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I conti in rosso: la spesa supera il 50% del pil

di Diana Pugliese - 19/07/2007





Il governo Prodi, lo stesso che da tempo si vanta di aver risanato il Paese, è riuscito a raggiungere un altro primato: nel 2006, per la prima volta in dieci anni, la crescente spesa pubblica ha superato la soglia del 50% del Pil.
A sottolinearlo, ieri, durante l’audizione sul Dpef alle Commissioni riunite di Camera e Senato, il presidente dell’Istat Luigi Biggeri che ha inflitto l’ennesima bocciatura alla strategia del governo sui conti pubblici.
L’anno scorso, ha detto il numero uno dell’istituto di via Cesare Balbo, “la spesa pubblica complessiva è cresciuta del 7,9% rispetto all’anno precedente”, segnando un aumento superiore al 3,6% del 2005. La sua incidenza sul Pil, ha continuato, ha così raggiunto quota 50,5%, due punti in più rispetto al 48,6% dell’anno prima. All’aumento della spesa, ha tenuto però a sottolineare il presidente, “hanno influito anche gli interessi passivi”, cresciuti del 5,2%, contro il calo del 2% registrato nell’anno precedente. Secondo Biggeri, alla crescita del rapporto tra spesa pubblica e Pil hanno contribuito per circa il 2% del Pil le uscite straordinarie per i rimborsi dell’Iva sulle auto aziendali, imposta da una sentenza della Corte di Giustizia Ue, e l’accollo del debito della Tav, lasciato privo di finanziamento dal precedente esecutivo. Al netto di tali uscite, ha evidenziato, la spesa sarebbe stata del 48,5% del Pil, più o meno come nel 2005.
Il dato però non deve forviare: nel 2005, il Pil è rimasto sostanzialmente stabile mentre nel 2006 la crescita è stata superiore alle attese. Ciò significa che, anche al netto delle uscite straordinarie, la spesa in valore assoluto è cresciuta in modo rilevante mentre in percentuale è salita almeno quanto il Pil. Considerando che il risanamento è più agevole nei momenti di ripresa e che è sconsigliabile accumulare debito pubblico quando i tassi di interesse sono crescenti, l’inadeguatezza della strategia di Prodi&Co appare evidente.
Come ha giustamente sottolineato anche la Confindustria, d’altronde, il governo non ha concentrato “i suoi sforzi per avviare revisioni dei meccanismi di spesa”. Mentre nel 2006 i conti pubblici “hanno mostrato un effettivo, forte, quanto inatteso, miglioramento dell’indebitamento netto e del saldo primario”, ha detto il vicepresidente Andrea Pininfarina, nel 2007 il governo non si è dato “obiettivi ambiziosi di abbattimento del rapporto tra debito e Pil”. La conseguenza, ha sottolineato non senza ragioni, è che il Dpef 2008-2011 “non sembra indicare una discontinuità rilevante” rispetto al passato, mancando inoltre di “un chiaro progetto di medio termine” e “una linea precisa” sulla Finanziaria. Con la conseguenza che l’aumento delle entrate - che con una perfetta operazione di marketing il governo ha chiamato “tesoretto” - ha dato l’impressione la riduzione delle spese non sia più “di primaria importanza”. Al contrario, come ha ricordato Pininfarina dimenticando però le onerose richieste di Confindustria tra cui il taglio di 5 punti del cuneo fiscale, spezzare il circolo vizioso tra aumento delle tasse e delle spese è fondamentale per il riequilibrio della situazione.
Il periodo sarebbe poi anche favorevole: secondo l’Istat la crescita acquisita al primo trimestre 2007 è stata dell’1,4%. Nei prossimi trimestri, insomma, per centrare l’obiettivo di crescita del Pil previsto nel Dpef (+2%) servirebbe un incremento medio dello 0,4%, vale a dire “un’ipotesi di crescita dell’attività relativamente moderata”. Secondo i calcoli riferiti da Biggeri, la ripresa dovrebbe essere alimentata dalla domanda interna (più 1,2 % dai consumi privati più 0,7 dagli investimenti), mentre quella estera dovrebbe sarebbe “pressoché neutra” perché i due flussi di scambio dovrebbero essere più o meno equivalenti.
Gli auspici degli economisti e dell’opposizione, però, sembrano destinati a cadere nel vuoto. La sostanziale sconfitta dell’incoerente inquilino di via XX settembre di fronte ai ricatti della sinistra radicale, infatti è ormai evidente: “sarebbe stato bello se le maggiori entrate fossero state destinate tutte alla riduzione del debito”, ha ammesso ieri Tommaso Padoa-Schioppa, replicando implicitamente alle diffuse pressioni sull’uso del tesoretto, che per il ministro ha risposto a “scelte ineludibili”.
Mostrando probabilmente più ottimismo di quanto in cuor suo non ne abbia, l’ormai ex-rigorista ha dichiarato che “ci sono tutte le ragioni per avere piena fiducia e superare le difficoltà”. Per uscire dalla difficile situazione ereditata ci vorranno “alcuni anni” ma “le condizioni ci sono”, ha ammesso il titolare del dicastero dell’Economia, ribadendo che il governo non prevede una manovra correttiva per il 2008.
Ignorando il contributo della crescita e della Finanziaria di Tremonti al risanamento, Padoa-Schioppa ha affermato che con la Finanziaria da 35 miliardi del 2007 il governo ha fatto “un passo formidabile” e che il nuovo Dpef rappresenta un cambiamento proprio perché sposta l’attenzione su “voci non strettamente legate al risanamento”. “Nei prossimi due mesi, necessari per predisporre la manovra - ha ammesso Padoa-Schioppa riferendosi ai 21 miliardi previsti per la Finanziaria - la difficoltà sarà di trovare un equilibrio tra le fonti di risorse e l’utilizzo verso queste destinazioni”.
Vale a dire che il problema politico ora sarà di individuare dove è possibile aumentare le tasse (trovando possibilmente una giustificazione demagogicamente accettabile) in modo da coprire le nuove spese previste dal governo dei “risanatori”.