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Il suburbio e il suo stile di vita

di Valerie Weaver-Zercher - 14/07/2007






 

Nei miei vent'anni avevo un'idea chiara degli abitanti dei suburbi. Con rarissime eccezioni, si trattava di bianchi molto consapevoli dell'essere tali, che avevano abbandonato le città perché li faceva dare di stomaco l'idea che i loro figli potessero andare a scuola insieme a neri e altre etnie. I radicali cristiani, chi cercava giustizia, d'altro canto, vivevano o in città – nel mezzo dei poveri, come Gesù – o nelle fattorie, a curare la terra, dono del Signore. Il suburbio, tedioso spazio che stava tra le due, era la casa di creature consumiste e acritiche, con una certa propensione alle megachiese e a un vacanziero nazionalismo.

Poi verso i trent'anni mi sono trasferita lì. All'inizio facevo finta che la mia nuova cittadina, elegantemente definita “villaggio” da un cartello, non fosse davvero un sobborgo: e non lo era, se non si fa caso agli innumerevoli piccoli centri stravolti (e ingoiati) dallo sprawl . Tentavo di convincermi che quella zona di case modello ranch degli anni '60 fosse fondamentalmente diversa dalle nuove lottizzazioni che le spuntavano attorno, anche se probabilmente anche la mia qualche anno prima sarebbe stata l'offensiva mosca bianca. “Sprawl è dove abitano gli altri, il risultato di scelte sbagliate altrui ” ha scritto lo storico dell'architettura Robert Bruegmann.
Ma se definiamo suburbio la grande zona prevalentemente residenziale nel bacino di pendolarismo di una città, ci sono dentro: nel bel mezzo di quella che è stata chiamata “ la geografia del nessun posto ”. La storia del mio trasloco nel nulla è lunga – a dire il vero piuttosto stanca – e fatta di ideali romantici sul vivere in città che si scontrano con la dura realtà del farci crescere tre bambini. Qualcuno ci troverebbe certamente anche lo sviluppo graduale di un subconscio razzista e un privilegio di classe, le quali sono entrambe cose possibili. Qualunque sia la verità, basta comunque dire che ora so quanto rapidamente le certezze moralistiche si possano ridurre a molto più miti consigli .

Anche se non fossi stata costretta a rivedere i miei stereotipi riguardo ai caratteri monolitici suburbio trasferendomi lì, ci avrebbe comunque pensato un recente rapporto della Brookings Institution. Per la prima volta nella storia degli Usa, ci sono più persone che abitano nei suburbi di quante non vivano nelle città. “ Questo rovesciamento di ceti poveri verso il suburbio rappresenta un segnale di ribaltamento dell'idea storica di divisione fra aree centrali e decentrate ” scrivono Alan Berube e Elizabeth Kneebone, autori dello studio. In altre parole: la gente come me è meglio che ci ripensi.
E onestamente, pare proprio che possiamo farlo con tutta calma. I sobborghi, che ora sono più di ogni altro tipo di ambiente la casa degli americani, non se ne andranno tanto presto. Sia che ci si avvicini al suburbio con discernimento o noncuranza, altezzosità o invidia, rabbia o disponibilità, ogni cristiano dotato di coscienza sociale farebbe meglio a considerare cosa significhi, per la propria fede, vivere in una nazione suburbana.

Strip , Boomburb , privatopia , edge node , esurbio : tutte parole di un nuovo vocabolario dell'ambiente costruito. In realtà, il nostro vecchio lessico dei luoghi non ci aiuta molto, secondo alcuni osservatori. “ Parole come città, sobborgo, o campagna, non colgono più la realtà dell'urbanizzazione negli Stati Uniti ” scrive la storica dell'urbanistica Dolores Hayden. Come dovremmo chiamare quelli cha appaiono come ambienti e paesaggi rurali, a un'ora dalla città, i cui abitanti ci si spostano regolarmente per lavoro e acquisti? Il piccolo centro che un tempo era separato dal grande da una spessa fascia verde di superfici agricole, e che ora è essenzialmente soltanto l'ennesimo casello di uscita dell'autostrada? O i negozi big-box e i quartieri a cul-de-sac che spuntano dappertutto nelle zone del Midwest: aree che il sociologo Robert Lang definisce come più suburbane allo stato puro che non sobborghi di città, in quanto “ nate direttamente dallo sprawl”?
Ma esiste ancora in qualche modo una certa differenza, “ qualunque luogo – città, campagna, sobborgo – è più diversificato di quanto in genere ci immaginiamo ” spiega Al Hsu, autore del recente The Suburban Christian . La crescente complessità del sistema metropolitano, insieme alla sua dilagante ubiquità, solleva sgradevoli domande al cristiano che ci vive. Se lo spazio in cui abitiamo plasma la nostra identità, e se esso è in gran parte commerciale, alienato, caratterizzato dalla posizione sociale, auto-dipendente, sarà mai possibile esistere come autentici cristiani, qui? Era giusto il mio istinto di ventenne: che un cristianesimo alla ricerca della giustizia potesse collocarsi soltanto nei pochi luoghi rimasti chiaramente identificabili come “natura” o “città”?
Hsu non la pensa così. Insieme agli autori di altri due libri sul cristianesimo in corso di pubblicazione (David Goetz, Death by Suburb ; Will e Lisa Samson, Justice in the Burbs ) indica come il suburbio, pur potenzialmente pericoloso per l'impegno della fede, può anche essere, citando Hsu, un “crogiolo … [all'interno del quale] si fondono le virtù cristiane dell'altruismo, semplicità, generosità”. Ciascuno degli autori citati esamina le possibili risposte alla domanda espresso da Will Samson in una recente intervista: “ Cosa significa seguire Gesù, dopo la morte della mitologia suburbana ?”

