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Il Simposio di Platone. Tra ragione e follia

di Umberto Galimberti - 16/07/2007



Il Simposio di Platone e', tra i dialoghi del filosofo di Atene, il piu'
vertiginoso perche' mette in tensione l'ordine della ragione, che Platone ha
inaugurato per l'intero Occidente, con l'abisso della follia che Platone
definisce: "Piu' bella della saggezza d'origine umana". Mediatore tra l'uno
e l'altro mondo e' Amore il cui compito e' di tradurre e interpretare i
messaggi della follia inaccessibili alla ragione e le parole della ragione
incomprensibili alla follia.
Folle e' il mondo degli dei che, concedendosi a tutte le metamorfosi, non si
attengono al principio di identita' e di non contraddizione che sono i
cardini della ragione. Del resto gia' Eraclito aveva detto che: "Il dio e'
giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazieta' e fame, e si
mescola a tutte le cose assumendo di volta in volta il loro aroma", mentre
"l'uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta l'altra", in una parola non
mescola, come invece fa il dio, tutte le cose, ma istituisce quelle
identita' e differenze che, tra loro disgiunte e connesse, istituiscono
l'ordine della ragione che e' prerogativa dell'uomo e non del dio.
Accade pero' che nel Simposio Platone non considera l'anima razionale da lui
inaugurata nella sola prospettiva dell'ordine a cui contribuisce. Sa infatti
da quale caos l'ha evocata perche' conosce le passioni che hanno alimentato
la crisi di cui si e' fatta interprete la tragedia, non ignora la temibile
apertura verso la fonte opaca e buia di ogni valore sociale che chiama in
causa il fondamento stesso della citta', sa che la ragione e il sapere che
la esprime si ottengono, come la buona armonia nella citta', espellendo il
katharma, il residuo del sacrificio, il rifiuto del discorso che non sta
alla regola, ma sa anche che bisogna sacrificare agli de'i perche' e' da
quel mondo che vengono le parole che poi la ragione ordina in sequenza non
oracolare e non enigmatica. Per questo, nell'edificare il cosmo della
ragione, il solo che gli uomini possono abitare, Platone non chiude l'abisso
del caos, ma lo riconosce come minaccia e dono, come sede di parole
incontrollabili, come dimora degli dei, e percio' dice: "I beni piu' grandi
ci vengono dalla follia naturalmente data per dono divino".
Per Platone infatti anche la follia e' un'esperienza dell'anima, nella
consapevolezza che le esperienze dell'anima sfuggono a qualsiasi tentativo
che cerchi di fissarle e disporle in successione ordinata perche', al di la'
di ogni ordine razionale, l'anima sente che la totalita' e' sfuggente, che
il non-senso contamina il senso, che il possibile eccede sul reale, che ogni
tentativo di comprensione totale emerge da uno sfondo abissale che e' caos,
apertura, spalancamento, disponibilita' per tutti i sensi. Intermediario tra
il mondo della ragione e il mondo della follia e' Amore, per accedere al
quale bisogna soffrire quella malattia che Socrate chiama "a-topia" e che
noi potremmo tradurre con "dis-locazione". Per accedere agli abissi della
follia che ci abita occorre infatti dislocarsi dal recinto protetto dalla
ragione, abbandonare le dimore dell'io e, per non perdersi nella follia,
occorre che ad accompagnarci sia l'amato, che noi amiamo proprio perche'
egli ha colto e in qualche modo riflesso la nostra follia. Amore, infatti,
e' si' un evento duale, ma non tra me e te, ma, grazie a te, tra il mio
ordine razionale e l'abisso della mia follia.