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Luigi Pareyson filosofo della liberta

di Francesco Tomatis - 18/07/2007

Fonte: pareyson



Luigi Pareyson (1918-1991) e' indubbiamente uno dei maggiori filosofi
italiani del XX secolo. Per quanto poco valgano in filosofia i confronti e
le classifiche, trattandosi sempre di un caso singolarissimo - e cosi'
qualitativamente eccezionale da essere incomparabile - quello del nascere al
mondo di un filosofo, non mi sottraggo tuttavia a un arrischiato compito
comparativo, prima che storiografico, per rendere l'idea della sua
grandezza. A mio giudizio, nella filosofia italiana  del Novecento, a
Pareyson possono essere messi accanto solo Michelstaedter e Gentile: non
quindi Croce, Gramsci, Evola, Del Noce, Severino, per quanto importanti.
Cio' significa che nell'ambito della filosofia europea (ma l'aggettivo e'
tautologico) solo Wittgenstein e Heidegger lo precedono, soprattutto per gli
effetti suscitati dal loro pensiero, notando quanto comunque gli stessi due
filosofi maggiori del Novecento non siano che epigoni rispetto ai grandi
della stagione greca e tedesca della filosofia: Platone, Aristotele e
Plotino da un lato, Kant, Fichte, Hegel e Shelling dall'altro.
Che Pareyson fosse destinato a divenire un grande filosofo lo si comprese
presto. Nel 1937, ad  esempio, presento' una esercitazione scritta a un
seminario universitario del suo maestro Augusto Guzzo, dal 1934 titolare
della cattedra di filosofia morale all'Universita' di Torino. Questi,
aprezzandola, la fece leggere a Giovani Gentile, in quanto all'epoca
direttore della maggiore rivista italiana di filosofia, il "Giornale critico
 della filosofia italiana". Stupito per la profondita' e l'originalita' del
testo, Gentile chiese a Guzzo di quale filosofo torinese si trattasse, non
pensando certo ad un diciannovenne. Nel 1938 usci' quindi sulla rivista di
Gentile la prima pubblicazione di Pareyson, le famose Note sulla filosofia
dell'esperienza. E proprio dal particolare rapporto di Pareyson con
l'esistenzialismo e' possibile avviare un tentativo di comprensione della
sua originalita' nell'ambito della filosofia novecentesca.
Pareyson fu il primo filosofo a far conoscere in Italia la filosofia
dell'esistenza, tedesca soprattutto, sviluppando egli stesso una forma
personalistica ed ontologica di esistenzialismo. Con irruente purezza e
semplicita' giovanile Pareyson ruppe l'unico coro neo-idealista (rarissime
eccezioni degli isolati, se non esiliati, quali Giuseppe Rensi, Piero
Martinetti, Adriano Tilgher) - unente sino ad allora, nelle figure esemplari
di Gentile, Croce e Gramsci, accademia soggetta al regime, pubblicistica
liberale, opposizione politica incarcerata - presentando l'esistenzialismo
non solo come filosofia capace di comprendere le tragiche problematiche
contemporanee: fatte di guerra e sofferenza, di fallimento dei totalitarismi
politici e intellettuali, dei falsi egalitarismi collettivi, nelle varie
versioni borghesi, cameratesche, comuniste, ma anche come antidoto radicale
alle filosofie e ideologie ottocentesche all'origine delle catastrofi
novecentesche, cogliendo in Kierkegaard il padre dell'esistenzialismo e la
vera alternativa a Hegel, cosi' rinvigorendo per giunta le pure fonti
religiose dello stesso ateismo esistenzialista novecentesco, nonche' aprendo
nuove prospettive di lettura e comprensione di profonde correnti di pensiero
e filosofi tacitati dall'hegelismo imperante, quali l'idealismo e il
romanticismo, Fichte e Schelling in particolare.
