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Scoprire il dolore dell'anima

di Umberto Galimberti - 16/07/2007


Perche' la psichiatria organicista, quella che impiega i farmaci per
intenderci, utilissimi, anzi in alcuni casi indispensabili per alleviare le
condizioni di chi soffre, non ascolta con una certa continuita' e frequenza
le parole che sgorgano dalla sofferenza e che riproducono in modo drammatico
le condizioni d'esistenza di ciascuno di noi, e in modo vertiginoso alcuni
abissi che solo l'arte, la poesia, la musica, la mistica fanno dischiudere,
chiedendo spesso il sacrificio dell'artista, del poeta, del musicista, del
mistico?
Solo la psichiatria fenomenologica, che in Italia non si insegna in nessuna
scuola di specializzazione, si presta a questo ascolto, per andare incontro
alla speranza di chi soffre, sciogliere i vissuti di colpa che incatenano,
perforare i muri della solitudine quando nessuna parola la raggiunge, nessun
gesto la incrina, fino a quel taedium vitae che tutti, per brevi attimi,
avvertiamo come nausea dell'esistenza.
Perche' non avviene un'integrazione di questi due orientamenti psichiatrici?
Perche' la pratica farmacologica sopprime l'ascolto, disumanizza l'uomo,
riducendolo ad un "caso" da rubricare in quei quadri nosologici, dove e'
l'efficacia del farmaco a decidere la diagnosi, mettendo a tacere tutte le
parole del dolore che la follia urla e le nostre anime sussurrano.
E cosi' disimpariamo il vocabolario emozionale, anche se sappiamo che tutte
le parole dimenticate diventano opachi silenzi del cuore, che aprono quei
percorsi bui e insospettati di cui ci accorgiamo solo quando approdano a
gesti tragici.
*
Perche' la follia sta diventando solo una faccenda medica e non piu' un
evento umano? Perche' la categoria della "malattia" deve occupare tutto lo
spazio, fino a oscurare la profonda parentela che esiste tra l'eccesso
dell'anima e la sua normale condizione? Perche' subito un medico o un
farmaco quando la malinconia di un adolescente o la sua angoscia, almeno
all'inizio, stanno implorando solo un po' di ascolto?
Davvero non abbiamo piu' fiducia in uno sguardo comprensivo, in una parola
che sa corrispondere all'abisso della disperazione? Davvero non abbiamo piu'
tempo in quest'epoca che ci vuole tutti insensatamente gioiosi, e se non
riusciamo, almeno mascherati da quella fredda razionalita' che non lascia
trasparire nessun moto d'anima?
E allora se proprio nessuno ci ascolta, se noi stessi, complici di questa
mancata comunicazione, imbocchiamo quella strada che ci porta a tacitare
l'anima, per poi offrirci, disarmati, alle sue profonde perturbazioni che
neppure sappiamo piu' riconoscere e tantomeno nominare, se il silenzio
intorno a noi e dentro di noi s'e' fatto cupo e buio, apriamo un luogo di
conoscenza, una terra amica, dove possiamo constatare che le "malattie
dell'anima", prima che una faccenda medica o farmacologica, sono condizioni
comuni dell'esistenza umana, che i poeti, prima e meglio degli psichiatri,
sanno descrivere in tutta la loro abissalita'. Perche' i poeti, come ci
ricorda Heidegger, sono "i piu' arrischianti", i piu' vicini, quando non i
piu' inoltrati negli scenari della follia, dove la condizione umana e'
descritta fino a quei limiti dove puo' estendersi e implorare ascolto,
accoglienza, ri-conoscenza.
*
A partire da queste considerazioni propongo agli psichiatri (perche' non
racchiudano subito la follia nelle mura spesse e opache della malattia) e a
tutti noi (per non cancellare fino a dimenticare del tutto le parole
dell'anima) due importanti contributi della psichiatria fenomenologica. Uno
di Eugenio Borgna, Come in uno specchio oscuramente, l'altro di Bruno
Callieri, Corpo, esistenze, mondi.
Si tratta dei due maggiori psicopatologi italiani che dall'alto della loro
biografia e pratica clinica si espongono in questi libri, raccontando per la
prima volta i loro incontri con l'esperienza psicotica a cui si sono
offerti, come ospiti ad un tempo stranieri e insieme compartecipi, a quei
mondi che oscillano tra realta' e delirio, in uno spazio coartato
dall'angoscia o dilatato nel buio senza confine e senza fondo della
depressione malinconica, alla ricerca di un senso, dove anche le forme piu'
sgangherate di follia, riflettono le aree tematiche raggiunte dai vertici
della poesia, o segretate nelle pieghe della nostra anima di cui non abbiamo
piu' cura.
*
Seguendo l'intuizione di Brentano, Eugenio Borgna legge la follia come "la
sorella sfortunata della poesia". E percio' le esperienze di vita e di morte
nelle considerazioni filosofiche di Simon Weil, la malinconia sfibrata e
oscura di Emily Dickinson e di Ingeborg Bachmann che si fa musica in Franz
Schubert, l'angoscia che soffoca e pero' trova parola in Georg Trakl ed
espressione in Francis Bacon, il destino di dolore e lo scacco esistenziale
di Van Gogh, nelle cui esperienze artistiche trova espressione l'angoscia
psicotica, sono quello specchio dove, talvolta oscuramente, talvolta con
toni abbaglianti, la condizione esistenziale di noi tutti trova un suo
riflesso, una sua descrizione, che la psichiatria organicista trascura,
mentre la psichiatria fenomenologica raccoglie per offrirla a chiunque
voglia conoscere quanto e' segretato nella propria anima, ma mai, per
fortuna, definitivamente sepolto.