La storia del suburbio, così come definita dall'ottimismo del secondo dopoguerra sul progresso economico, la sicurezza, la proprietà privata immobiliare, la mobilità sociale, ha il potere di un mito nell'immaginario americano. La gente si sposta verso i sobborghi per una serie di ragioni diverse, ma il movimento rappresenta comunque secondo Hsu una “ ricerca spirituale ”, che vede quell'ambiente come “ lo spazio per realizzare speranze e sogni della gente ”. Dopo che parecchie generazioni sono entrate in questo esperimento, alcuni abitanti del suburbio non credono più in questa storia. Non c'è bisogno di guardare le Casalinghe Disperate , per convincere gli americani che i sobborghi spesso sono luogo di profonda disperazione, alienazione sociale, vuota ricerca di una condizione economica: molti lo capiscono anche da soli.
Gli autori dei tre recenti libri sul cristianesimo e i sobborghi, elencano questi grandi mali, oltre ai particolari ostacoli che lo stile di vita suburbano pone all'insegnamento cristiano. Mentre avverte contro una eccessiva semplificazione di giudizio dei sobborghi in quanto omogenei e materialisti, Hsu elenca le tentazioni che in questo ambiente prosperano: individualismo, appartenenza codificata, eccessi nel consumo delle risorse naturali, solo per citarne alcune. Goetz propone quanto definisce come “ tossine ambientali ” del suburbio, come “ Voglio la vita del mio vicino ”oppure “ Sono quello che faccio e ciò che possiedo ”. Will e Lisa Samson indicano come la struttura stessa del suburbio sia pensata in modo da mantenere isolate le persone l'una dall'altra, da isolare chi ha bisogno. Anche se aumenta la quantità di chi vive nel suburbio ed è povero, grazie all'urbanistica della segregazione residenziale queste condizioni restano relativamente nascoste ai vicini più fortunati.

Ma nessuno degli autori rinuncia alla speranza che il cristiano possa vivere in pieno la sua fede anche nel sobborgo. Tutti offrono suggerimenti per come ricercare la giustizia nel contesto suburbano, per quello che Will Samson chiama “ un lavoro controculturale molto profondo ”. Hsu indica molti modi per “ redimere ” il suburbio: abitare vicino a dove si lavora, pregare vicino a dove si abita, offrire ospitalità ai vicini, sostenere chiese locali e globali, consumare meno e in modo più consapevole. Goetz sottolinea pratiche più spirituali – come coltivare il silenzio, costruirsi amicizie profonde e dense di significato, mantenere le relazioni con chi ha meno – per contrastare le tossine del suburbio. “ Volete davvero essere radicalmente controculturali nel suburbio ?” chiede Will Samson. “ Andate dal vostro vicino, nella comunità della chiesa, e dite : Credo che abiterò qui per sempre. Non cerco altre possibilità”. In una cultura della continua mobilità, dove “passare a un livello superiore” – di computer, casa, posto di lavoro, coniuge – pare un diritto consolidato, il solo fatto di stare dove si è rappresenta una testimonianza, dice Samson.
Tentativi del genere, di vivere il cristianesimo nel sobborgo, hanno ottenuto una rapida assoluzione in alcuni ambienti, secondo Jenell Williams Paris, professoressa di antropologia al Messiah College. “Abitare nel suburbio può rappresentare un esercizio di umiltà” spiega. “É uno spazio privo di qualità. I tentativi di aiutare chi è in difficoltà possono ricevere meno riconoscimenti da parte di fratelli cristiani [rispetto a quando si abita in città]”.
Noel Castellanos, direttore esecutivo associato della Christian Community Development Association di Chicago, concorda. Soltanto il 10% dei membri della CCDA fanno lavoro sui poveri nei suburbi, tutto il resto nelle aree urbane. “Per molti anni loro [le associazioni che operano nel suburbio] si sono sentite come non completamente legittimate dalla gente del CCDA perché non operavano in città” ricorda. La recente ricerca della Brookings potrebbe modificare questo antiquato paradigma. “Esisteva tra alcuni cristiani la sensazione che solo il lavoro coi poveri urbani fosse un'azione legittima” continua Castellanos. “Le cose stanno cambiando”.