*
Sin dalle sue prime opere: La filosofia dell'esistenza e Carlo Jaspers
(1939, 1940), Studi sull'esistenzialismo (1943, 1950), Esistenza e persona
(1950), Pareyson individua quello che sara' il nucleo incandescente
alimentante perennemente il suo pensiero successivo, nei suoi continui
approfondimenti ulteriori, ereditandolo dalla concezione di Kierkegaard
dell'esistenza come coincidenza paradossale di autorelazione ed
eterorelazione. Varco di accesso non solo alla mia vita personale, ma alla
realta' in genere, e' l'esistenza: l'esistenza di questo singolo che io
sono. Tuttavia il singolo non e' un separato individuo, soggetto
assolutamente autonomo e autosussistente. L'esistenza e', in quanto tale,
coincidenza di cio' che parrebbe non poter coincidere - e che e' quindi
coincidente in modo paradossale -, paradossale coincidenza cioe' non
necessaria articolazione o relazione - di autorelazione ed eterorelazione,
della relazione con se', autofondantesi, che ogni singola esistenza e', e
della relazione con altro, che altrettanto imprescindibilmente, seppur
coincidente in maniera paradossale, essa stessa e'.
L'esistenza e' se stessa e comprende se stessa in quanto e' in relazione con
altro e comprende l'altro, e viceversa. Secondo questa profonda radice
kierkegaardiana dell'esistenzialismo, Pareyson propone quindi la propria
autentica versione di esso come esistenzialismo personalistico e ontologico.
Personalistico perche' e' la singola persona vivente, non un astratto a
priori trascendentale o esistenziale, a qualificare l'esistenza e la sua
inaggirabilita', pena l'intransitabilita' di qualsivoglia minimo senso della
realta' e della vita umana. Ontologico perche' e' nell'apertura all'essere
che ci trascende, che mi trascende, che io posso scegliere ed essere me
stesso. Che l'esistenzialismo non possa che essere personalistico e che il
personalismo non possa che essere ontologico ci dice allora che l'esistenza
e' quia talis apertura di trascendenza, quindi possibilita' di esperienza
religiosa. Infatti che l'esistenza sia paradossale coincidenza nel tempo di
autorelazione e di eterorelazione mostra quanto la relazione con se',
nell'apertura alla relazione con altro, che ogni singolo e' non possa
esistere se non in quanto posta, istituita, donata a se stessa e al suo
aprirsi all'alterita' da una trascendenza che e' tale non in quanto posta
dalla autorelazione coincidente con la eterorelazione, ma perche'
trascendente la stessa relazione, e nel momento stesso in cui istituisca
tale relazione, cioe' perche' e' l'irrelativo che pone la relazione fra il
relativo e l'irrelativo stesso, quindi senza cessare di essere irrelativo
nell'istituire liberamente il relativo come possibile relazione con
l'irrelativo.
*
Grazie a questo ritorno a Kierkegaard Pareyson puo' risalire la nefasta
storia degli effetti hegeliana. Leggendo la filosofia e la storia
contemporanea come dissoluzione dell'hegelismo, Pareyson ne individua due
correnti, quella risalente a Kierkegaard, che conduce all'esistenzialismo, e
quella che attraverso Feuerbach giunge sino al marxismo e all'attualismo.
Kierkegaard dissolve il sistema hegeliano negando l'identita' fra pensiero e
realta', la conciliazione dialettica fra storia ed eternita', ancorando ogni
possibile verita' alla soggettivita' del singolo, incoercibile a
qualsivoglia sistema assoluto del sapere. Tuttavia, a detta di Pareyson,
mantenendo la concezione negativa del finito, tipicamente luterana, gia'
propria a Hegel, Feuerbach risolve invece la filosofia di Hegel
antropomorfizzandone gli aspetti piu' ideali, riducendo a cio' che e' reale
il razionale e il reale a cio' che e' sensibilmente percepibile o
desiderabile. Tuttavia la posizione atea di Feuerbach e dei suoi epigoni e'
ricomprendibile, in un orizzonte piu' ampio, nella kierkegaardiana, nella
concezione dell'esistenza come innanzitutto autorelazione, che se inospitale
giunge alla disperazione, malattia mortale, e se invece aperta nella
eterorelazione alla trascendenza, ed eventualmente all'esperienza religiosa,
possibile nella sua stessa misura finita e temporale, corrisponde alle
questioni stesse dell'ateismo, assumendolo in se' e vincendone tuttavia
l'egoismo mortale. Ecco che ritornare a Kierkegaard e all'origine teorica
delle vicende contemporanee significa per Pareyson porsi nuovamente e piu'
consapevolmente ancora di fronte al dilemma: pro o contro il cristianesimo?
