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Il crollo dell'Alitalia? Una farsa pilotata

di Sabrina Lauricella - 20/07/2007




Alla fine è diventata una farsa: la strana gara per la privatizzazione di Alitalia, apparsa ai più fin dal principio decisamente anomala, a pochi giorni dalla scadenza dei termini per la presentazione delle offerte vincolanti sembra essere andata deserta. Dopo uno stillicidio di defezioni durato mesi, anche il candidato principe, Ap Holding (cui si sono di recente affiancati il Monte dei Paschi di Siena, guidato da uomini vicini ai Ds, la banca giapponese Nomura e le americane Lehman Brothers e Morgan Stanley), e quello potenzialmente più interessato, la cordata composta da Mediobanca e i fondi Usa Texas Pacific Group e Mattlin Paterson, sembrano aver gettato definitivamente la spugna.
Le condizioni presenti nel contratto finale inviato nei giorni scorsi dal Tesoro, si legge nella nota di rinuncia della società di Carlo Toto, “non consentono lo sviluppo di un progetto imprenditoriale forte di risanamento e rilancio della Compagnia”. Non molto diversa la spiegazione della cordata capitanata dai fondi americani che ha ribadito che, “esaminata la procedura che regola la Fase delle Offerte Vincolanti della vendita”, ritiene “al momento” di “non essere nelle condizioni di ottemperare puntualmente” alla procedura e di procedere oltre.
Due dichiarazioni che, a ben vedere, lasciano intuire che se il governo decidesse di rivedere i punti più contestati la partita potrebbe anche riaprirsi, magari con l’ingresso in Ap Holding dei fondi a stelle e a strisce, noti proprio per le dure ristrutturazioni realizzate Oltreoceano a scapito dei lavoratori.
Nonostante tutta la stampa dia ormai la gara per fallita, insomma, è proprio sulle condizioni di gara imposte dal governo (e da chi in questa partita lo rappresenta: il ministro Tommaso Padoa-Schioppa) che sembra giocarsi la partita. Appare anomalo, infatti, che accanto alla rinuncia, il patron di AirOne abbia in realtà riaffermato i dettagli del piano industriale di Ap Holding, ribadendo la disponibilità ad impegnarsi nel rilancio della compagnia e il suo interesse per gli sviluppi futuri del processo di privatizzazione di Alitalia, “confidando che il piano messo a punto” sia “la migliore soluzione per il rilancio della Compagnia di bandiera”. “Il rinnovato interesse imprenditoriale”, hanno ribadito i vertici della finanziaria di Carlo Toto, richiede “condizioni di acquisto diverse, che rendano possibile una crescita sostenibile e competitiva di Alitalia”. Stessa posizione, non a caso, è stata presa ieri da Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo e partner finanziario di AirOne nella gara per la conquista della compagnia di via della Magliana. “Il piano industriale di Air One era molto solido, non era solo un piano industriale di risanamento ma era anche di rilancio di una azienda che doveva essere risanata, con tanti investimenti e voglia di fare di Alitalia, insieme ad Air One, uno dei più grandi gruppi europei. Noi avevamo predisposto il piano finanziario, eravamo molto convinti, ci appare come un’opportunità persa per un’azienda molto importante e un po’ anche per il Paese”, ha dichiarato il numero uno della banca da molti ritenuta vicina a Romano Prodi. “Il contratto non era firmabile - ha puntualizzato Passera - c’erano troppe incertezze che venivano lasciate all’acquirente”. Poi, lasciando intravedere retroscena non proprio trasparenti, ha aggiunto: “abbiamo cercato una soluzione che andasse bene a tutti ma ad un certo punto si è dovuto dire così non si può”. “Se ci sarà un’altra possibilità - ha concluso - la valuteremo”. Al coro si è infine unita la compagnia aerea russa Aeroflot, che per bocca del vicedirettore generale Lev Koshlyakov si è detta disposta a valutare la situazione in presenza di “nuovi termini”.
Anche il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, d’altronde, ieri mattina si era dimostrato ottimista, dichiarando ai microfoni di radio24 che la maggioranza si sarebbe consultata e avrebbe trovato il modo per “proseguire”, avendo ancora “un ventaglio di soluzioni” possibili. Soluzioni che però non prevedono la liquidazione, esclusa dal governo, e eventuali nuovi aiuti di Stato, esclusi dalla Commissione europea che ha ribadito per bocca del portavoce del commissario europeo ai Trasporti, Jacques Barrot, che non intende autorizzare nuovi piani di salvataggio per la compagnia aerea dopo quello già concesso nel 2004.
Quali soluzioni restano allora? Senza escludere del tutto l’opzione del Commissario straordinario o della trattativa privata con il singolo partecipante, appare ancora fin troppo probabile l’ipotesi della modifica della condizioni imposte dall’esecutivo che, di fronte all’assenza di pretendenti e con la spada di Damocle di un presunto fallimento, potrebbe giustificare davanti agli elettori eventuali ammorbidimenti, facendoli digerire anche ai più ostili. Tra le condizioni più contestate dai pretendenti di Alitalia, infatti, non ci sono solo i tempi di detenzione delle azioni - che limiterebbero ai fondi Usa la possibilità di speculare sul valore del titolo - ma anche la volontà dell’esecutivo di continuare a intervenire nelle decisioni della compagnia dopo la vendita, nonché il costo delle azioni stesse e, soprattutto, l’obbligo di garantire gli attuali livelli occupazionali. Anche ipotizzando tagli in AirOne a parziale copertura, infatti, lo stesso piano di Ap Holding non prevede esuberi inferiore alle 2.500 unità e richiede due anni di pace sociale, pillole decisamente amare da far digerire ai sindacati e, soprattutto, ai lavoratori. A rendere più facilmente digeribili le due condizioni potrebbe essere però quel baratro di fronte al quale le rappresentanze sindacali sembrano trovarsi ora: cioè il presunto fallimento della gara, situazione rispetto alla quale anche gli iscritti potrebbero accettare gli ammorbidimenti dei sindacati.
