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Croci celtiche e saluti romani in copertina.
Ultimo titolo: “Destra estrema e criminale” di Mario Caprara e Gianluca Semprini


di Michele De Feudis



Sorpresa in libreria: da qualche tempo ovunque in Italia il banco della saggistica politica sembra aver assunto i contorni che un tempo erano appannaggio della sola libreria Europa di Roma.

Sulle copertine, croci celtiche, fiamme tricolori, saluti romani, manifesti del Msi. Le vicende e le figure del neofascismo da argomento di “cronaca” e approfondimento storico-politico appaiono ora come un genere da consumo letterario assicurato. Da Newton Compton, Mario Caprara e Gianluca Semprini hanno pubblicato un libro con 17 ritratti di neofascisti o estremisti di destra (termini che non sempre sono sinonimi), Destra estrema e criminale (pp. 380, euro 14,90).
Da Stefano Delle Chiaie a Paolo Signorelli, da Francesca Mambro e i fratelli Fioravanti a Franco Anselmi, da Mario Tuti a Luigi Ciavardini, da Pierluigi Concutelli a Massimo Carminati, il libro ripercorre senza preconcetti o schermi le vicende di queste figure degli anni di piombo. Giovanni Pellegrino, presidente della provincia di Lecce ed ex presidente della Commissione Stragi, scrive nella prefazione: «Nel mondo diviso in due, l’Italia fu una tragica frontiera, non solo geograficamente, ma perché, con la presenza del Pci, la frontiera ci attraversava. In questo scenario uno stato di guerra civile. […] Ricostruirne le storie, per un verso contrapposte, per altro intrecciate, è un debito verso la storia». È solo l’ultimo libro di una ormai lunga serie. Parte di questa pubblicistica appare già nella collana di Luca Telese, “Le radici del presente”, della Sperling&Kupfer, che edita o riedita opere sugli anni ’70.

Commenta Adolfo Morganti, editore e responsabile del centro librario Il Cerchio di Rimini: «Indubbiamente, si tratta di operazioni commerciali: le grandi case editrici hanno scoperto che c’è un pubblico attento alla memoria degli ultimi tre decenni. E per coprire questa fetta di mercato si propone memorialistica come Cuori neri, proprio di Telese, o si ripropone saggistica come La fiamma e la celtica di Nicola Rao. Ma l’archetipo insuperato in materia resta C’eravamo tanto a(r) mati.
Gli anni ’70 in venticinque storie parallele, curato da Maurizio Cabonae Stenio Solinas, uscito nell’aprile 1984 per le Edizioni Settecolori di Pino Grillo: si trattò di un caso letterario, anche se, in quella fase, non fu un successo di vendite». In effetti, la vicenda di C’eravamo tanto a(r) mati fa valutare quanto sia cambiato il clima politico.
Racconta Cabona, oggi critico cinematografico al Giornale: «Con Solinas cominciai la raccolta di testimonianze di giovani nell’82. Il clima da guerra civile per soli giovani non era finito: Paolo Di Nella fu ucciso nell’83.
Riunimmo autobiografie di persone molto diverse: da Gianni Rivera, nato nel ’43 e quindi il più vecchio del sodalizio, a Massimo Cacciari e Massimo Fini, nati nel ’44, fino a Massimo Greco, il più giovane della compagnia, nato nel ’59. C’erano poi cantanti come Alberto Camerini e Francesco Guccini, giornalisti come Oliviero Beha, Diego Gabutti, Paolo Isotta, Giordano Bruno Guerri, Giampiero Mughini e Stella Pende, ma anche militanti e dirigenti della destra giovanile, come Roberto Bassi, Umberto Croppi ed Enrico Nistri.

Non fu un’operazione-nostalgia, ma un’iniziativa di pacificazione, mentre – nel 1984 in cui il libro uscì – ancora si poteva morire in piazza.
E ciò divise al loro interno tanto la sinistra quanto l’estrema sinistra. Paolo Mieli, allora giornalista de L’Espresso, scrisse una recensione positiva, mentre Rossana Rossanda su il manifesto lo disprezzò come “libretto nero della destra radicale” ».

