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L’ultima copia del “New York Times”

di Stenio Solinas - 18/07/2007

Non è la prima volta che il settore si trova ad affrontare una crisi. La morte

della carta stampata fu annunciata già ai tempi dell’invenzione del telegrafo, poi

della radio, infine della televisione. La reazione ci fu sempre e fu positiva. Ma oggi…

Secondo Arthur Ochs Sulzberger

jr., editore del New York

Times, di qui a cinque anni il

suo giornale non sarà più in

edicola. Sarà sostituito, ha

fatto sapere, da contenuti diffusi

via Internet grazie a una

nuova redazione multimediale. Le ragioni

delle sue previsioni sono molto semplici:

oggi come oggi il N.Y.T. vende intorno al

milione di copie, ma ha il doppio di lettori

nel sito web da poco inaugurato, la pubblicità

presente in quest’ultimo è in aumento,

mentre è in diminuzione nell’edizione cartacea,

i costi di carta, stampa e distribuzione

sono proibitivi a fronte dei minori investimenti

necessari on line.

Le previsioni di Sulzberger jr. fanno il paio

con uno studio della Columbia University

che mette come dead line, data ultima, il

2014, e sono solo un po’ più pessimiste di

quelle di Philip Meyer, autore di The Vanishing

Newspaper, che ipotizza invece il 2043

come anno di non ritorno, la fine di un’era

gloriosa e plurisecolare in cui la lettura del

quotidiano era, kantianamente, “la preghiera

mattutina dell’uomo laico”.

Da vent’anni a questa parte i giornali perdono

copie. Non bisogna farsi confondere dai

dati riguardanti la diffusione: ci sono ancora

mercati emergenti, India, Cina, Russia, i

Paesi dell'ex blocco comunista e non è un

caso che dei cento quotidiani più venduti,

settanta siano pubblicati in Asia... Il fenomeno

ci riguarda da vicino perché interessa

l’Europa occidentale e l’Occidente in genere:

in quello stesso arco di tempo, infatti, i

giornali europei hanno perso il 50 per cento

degli introiti pubblicitari e quelli americani

hanno visto una diminuzione del 20 per cento

dei giornalisti.

Fino agli anni Settanta i giornali si facevano

con una tecnologia, la composizione a piombo.

La fotocomposizione, i primi sistemi

elettronici, i computer diedero luogo all’illusione

che fosse possibile – senza metterne in

pericolo l’esistenza – farli meglio, in maniera

più rapida, con costi minori, ma era

appunto un’illusione. Negli anni Novanta

cominciò la riforma della grafica, pagine più

piacevoli, ampliamento dell’informazione;

all’inizio del Duemila fu la volta della riduzione

del formato, per risparmiare sulla carta,

e dell’adozione del full color, per migliorare

la qualità del pacchetto informativo e

sostenere la raccolta pubblicitaria. Lo scorso

anno c’è stato il rilancio di Internet e la creazione

delle prime redazioni multimediali e

oggi ormai l’attenzione è sul web, alla ricerca

di nuovi mercati di nicchia, ma anche per

una copertura immediata di qualità dei grandi

eventi internazionali e internazionali atta a

fronteggiare e battere in diretta la televisione

e i nuovi media.

Non è la prima volta che i giornali si trovano

ad affrontare una crisi. Si parlò della fine

della carta stampata già ai tempi dell’invenzione

del telegrafo, poi quando arrivò la

radio, infine con la televisione, e sempre e

comunque la reazione ci fu e fu positiva.

Questa volta, di fronte alla concorrenza delle

nuove tecnologie del XXI secolo, Internet,

telefonia mobile, tv satellitare e digitale terrestre,

iPod, il problema è più complesso.

Perché non siamo di fronte a puri e semplici

concorrenti nelle trasmissione di informazioni:

con loro, grazie a loro o per colpa loro

ciò che è cambiato è il tessuto sociale nel

quale operano, si sono modificate le abitudini

delle persone e scandito in modo diverso

il tempo della loro giornata. Sembrerà banale,

ma se oggi si vendono sempre meno

copie di giornali, è anche perché non si ha

più il tempo per leggerli. Secondo uno studio

dell’Asahi Shimbun, il quotidiano giapponese

da dodici milioni di copie, ancora cinque

anni fa le lettrici trentenni lo “sfogliavano”

per 17 minuti, oggi non superano i dodici, e

quanto ai loro coetanei di sesso maschile,

sono passati da venti a undici... Tutto ciò

mentre le nuove tecnologie dell’informazione

fanno sì che da quando usciamo di casa a

quando ci rimettiamo piede ci siano decine

di possibilità diverse di comunicare e essere

informati.

