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Siccità, il Po si ferma a Ferrara

di redazionale - 17/07/2007


In un trentennio la sua portata si è ridotta del 20-25%. Nei periodi critici il suo corso può fermarsi già a 100 Km dalla foce dove l'acqua dolce lascia il posto a quella salata dell'Adriatico. A Parma il convegno dell'Apat sugli effetti dei cambiamenti climatici
L’acqua del Po sta diminuendo: con l’avanzare degli effetti del cambiamento climatico e della domanda di risorsa idrica il suo corso rischia di arrestarsi, nei periodi più critici, anche a 100 chilometri di distanza dalla foce. Nel Ferrarese, appunto, dove l’acqua dolce potrebbe talvolta lasciare il posto a quella salata che risale dall’Adriatico.

La portata del più grande fiume italiano è scesa del 20-25% nello scorso trentennio: su ogni dieci litri di acqua che arrivavano in precedenza alla foce del Po, mancano oggi all’appello più di due litri. Per esperti e scienziati questo trend è destinato a peggiorare: le piogge sono diminuite negli ultimi 30 anni del 15-20% nel bacino del Po, mentre i cambiamenti climatici stanno portando a una contrazione media del 10% delle precipitazioni sull’intera penisola. Stavolta però a salire sul banco degli imputati non sono solo gli effetti del clima che cambia a livello globale, ma anche le scelte produttive e amministrative su scala di bacino.

Già oggi i diritti di prelievo dal Po superano la portata media del fiume: per usi agricoli (soprattutto), industriali e civili si potrebbero, almeno sulla carta, sottrarre al fiume fino a 1.800 metri cubi di acqua al secondo, contro i 1.500 che realmente scorrono in media nel suo alveo all’altezza della foce. Nei fatti, si prelevano dal Po due miliardi e mezzo di metri cubi di acqua all’anno, di cui oltre il 73% destinati all’agricoltura. Così, nei periodi estivi più critici, la portata d’acqua alla foce può scendere sino a 180 metri cubi al secondo, una quantità che non basta nemmeno a raffreddare gli impianti della centrale di Porto Tolle.

Il bacino del Po è il grande “sorvegliato speciale” nella sesta tappa per la Conferenza nazionale sui Cambiamenti Climatici. Oggi infatti è stato organizzato a Parma dall’APAT in collaborazione con l’Arpa dell’Emilia-Romagna e con le Arpa delle regioni padane, per conto del Ministero dell’Ambiente, il workshop “Effetti dei cambiamenti climatici sul Bacino del Po”. L’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente ha riunito, per la prima volta attorno a uno stesso tavolo, scienziati, esperti, istituzioni per affrontare il tema dell’adattamento al cambiamento climatico.

Urbanizzazione e attività produttive risultano essere le cause principali dell’impoverimento di questo bacino: da qui - secondo i dati dell’Autorità di bacino - per uso potabile vengono prelevati 2,5 chilometri cubi (1 km3 è pari ad 1 miliardo di metri cubi) all’anno (11,1%); per uso industriale (escluso quello energetico) 1,5 km3 l’anno (6,7%); per usi elettrici (idro e termo) 2 km3 l’anno (8,9%) e per l’agricoltura ben 16,5 km l’anno (73,3%). Dagli studi sulla rete acquedottistica padana risulta che, mediamente, per ogni metro cubo di acqua prelevata (1.000 litri), 40 litri sono persi al momento dell'immissione in rete, 200 litri sono persi nelle reti di adduzione e 150 litri nelle reti di distribuzione. Tali perdite (complessivamente pari a 390 litri) si infiltrano nel terreno; dei 610 litri consegnati alle utenze finali, 120 vengono consumati e 490 restituiti.

L’eccezionalità del caso Po è evidente. Il fiume è un vero e proprio laboratorio all’aria aperta degli effetti combinati delle pressioni climatiche e umane. Il Po sta già oggi diminuendo la sua portata e quindi la sua “forza”: nei periodi di magra le portate possono scendere sino a 180 m3 d’acqua al secondo, che non bastano nemmeno per raffreddare gli impianti di Porto Tolle, una delle maggiori centrali elettriche del Paese. A questo scenario si aggiungono i cospicui prelievi: solo i diritti di prelievo irriguo complessivi (circa 1800 m3/secondo) superano oggi la disponibilità idrica in chiusura bacino (circa 1500 m3/secondo come media storica a Pontelagoscuro). I settori con maggiore sete d’acqua sono l’industria e l’agricoltura: soprattutto per quest’ultima attività – si legge in una nota dell’Apat - si dovranno adottare tecnologie più innovative e abbandonare progressivamente colture che richiedono molta acqua (quali riso, mais e kiwi). Più in generale, si dovrà pianificare un utilizzo del suolo, in particolare del bacino del Po, che tenga conto delle mutazioni climatiche in atto.