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La mossa di Putin: un colpo all'America, un invito all'Europa

di Giulietto Chiesa - 17/07/2007


 
 
   

Vladimir Putin, puntuale come, si diceva una volta, un orologio svizzero, ha scelto la data giusta per comunicare, urbi et orbi, la prima uscita unilaterale della Russia da un trattato internazionale. Le due circostanze, la data e l'uscita, non dovrebbero essere sottovalutate a meno di non aver dimenticato che il cerimoniale russo (e sovietico) è sempre stato pieno di segnali simbolici e di allusioni plumbee.

L'uscita unilaterale russa da un trattato non ha davvero precedenti in questo e nel secolo appena terminato, almeno se si mette insieme l'esperienza sovietica e quella russa. Né il “signor niet” di breshneviana memoria, né il Gorbaciov della perestrojka, misero mai in discussione un accordo con l'Occidente.

Si litigava duramente, ma una volta firmato un documento, lo si rispettava. Era il mondo bipolare. Se Putin lo fa, adesso, è perché vuol far capire – in primo luogo a un'America che mostra di considerare il mondo ancora come se fosse unipolare – che è urgente mettere a posto, appunto, gli orologi di questa fase della storia.



Il trattato per la riduzione delle armi e forze convenzionali non è poi così importante dal punto di vista dei contenuti, rispetto, per esempio, all'uscita unilaterale americana dal trattato ABM del 1972, consumata nel 2001 da George Bush. L'analogia sta solo nel fatto che Washington – proprio usando quella rottura - vuole ora installare nuovi missili alle frontiere russe, con la scusa dei missili (inesistenti) dell'Iran.

Ma significa tante altre cose: che, per esempio, Mosca si prepara a una revisione strategica asimmetrica su larga scala; significa anche che se gli Usa e l'Europa vogliono dare l'indipendenza al Kosovo, Mosca agirà in parallelo riconoscendo altre indipendenze. Per esempio quella dell'Oltre Dnestr, quella dell'Abkhazia, quella dell'Ossetia del Sud e quella (assai importante per l'amica Armenia) del Nagorno-Karabakh.

L'Occidente, come un sol uomo, non ha ratificato il trattato di Vienna perché la Russia non ha ritirato le sue truppe dalla Georgia e dalla Moldova? Perfetto – sembra dire Mosca – non le ritireremo più. Anche perché – e qui è davvero difficile dare torto alla Russia – nel frattempo gli americani hanno costruito basi in Kosovo e inviano truppe nuove in Bulgaria e Romania.

Insomma un segnale netto che la ritirata strategica della Russia è acqua passata. Prendiamone atto prima che il ferro si arroventi.

Del resto non c'è motivo di stupore. Putin aveva fatto sapere agli americani che, al posto del radar nella Repubblica Ceca, era a disposizione il radar russo ancora in funzione a Baku. Perfino più comodo, più “sulla strada”, del tutto teorica, degli inesistenti e per ora molto eventuali missili strategici degli ahjatollah.

Ma Condoleeza Rice e lo stesso Bush, all'ultimo G-8 hanno fatto orecchie da mercante. Il sospetto di Mosca è diventato certezza. Quei missili sono una punzecchiatura nel fianco della Russia, che ha perso la pazienza.

E di non minore importanza è la data dell'annuncio. Il giorno – molto solenne e molto oscuro – in cui l'Europa dei Sarkozy, dei fratelli Kasczinski, dei Gordon Brown, dei baltici antirussi a oltranza, si riunisce nella più acuta di tutte le sue crisi per decidere il proprio futuro. E' in questo contesto che Vladimir Putin manda il suo segnale: con che voce vuole parlare alla Russia questa Europa? Con quella di Varsavia, di Tallin, di Sofia e di Bucarest, ma anche di Londra, che se ne stanno comodamente all'ombra di Washington, o con quella di Berlino, di Parigi, di Roma e di Bruxelles? A che servono quei missili americani in pieno territorio europeo? E come possono acconsentire, le capitali della “vecchia Europa” (per usare l'espressione spregiativa del dimissionato Donald Rumsfeld), di essere scavalcate e messe di fronte al fatto compiuto mentre altri discutono e decidono dei problemi della sicurezza europea? Per giunta senza neppure essere consultate?

Il presidente russo sa perfettamente che i missili americani non li vogliono in molti, in Europa. Anche perché, piuttosto che contro i missili iraniani, appaiono puntati a rendere l'Europa ancora più debole e divisa di quanto già non sia. Insomma Putin scommette, paradossalmente, su un'Europa forte, mentre Bush , forse anche a causa del suo dollaro precipitante, la vorrebbe più debole.

Strani alleati si muovono sulla scena dell'Occidente, di questi tempi inquieti.