E per Pareyson si tratta di scegliere un cristianesimo tragico, dialettico,
paradossale, esso soltanto capace di dare risposta alla deriva atea del
pensiero e della storia contemporanea, vivendo e vincendo l'ateismo in se',
sino alla morte in croce per rivelare nella abissale liberta' dell'uomo
l'eterna liberta' che e' Dio.
*
L'ontologicita' dell'esistenzialismo, l'apertura alla trascendenza
dell'essere, prima ancora che alla liberta' di Dio, dell'autocomprendersi
dell'esistenza umana, conduce inevitabilmente Pareyson, come gia' Heidegger
prima di lui, ad approfondire il proprio esistenzialismo in filosofia
ermeneutica, che intenda l'esistenza in quanto tale come comprensione
dell'essere trascendente. Prima che Gadamer e Ricoeur, i due piu' noti
filosofi ermeneutici dopo Heidegger, Pareyson elaboro' negli anni Quaranta e
Cinquanta una propria filosofia dell'interpretazione o ermeneutica. Oltre
che in Esistenza e persona (1950) e in articoli precedenti, i risultati
maturi di tale elaborazione sono contenuti in Estetica. Teoria della
formativita' (1954) e infine in Verita' e interpretazione (1971), opera che
chiude questo secondo periodo ermeneutico nel cammino di pensiero di
Pareyson. Se la realta' e' accessibile solo e sempre singolarmente,
attraverso l'esistenza personale che io sono, ogni mio atto o pensiero o
esserci e' interpretazione, personale incarnazione dell'essere che trascende
la mia situazione. Non che l'interpretazione sia parziale attingimento
dell'essere, bensi' ogni vera e autentica interpretazione e' il darsi stesso
dell'essere in essa: essere che non sta quindi come un oggetto intangibile
al di la' delle proprie interpretazioni, e che tuttavia non si riduce alle
interpretazioni, non ne e' esaurito, ma mantiene la propria differenza
ontologica. Qui sta lo specifico della posizione di Pareyson rispetto a gran
parte delle restanti filosofie ermeneutiche: il mantenimento, anzi la
sottolineatura della imprescindibilita' della verita' per una concezione
interpretativa della realta'. L'ermeneutica non solo non mette in crisi, ma
cerca di comprendere ed esige ancora piu' fortemente di ogni altra filosofia
la verita'.
*
Perche' la verita' trascendente e assieme immanente alle sue esistenziali e
personali interpretazioni non si riduca a ideologia, a mera espressione
della condizionatezza storica dell'interprete, anziche' mostrarsi
simultaneamente a cio' anche rivelazione di inesauribile e inoggettivabile
ulteriorita', essa non puo' tuttavia esser semplicemente intesa come fonte
incessante eppure imperscrutabile suscitatrice di infinite interpretazioni
proprio approfondendo la concezione ermeneutica della verita' attraverso un
riattingimento delle proprie origini esistenzialistiche, Pareyson
nell'ultima tappa del suo pensiero si dedica all'elaborazione di una
ontologia della liberta', un discorso sull'essere che lo intenda come
liberta'. Liberta' quindi non solo in quanto primaria essenza della
esistenza umana, ma anche nel suo significato originario, metafisico,
ontologico: l'essere stesso come liberta'. Infatti solo comprendendo
l'essere come liberta' se ne potra' rivelare pienamente la trascendenza
veritativa: una necessita' logica o semplicemente eventuale, quale
l'inesauribile e inesorabile imperscrutabile darsi dell'essere, ne
legherebbe circolarmente al finito ogni possibilita' di eccedenza
significativa. Solo se l'essere trascendente e' libero di darsi o di non
darsi in una forma finita, solo se l'irrelativo e' libero di porsi o di non
porsi nella relazione che esso stesso istituisce, e in un istituirla che non
sia un vincolarvisi necessitante, la verita' non e' fagocitata
dall'interpretazione ne' l'infinito reso vuoto prodotto del finito.