ESISTE UN ALTRO MODO, molto più terra terra, di vedere il suburbio. Non come luogo di occasione di servizio o carità, né come contesto stimolante per la sua crescente diversificazione economica e culturale. E nemmeno come crogiolo entro cui apprendere discipline spirituali, o luogo che sia possibile “redimere”. I sobborghi, in questa prospettiva, appaiono più come luoghi da cui andarsene. Senza guardarsi indietro.
Il suburbio americano è nella sua gran parte “non riformabile” secondo James Howard Kunstler , uno dei suoi più decisi critici. Nel libro The Geography of Nowhere, Kunstler scrive che il suburbio si caratterizza per una “ mancanza [di] qualunque senso comunitario, case che in non-ricchi non possono permettersi, obbedienza simile alla schiavitù nei confronti dell'automobile e dei settori che da essa dipendono, a tutta spesa dei bisogni umani, e una concentrazione di calamità ecologiche che si sta soltanto cominciando a valutare ”. Kunstler serba poca speranza per le proposte che indicano modi per recuperare i sobborghi come quartieri a funzioni miste utilizzabili a piedi, o verso carburanti alternativi che rendano la dipendenza dall'auto una prospettiva più sostenibile. Lo sprawl suburbano ha anche sottratto violentemente a una intera generazione l'idea di cosa significhi investire in uno spazio dotato di qualche senso, afferma. “ La cultura della buona realizzazione di spazi, come quella contadina … è un intero corpo di conoscenze e capacità acquisite ” scrive Kunstler. “ Non è innata e istintiva, e se non viene comunicata da una generazione all'altra, va perduta ”. A meno che gli americani non tornino ad economie locali, fonti energetiche sostenibili, un abitare a dimensione comunitaria, il paese pagherà un prezzo elevato.

Lamentazioni come quella di Kunstler possono far molto, come infondere energia al movimento per una migliore progettazione e urbanistica, e sfidare gli abitanti del suburbio a usare la bicicletta o camminare, per andare al lavoro o per le commissioni, o a spostarsi in genere quando possibile. Profezie tanto fosche possono anche semplificare in modo eccessivo l'ambiente sempre più diversificato e in continuo mutamento chiamato suburbio; la loro esplicita antipatia può anche alimentare un ulteriore distacco dal medesimo spazio che si accusa. Davvero il suburbio manca di qualunque senso della comunità e dello spazio? Davvero i giovani allevati qui non danno alcun significato alla collettività e ai paesaggi entro cui sono cresciuti? Oppure, come scrive Robert Bruegmann nel suo nuovo controverso libro, Sprawl: A Compact History , è possibile che “ quello che una persona si chiama sprawl [sia] per un'altra l'amato quartiere ”?
I critici dei sobborghi come Kunstler sono necessari, dicono Hsu e i Samson, ma mancano di un elemento importante: la speranza. “ La differenza è che noi cristiani abbiamo una teologia delle redenzione ” spiega Hsu. “Esiste speranza per i sobborghi, esattamente come ce n'è per la città e la campagna ”. Will Samson è ottimista riguardo al fatto che i cristiani suburbani stiano sviluppando quella che definisce – in modo abbastanza incongruo – un'etica “ indigena suburbana ”, caratterizzata dall'impegno a vivere in modo più legato al luogo.
Resta, il problema di come occuparsi di spazi famigerati per la loro assenza di identità, di come impegnarsi per comunità note per l'assenza di senso comunitario. Il suburbio così come lo conosciamo potrebbe un giorno collassare, sotto il peso della propria miopia e dell'eccesso di consumi, e per molti aspetti si tratterebbe di una meritata liberazione.
Ma nel frattempo, molti cristiani del suburbio dovranno inventarsi i modi per praticare la nostra fede, amare il prossimo in una landa di asfalto e centri commerciali e strade a cul-de-sac . Metteremo alla prova sino a che punto possiamo stare nel suburbio senza appartenergli, chiedendoci senza sosta se abbiamo trovato un giusto equilibrio.

Nota: Valerie Weaver-Zercher è scrittrice e lavora nel campo dell'editoria a Mechanicsburg, Pennsylvania; sullo stesso tema si veda anche la mia recensione al curioso libro di un pastore/urbanista, “I marciapiedi del Cielo ”; la versione originale dell'articolo di Valerie Weaver-Zercher anche sul mio sito Mall_int sezione Sprawling Spaces (f.b.)

da Sojourners - Scelto e tradotto per Megachip da Fabrizio Bottini