C'e' infatti una creativita' sempre incistata nella follia, c'e' un bisogno
di esprimere mondi altri da quello che abitualmente abitiamo, c'e' un
desiderio di espandere orizzonti fino alla vertigine del senza-confine, c'e'
la perla della conchiglia, come vuole l'immagine di Jaspers la' dove scrive
che "Lo spirito creativo dell'artista, pur condizionato dall'evolversi di
una malattia, e' al di la' dell'opposizione tra normale e anormale e puo'
essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dalla malattia
della conchiglia. Come non si pensa alla malattia della conchiglia
ammirandone la perla, cosi' di fronte alla forza vitale dell'opera non
pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita".
Proprio perche' ascolta, invece di tacitare immediatamente il linguaggio
della follia con il farmaco, Eugenio Borgna riesce a individuare e a
descrivere nel suo libro le differenze tra le connotazioni maschili e
femminili dell'anoressia nella sua immersione in un presente divorato dal
desiderio narcisistico di un corpo "altro" da quello che si ha, i diversi
modi maschili e femminili di vivere la tristezza vitale della depressione e
di immaginare la morte volontaria come ultimo orizzonte di una speranza
divenuta impossibile. E ancora, riconoscere i volti dell'angoscia nelle
differenti risonanze maschili e femminili di vivere gli sconvolgimenti
emozionali e le metamorfosi relazionali, dove, come in uno specchio, e' dato
cogliere, oscuramente, quel che e' in ciascuno di noi, perche' ciascuno di
noi, anche se non si accorge, e' quotidianamente impegnato ad armonizzare le
dissonanze tra il mondo della ragione e il mondo della follia che ci abita.
*
E a proposito di "mondi" Bruno Callieri descrive con la sensibilita' del
fenomenologo, da cui si tiene distante la psichiatria organicista, il mondo
della vita che ha per soggetto l'esistenza con i suoi vissuti e non
l'organismo a cui la pratica medica ha ridotto la nozione di "corpo".
Infatti, quando in gioco e' la sofferenza dell'esistenza, rapportarsi a un
"apparato organico" come fa la medicina o a un "apparato psichico" come fa
la psicologia e' diverso dal rapportarsi fenomenologicamente a un corpo
vivente che dispone di una sua esperienza e di un suo mondo. Organicamente
mi appariranno tensioni nervose e contrazioni muscolari, psicologicamente le
dinamiche di quell'energia che Freud ha chiamato libido, in nessuno dei due
casi mi apparira' una successione di esperienze, perche' sia l'apparato
organico, sia l'apparato psichico sono senza mondo e senza
quell'intenzionalita' che si dispiega nel desiderio, nel timore, nella
speranza e nella disperazione per le cose del mondo. A questo punto, pensare
di comprendere meglio l'esperienza di un corpo vivente che abita un mondo,
scindendolo nell'impersonalita' dei due sistemi, uno organico e uno
psichico, che per definizione non hanno un mondo, perche' sono costruiti sui
modelli concettuali ricavati dalla fisica e dalla biologia, significa non
rendersi conto di quanto sia assurdo tentare di comprendere persone con
procedimenti di spersonalizzazione.
Se infatti la follia, come ci ricorda Bruno Callieri, e' la scissione
nell'uomo, la sua lontananza dagli altri, la sua estraneita' al mondo, come
si puo' pensare di guarire applicando una dottrina i cui principi sono
l'esatta riproduzione delle componenti della follia? Come si puo' pensare di
condurre all'unita' dell'esistenza un uomo "a pezzi", servendosi di una
dottrina che non ha mai conosciuto l'unita', ma sempre e solo la
giustapposizione dei "pezzi"?
Se e' vero, come dice Heidegger che "il linguaggio parla", termini come
psico-fisico, psico-somatico, bio-psico-logico, psico-pato-logico,
psico-sociale dicono che la psicologia non ha mai conosciuto l'unita'
dell'esistenza, ma solo la composizione delle parti che la scienza ha gia'
consegnato ai vari sistemi. Il suo sforzo di ricostruzione, come ci ricorda
Laing, assomiglia "allo sforzo disperato dello schizofrenico per ricomporre
il suo io e il suo mondo disgregati".
*
Quando la psichiatria organicista prestera' ascolto alla psichiatria
fenomenologica e imparera' a conoscere le diverse modalita' della sofferenza
esistenziale che non ha organi specifici di riferimento? E soprattutto
quando noi, tutti noi, presteremo attenzione all'urlo straziante del folle o
al suo muto silenzio, dal momento che non possiamo ignorare che la sua
disperazione solo per intensita' e frequenza differisce dalla nostra?
"Noi siamo un colloquio" diceva Hoelderlin dall'abisso della sua follia, e
allora incominciamo a parlare e ad ascoltare prima di tacitare o mentre
attenuiamo l'urlo o il silenzio con un farmaco. Del resto gia' Kafka
annotava che "scrivere una ricetta e' facile, ma ascoltare la sofferenza e'
molto, molto piu' difficile".