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Ascesa e declino della civiltà delle pensioni

di Carlo Gambescia - 17/07/2007

E così anche Draghi chiede più rigore sull’età pensionabile. Prodi sta preparando una sua proposta. Insomma, tutto va bene, pardon, va male, “signora la marchesa”… Le pensioni degli italiani di qui a qualche anno rischiano di trasformasi in un dolce e lontanissmo ricordo.
E qui, ci piace immaginare, una ipotetica lezione di storia, in un liceo ( se ci sarà ancora) del tardo XXII secolo: “Ragazzi oggi parleremo della seconda metà del XX secolo, epoca di decadenza, nota agli storici come “l’età della previdenza sociale”. Pensate lo stato asserviva i cittadini, di appena sessant’anni, versando loro mensilmente una pensione, in cambio della loro fedeltà… Come, del resto, accadeva anche in una delle epoche più buie della storia: il tardo Impero romano. Per fortuna, dopo ci furono le rivoluzioni liberiste, che eliminarono, anche fisicamente tutti quei fannulloni e scrocconi… Da allora chi non lavora non deve mangiare. E dunque, come sapete ragazzi, allo scoccare del centesimo anno, oggi, si accede all’ apposito programma 'soluzione finale' ”.
Ecco, come fra due secoli, in una luminosa aula scolastica, in stile minimal, una giovane professoressa, graziosa ma "algida", come la Bellucci di Matrix 2, potrebbe spiegare ai suoi alunni, tutti con telefonino incorporato nel cervello, le vicende dei nostri giorni.
Fantastoria? Mica tanto. Spesso quando oggi ci si azzuffa sulle pensioni - e qui non scherziamo - si dimentica che il “diritto di ciascun lavoratore a mantenere lo stesso dignitoso tenore di vita”, anche dopo il pensionamento, rappresenta nella storia del capitalismo l’eccezione e non la regola. Perché, nonostante due secoli di sfruttamento (chiedere ai contadini inglesi e ai tessitori indiani...), e qualche timida riforma sociale tardo ottocentesca, il capitale si è arreso (si fa per dire) solo dopo la catastrofe economica e bellica degli anni Trenta e Quaranta. Quando mezzo morto di paura, ha tirato fuori dal cilindro il coniglio-pensione per tutti, o quasi. Non potendo fare diversamente, dal momento che in Russia, Italia, Germania, gli spettatori, stufi dei soliti giochi di prestigio, rumoreggiavano intorno alla cassa, per chiedere il rimborso del biglietto, minacciando di sfasciare tutto.
Dopo di che, nei successivi trent’anni, la paura dei rossi e la "febbre" della ricostruzione hanno permesso di “erogare” pensioni a tutti. E così i politici celebravano se stessi, la democrazia e i diritti sociali; i capitalisti sopportavano e intanto incameravano, come al casinò, vincite altissime; i sindacati si godevano, forse troppo, la festa. Che di lì a poco sarebbe finita.
Infatti, negli anni Ottanta, passata la febbre e (quasi) caduta con il muro anche Unione Sovietica, il capitale, per buttarla sul romanzesco, si è tolto la maschera per riproporre, fischiettando, perfino a Gorbaciov (come se niente fosse...), i vecchi giochi di prestigio della domanda e dell’offerta, all’insegna del “chi fa da sé, fa per tre”. E "in c... va a te"...
E allora vai, e veniamo ai giorni nostri: il capitalismo vince su tutta linea. E impone, anche in Italia, tagli, scaloni- scalini e il sequestro dei Tfr…
Insomma, come insegna il vecchio Spengler, dopo ogni ascesa c’è sempre una caduta. Anche per la civiltà delle pensioni. Prodi, Sarkozy e compagnia bella, nonostante le chiacchiere, assomigliano agli ultimi, imbelli, imperatori romani. Ai quali i nuovi barbari (liberisti) del capitale impongono una sola regola: “nessuna regola”.
Chi li fermerà? Ci vorrebbe, un amico, per dirla con Venditti.