chimera”, cioè misti uomo/animale:

l’autorità inglese in materia, la Hfea, dovrebbe

dare il via libera alla loro creazione, consentita

con la stessa tecnica utilizzata per clonare

la pecora Dolly. Si useranno ovociti di

mucca, con il nucleo sostituito da quello di

una cellula somatica umana adulta; il patrimonio

genetico finale sarà al 99,9 per cento

umano e allo 0,1 per cento animale. Ma si prevede

anche la possibilità di creare embrioni

umani transgenici inserendo geni animali,

oppure anche cellule animali, negli embrioni

umani, sempre all’inizio del loro sviluppo.

I vescovi cattolici d’Inghilterra e Galles si

oppongono alla creazione di embrioni interspecie,

considerandoli come embrioni umani

danneggiati dalla modifica con materiale animale.

E, sorprendentemente, affermano anche

che “tale embrione potrebbe essere un

clone privato di tutti i genitori umani, e perciò

ulteriormente privato di ogni possibile

protezione da parte dei genitori”. Il problema

è insomma che i nuovi embrioni uomo/animale

nascerebbero già orfani. “Gli embrioni

con una preponderanza di geni umani dovrebbero

essere considerati embrioni umani,

e dovrebbero essere trattati di conseguenza.

In particolare, non dovrebbe essere un crimine

trasferire questi, o altri embrioni umani,

nel corpo della donna che ha fornito l’ovocita,

nei casi in cui sia stato usato un ovocita

umano per crearli. Tale donna è la madre

genetica, o la madre parziale, dell’embrione;

potrebbe cambiare opinione e desiderare di

portare suo figlio a termine, non le dovrebbe

essere impedito di farlo”. Il problema epocale

dell’abbattimento della barriera fra le specie,

del tabù della creazione di nuovi esseri

di natura mista umana e animale viene liquidato,

almeno in riferimento a questo documento,

invocando una qualche “preponderanza”

di geni umani – umanità a peso, in percentuale

indefinita, purché preponderante –

e poi ragionando come se si stesse trattando

di aborto, continuando a usare il concetto di

“vita” a cui siamo abituati. Le autorità inglesi

impongono la distruzione di questo tipo di

embrioni entro il quattordicesimo giorno dalla

loro creazione – evitandone lo sviluppo si

aggira il problema della definizione della natura

dei nuovi esseri – mentre i vescovi affermano

il “diritto alla vita” degli embrioni misti,

concludendo che si può impiantare nell’utero

di donna uno di questi embrioni, purché

l’ovocita sia umano.

Cos’è una “madre parziale”?

In questo Mondo Nuovo che ormai supera

la fantasia di Huxley, i vecchi, familiari concetti

di “vita”, e di “madre” assumono nuovi

significati, o rischiano di non averne più: cos’è

una “madre parziale”? E cosa sono “embrioni

con una preponderanza di geni umani”?

Le tradizionali battaglie per la vita vengono

letteralmente spazzate via dalla tecnoscienza,

e diventano controproducenti se non

ci si rende conto della posta in gioco, e soprattutto

della velocità con cui quello che solo

ieri era impensabile, in breve si tramuta

in realtà. Molto indicativo, a riguardo, il recente

report dell’Accademia delle scienze

mediche inglese sugli embrioni inter-specie.

Il prestigioso consesso dà parere favorevole

alla creazione di “embrioni-chimera”, e si

pronuncia anche sugli “embrioni ibridi”,

cioè su quelli che si potrebbero ottenere

unendo direttamente gameti umani e animali,

una procedura ora vietata. “Non siamo a

conoscenza di alcuna ragione scientifica per

generare veri embrioni ibridi (mischiando

gameti umani e non-umani) in vitro. Comunque,

data la velocità di questo settore di ricerca,

non può essere escluso in futuro l’emergere

di ragioni scientificamente valide”.

Quali potrebbero essere le ragioni “scientificamente

valide” per giustificare la creazione

di esseri con un patrimonio genetico per

una metà umano e per l’altra animale? La

cura di pericolose malattie? O il progredire

della conoscenza scientifica, a cui tutto va sacrificato?

O forse, piuttosto, dovremmo dire

che “battaglia per la vita” significa anche affermare

con forza il sacrosanto dovere di

non creare queste “nuove vite”?