Altri anni e altro humus culturale: persistevano forti contrapposizioni e trasmissioni tv come quella di Giampiero Mughini, Nero è bello, non davano ancora segni d’apertura a destra. «Apripista di questa nuova vulgata è stato Giampaolo Pansa – afferma Enzo Cipriano, animatore delle Edizioni Settimo Sigillo di Roma – con i libri sulla fine della Rsi.

Il successo de Il sangue dei vinti (Sperling& Kupfer, 2003) ha segnato un terremoto. Poi Le uova del drago (Mondadori) di Pietrangelo Buttafuoco ha confermato questa tendenza, con vendite straordinarie per un romanzo con una trama storica così radicale.
Poi c’è anche un fattore politico: in Italia il centrodestra è ormai il 50 % del paese.

E tanti sostenitori o elettori della Cdl non si riconoscono nell’antifascismo e sono interessati a studiare la storia della destra. Nel 1999 lanciammo la collana “Sangue e inchiostro”, e pubblicammo Neofascisti! di Rao. La grande stampa lo trascurò.
Poi, con la riedizione per la Sperling&Kupfer dello stesso libro con il nuovo titolo La fiamma e la celtica ha venduto alcune migliaia di copie. Anche Fazi ha ripubblicato nel 2004 il romanzo di Gabriele Marconi (uscito per le nostre edizioni cinque anni prima) Io non scordo, ma con edulcorazioni che hanno cambiato l’anima al libro».

Cipriano, che sta dando alle stampe un’opera di Vincenzo Maria De Luca, La memoria non condivisa (sulla questione dalmata e istriana) ritiene che non tutta questa pubblicistica svolga un ruolo di approfondimento reale: «In alcuni libri c’è un approccio giustificazionista – conclude l’editore – che confonde i piani di analisi. Solo gli studi di Francesco Germinario, come La destra degli dèi (Bollati Boringhieri), rappresentano un tentativo autentico di comprendere le ragioni e la visione del mondo di chi occupava la parte destra del versante politico-culturale italiano». Ancora.

Per Domenico Dimichino, dall’osservatorio della libreria Terra di Thule di Bari, «il marketing delle grandi case editrici ha incontrato anche il desiderio dei giovani di destra di ricongiungersi a una storia di passione politica e coraggio come quella dei missini negli anni di piombo.
Ma da noi vengono anche quarantenni di sinistra che vogliono rileggere quegli anni da una diversa prospettiva». Sulla stessa linea Pietro Golia, delle Edizioni Controcorrente di Napoli e animatore dell’omonimo centro librario: «Questo filone sulla destra italiana offre stimoli a chi cerca di riscoprire la tensione ideale che animava i giovani postfascisti.

Al confronto gli anni attuali sono espressione di un deserto». Golia, tra l’altro editore italiano dell’ultimo libro di Solzenicyn, ha collaborato anche al libro Il Fuan, trent’anni di presenza politica nell’Università (edizioni Athenaeum), scritto nel marzo dell’82 dall’allora presidente nazionale dell’associazione, Giuseppe Tagliente, insieme al giornalista Stefano Mensurati, lancia poi una provocazione: «Le vendite della pubblicistica sulla cultura di destra evidenziano la presenza di un pubblico che si riconosce in queste idee.
E a questo mondo la destra politica dovrebbe dedicare più attenzione.

Come? Essendo presente heideggerianamente ». E dalle tentazioni buoniste legate a riletture di comodo degli anni ’70 invita a diffidare anche Morganti: «C’è il pericolo di un approccio veltroniano con un indiscriminato volemose bene, che però non rende giustizia a chi ha rischiato la propria vita in quegli anni infami».
Dai primi libri faziosi di Giampaolo Pansa, come L’esercito di Salò (Mondadori), pilastri della vulgata antifascista, al Sangue dei vinti, scritto 30 anni dopo: sono caduti tanti ostracismi e tanti muri. «Ma questo fatto positivo – coglie Cabona - non giustifica un nuovo rigurgito di nostalgia. Gli “esuli in patria” sono stati infatti, spesso, esuli dal presente, persone in fuga dalla realtà. La verità è che, come dice Nietzsche, il futuro appartiene ha chi la memoria più lunga. Ma la memoria va distinta dalla storia. E la nostra storia la facciamo noi, qui, adesso».


 


(dal Secolo d’Italia del 28 giugno 2007)