C’è poi il problema dei giovani. Per loro i

giornali, che sono comunque costosi da produrre,

sono lenti e difficili da consumare perché

richiedono tempo e impegno, a fronte di

generazioni la cui capacità e volontà di concentrazione

è minima. La realtà giovanile è

una realtà colorata, in continuo movimento,

tecnologica, innovativa, impaziente. L’idea

che per informarsi debbano attendere il quotidiano

del mattino, e per di più pagarlo,

appare ai suoi componenti semplicemente un

non senso. Il successo della cosiddetta Free-

Press si spiega anche così, ma non è sufficiente.

In dieci anni dalla loro prima uscita,

circolano ogni giorno nel mondo 28 milioni

di copie di giornali gratuiti, per circa 60

milioni di persone. Funzionano perché sono

essenziali, li trovi senza doverli andare a cercare,

non costano nulla, non ti fanno perdere

tempo...

Nel bel libro di Vittorio Sabadin L’ultima

copia del “New York Times”. Il futuro dei

giornali di carta (Donzelli, 176 pagine, 15

euri), da cui abbiamo ricavato le cifre e le

previsioni via via citate, c’è una introduzione

di Gianni Riotta ottimistica e tuttavia discutibile.

“Sono i contenuti - dice - non la tecnologia,

il sistema nervoso della comunicazione.

La rivoluzione del sapere non è mai tecnologica,

è sempre di contenuti, non più Bibbie

in latino, copiate da monaci amanuensi o

torchiate a mano da Gutenberg, ma Bibbie

tradotte in volgare”. Il paragone non è calzante,

perchè la Bibbia, comunque tu la presenti,

rimane pur sempre la Bibbia, laddove

l’informazione su carta stampata se cambia

di mezzo, cambia di messaggio... Ha un bel

dire Riotta che “noi, Vecchia guardia della

stampa, piangeremo i giornali di carta, fieri

che l’informazione libera passi e continui

con altri media, come un cavaliere medievale

lucida la sua spada, guardando con invidia

il figlio che lustra il suo archibugio”, ma

gli sfugge il fatto che la guerra contemporanea

non ha più nulla a che vedere con il concetto

di guerra tradizionale, se non per il fatto

che c’è qualcuno che muore...

Metterla sul piano della pura e semplice

informazione, insomma, vuol dire eludere il

problema, più che provare ad affrontarlo.

Naturalmente, nessuno ha la sfera di cristallo

grazie alla quale prevedere con esattezza

quello che avverrà, e in più, essendo noi

periferia dell’impero, i tempi saranno senz’altro

più lunghi, le tradizioni e le abitudini

piu dure a morire... Tuttavia, se la carta stampata

vuole avere un futuro, difficilmente lo

troverà nell’informazione generalista o nella

concorrenza agli altri media in termini di

velocità, semplicità, snellezza: sarebbe una

partita persa, un po’ come contrapporre a un

colpo di fucile il lancio di un coltello... Come

dice il direttore dell’Independent, Simon

Kelner, occorrerà “seguire le notizie con

maggior approfondimento e ampiezza dei

media teletrasmessi. In un mondo nel quale

ognuno ha un blog, ci sarà un premio per le

analisi sobrie, l’editing accurato, il commento

autorevole. Ma la sfida più grande è

anche la più prosaica: come difendere la

qualità avendo da combattere contro il costo

crescente della produzione di un giornale,

con prezzi di copertina che sono troppo bassi

e con la frammentazione del mercato pubblicitario.

Dovremo porre sui processi di produzione

la stessa attenzione che poniamo sui

contenuti editoriali”.

Perché sarà anche vero che la classe giornalistica

spesso fa ridere, ma quella rappresentata

da editori, manager e capi del personale di

certo fa piangere...