Si raccolgono in estrema concentrazione, lungo tutta l'ultima tappa del
cammino filosofico di Pareyson, il suo esistenzialismo personalistico, la
sua ermeneutica veritativa e la sua ontologia della liberta' (originaria e
finita, indivisibilmente), capaci assieme della forza per affrontare la
scoscesa realta' della sofferenza e del male. In opere uscite, nella loro
complessivita', postume, come Dostoevskij (1993), Ontologia della liberta'
(1995), Essere liberta' ambiguita' (1998), Pareyson ripropone quindi una
coraggiosa teoria dell'essere, una ontologia, ma non nel comune senso
necessitaristico della cosa, bensi' un'ontologia della liberta', che
comprenda l'essere originario stesso come liberta'. Liberta' assolutamente
iniziale, arbitraria, imperscrutabile, eppure ontologica, propria all'essere
stesso nella sua eterna positivita', indiscutibile e immemorabilmente
attuale. Pareyson concepisce paradossalmente e dialetticamente la liberta'
come inizio e assieme come scelta, unita' originaria irrevocabile in Dio di
inizio e scelta, di eternita' e unicita' nell'iniziare, se stessa e ogni
altro ente o creatura, e di assolutezza e arbitrio positivo nello scegliere:
nel decidere quindi di essere il bene e l'essere dall'eternita' e per
l'eternita', significante simultaneamente e retroproiettivamente
l'esclusione e la vittoria sul male e il nonessere, posti nell'atto di
sconfiggerli e senza che alcuna alternativa precedesse tale eterna e
irrevocabilmente positiva autooriginazione divina.
Ma in quanto ontologica, caratterizzante essenzialmente l'essere stesso, la
liberta' implica allora l'indivisibilita' della liberta' umana e divina.
E se in Dio la liberta' (originaria) e' unita' eterna e indissolubile e
positiva di inizio e scelta: sconfitta del male e vittoria sul nonessere
solo in quanto autoposizione nello scegliersi come bene ed essere, tuttavia
nell'uomo la liberta' (finita) e' solo coincidenza di inizio e scelta,
paradossale coincidenza nella finitezza esistenziale di tempo ed eternita',
autorelazione ed eterorelazione. Cosicche' quel male eternamente vinto in
Dio, senza che ne precedesse temporalmente o ontologicamente l'eterna
autopositivita', nell'uomo dallo stato latente puo' essere riattivato,
essendo l'eterna e irrevocabile unita' divina nell'uomo solo coincidenza
temporale sempre faticosamente da realizzare. Da qui la sofferenza quale
creaturale schiavitu' alla caducita', il male come realta' pienamente umana,
frutto di esistenziale liberta': non corrodente l'essere divino stesso, al
punto da farne fallire il progetto di autooriginazione come positivita',
irrevocabile anche nel suo estendersi alla creazione dell'altro da Dio
facendo kenotico spazio in se', dell'universo creato con a suo radicalmente
libero vertice l'uomo, tuttavia capace di sospenderne indefinitivamente la
compiuta realizzazione.
Eppure, elaborando intrecciata alla propria esistenza una ermeneutica
filosofica dell'esperienza religiosa cristiana, Pareyson riesce con estremo
e umile atto esistenzialmente speculativo ad ascoltare la tacita presenza
del Cristo sulla terra come rivelazione, attraverso la sofferenza,
dell'unione cosmoteandrica che vincola uomini, creature, Dio in un'unica
vicenda segnata si' tragicamente dall'abissalita' della morte e del male, ma
anche riscattabile mediante l'energia e la scommessa del balzo della
liberta'.

[Dal sito del Centro studi Filosofico-religiosi "Luigi Pareyson"
(www.pareyson.unito.it) riprendiamo il seguente articolo di Francesco
Tomatis pubblicato su "Cuneo: provincia granda", n. 2, anno 2000, pp. 16-20,
col titolo "Luigi Pareyson filosofo della liberta'" e il sommario "Nato a
Piasco nel 1918, giovane professore al Liceo classico di Cuneo e al fianco
di Duccio Galimberti nella Resistenza italiana, fra i maggiori pensatori
europei del dopoguerra"]