E infatti, proprio ieri, riferendosi ai paletti previsti nel bando, il ministro Bianchi ha utilizzato il passato, spiegando che “servivano a garantire” il risanamento finanziario, il rilancio industriale della compagnia, il mantenimento di un marchio di italianità e, soprattutto, dei livelli occupazionali.
Le nuove defezioni, intanto, hanno reso possibili nuove speculazioni sul titolo, inizialmente crollato di oltre il 10% e poi leggermente risalito, contribuendo a rimettere in discussione il valore effettivo di Alitalia, le cui azioni sono state fin dall’inizio valutate dai pretendenti intorno a 0,50 euro ad azione, vale a dire la metà di quanto richiesto dal governo.
Già nei mesi scorsi, dopo le prime defezioni e i reinserimenti strategici di alcuni partecipanti, era sorto il dubbio che dietro a tali comportamenti ci fosse la volontà di spingere al ribasso il valore di Borsa della compagnia di via della Magliana, ipotesi non sufficientemente vagliata dall’Antitrust ma non esclusa da alcuni esponenti politici, a conferma dei contorni farseschi di una gara dagli obiettivi non proprio chiari.
“Temo che assisteremo nei prossimi giorni a manovre speculative al fine di creare una situazione finanziaria per cui Alitalia rischierà di essere ceduta a cifre irrisorie, tra coloro che si sono progressivamente sfilati dalla gara”, ha affermato ieri Dino Ribaldi, membro della Commissione Lavoro di palazzo Madama. “Prima di pensare a trattative private - ha poi aggiunto non senza ragioni il senatore del Pdci - è necessario pensarci non una ma moltissime volte, per evitare, come è successo nel passato, che una grande azienda di cui lo Stato è il maggior azionista venga regalata a qualche furbetto”.
Lo stesso timore è stato sollevato dal capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli che, sottolineando l’importanza del know how e delle professionalità della compagnia, ha invitato a riflettere “sulle ragioni del ritiro dei concorrenti dalla gara”. “Non vorremmo che si fosse formato un cartello tra le varie compagnie per far diminuire il prezzo di mercato dell’Alitalia”, ha ammonito.
La conferma che il governo, in fondo, ha una sua strategia è arrivata dal segretario dei Ds, Piero Fassino. Dimostrando “preoccupazione per il rischio gravissimo di disperdere un patrimonio economico, di professionalità e competenza di cui l’Italia non può privarsi”, l’esponente diessino si è detto sicuro di una imminente “iniziativa del governo per rilanciare proposte che consentano di approdare ad un assetto stabile e definitivo” di Alitalia.
Secondo quanto si è appreso ieri, inoltre, i vertici della compagnia stanno lavorando già dall’11 giugno alla definizione di “linee guida di un piano industriale stand alone” in grado di garantire la continuità operativa della compagnia a prescindere dall’esito della privatizzazione. Soluzione che appare tampone in attesa di successivi sviluppi.
Dubbi arrivano anche dai sindacati, che a ben vedere sono stati in parte protagonisti del teatrino che ha portato alla crisi di Alitalia e attori nascosti di questa gara pilotata del governo. “Mi chiedo a chi giovi questa situazione”, ha chiesto giustamente ieri Bonanni, avanzando il sospetto “che questo cammino formale sia propedeutico a mettere in un vicolo cieco la ristrutturazione positiva dell’azienda e a regalarla a qualche entità che aspetta solo questo”.
Non meno preoccupanti i timori dell’opposizione. Secondo il presidente del Gruppo Lega Nord, Roberto Maroni, non resta che “augurarsi che al governo non venga in mente di utilizzare qualche trucco per svendere la società ad Airfrance” e ciò sarebbe il “sacrificio dell’aeroporto di Malpensa sull’altare dei soliti interessi romani”.
Anche questa ipotesi, a ben vedere, potrebbe non essere del tutto priva di fondamento: la compagnia francese, infatti, ha ribadito ieri che di non essere interessata ad Alitalia - almeno “alle condizioni fissate dal governo” – ma non si può dimenticare che, per accordi già siglati in passato tra le due compagnie all’interno dell’alleanza globale SkyTeam, di cui fa parte anche Aeroflot, l’eventuale acquisto da parte di AirOne e il conseguente ingresso nell’alleanza concorrente Star Alliance, di cui fa parte Lufthansa, comporterebbe ingenti penali da pagare proprio ad AirFrance...
In questo assurdo circo, in cui tutti sembrano giocare un ruolo predefinito per il raggiungimento di uno o più scopi comuni, acquista un significato particolare anche la crisi stessa di Alitalia, che appare aggravata a bella posta da scelte strategiche spesso incomprensibili, come la cancellazione di importanti rotte aeree dall’hub di Fiumicino e il mantenimento di tariffe fuori mercato, nonché da piani industriali miopi che hanno portato alla totale perdita di rilevanti quote di mercato a vantaggio di altri vettori, proprio laddove si registrava una significativa crescita del traffico.