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Hitler e Stalin, la guerra e il petrolio

di Sergio Romano - 20/07/2007

 

In tempi in cui il petrolio costa sempre di più ed è spesso motivo di guerre, mi sorge una domanda curiosa: da dove prendeva l'olio combustibile la Germania nazista? Escludendo Stati Uniti e Russia, non rimanevano che gli Stati Arabi (Iran, Iraq e Arabia Saudita).

Ardengo Alebardi

Caro Alebardi, la Germania ha fatto la Seconda guerra mondiale soprattutto con il carbone: quello delle miniere tedesche e dei Paesi occupati. Grazie al trattato di amicizia stipulato con l'Urss nell'agosto del 1939, poté contare sino al giugno del 1941 su forniture di carbone sovietico; e più tardi, dopo l'inizio dell'Operazione Barbarossa, cercò di sfruttare, nella misura del possibile, i bacini carboniferi della Russia occidentale. Per il suo fabbisogno di petrolio dovette limitarsi a qualche modesto pozzo tedesco, ai giacimenti austriaci e soprattutto a quelli della Romania che fu tra le due guerre il maggiore Paese petrolifero europeo. Il resto venne dal carbone con cui i tedeschi avevano imparato a fabbricare, sin dall'anteguerra, varie forme di carburante sintetico. In un articolo della Air University Review, apparso nel 1981, uno studioso, Peter W. Becker, calcola che dal 1938 al 1943 la produzione di carburante sintetico tedesco sia passata dai 10 ai 36 milioni di barili. Fu un grande successo industriale, ma il quantitativo prodotto non bastò mai a coprire tutte le esigenze di un Paese che aveva enormemente allargato il perimetro del conflitto e combatteva su due fronti (tre dopo il giugno 1944), a grande distanza dalla madrepatria. Secondo Becker la sete di petrolio fu una delle principali ragioni per cui Hitler decise di attaccare l'Urss. Il Paese conquistato gli avrebbe garantito grano ucraino, carbone del Donez e, soprattutto, petrolio del Caucaso e del Caspio. Questa tesi appare confermata dal diverbio che oppose il Führer ad alcuni suoi generali durante i primi mesi della campagna di Russia, nell'estate e nell'autunno del 1941. Secondo il capitano Liddel Hart, autore di una bella storia della Seconda guerra mondiale, le cose andarono così. In agosto, lo stato maggiore propose di concentrare ogni sforzo sulla conquista di Mosca: un obiettivo che avrebbe permesso all'esercito di aspettare la fine dell'inverno nella migliore delle condizioni possibili. La risposta di Hitler, il 21 agosto, fu negativa. «Non sono d'accordo (...). Il principale obiettivo, prima dell'inizio dell'inverno, non è la conquista di Mosca. Dobbiamo occupare la Crimea e il bacino carbonifero del Donez, tagliare le linee di rifornimento che provengono dai pozzi caucasici». Lo stato maggiore insistette e Hitler, come aveva spesso l'abitudine di fare in quelle circostanze, disse che i suoi generali «non capivano gli aspetti economici della guerra». Ma li autorizzò, dopo qualche settimana perduta in scambi di messaggi, a riprendere l'avanzata verso Mosca. Era troppo tardi. Quando giunsero di fronte alla capitale in novembre, i tedeschi constatarono che l'Armata Rossa era meglio organizzata e che il rapido peggioramento delle condizioni climatiche avrebbe rallentato le loro operazioni. Fu lanciato un nuovo attacco, agli inizi di dicembre, e alcuni reparti entrarono nei sobborghi della capitale. Ma le truppe erano esauste e dovettero subire di lì a poco la grande controffensiva di Zhukov. Sul fronte meridionale, nel frattempo, le truppe di Rundstedt avanzarono sino alla Crimea e al bacino del Donez, ma non poterono contare sui carri armati di Guderian, impegnati di fronte a Mosca, e dovettero fermarsi. La corsa verso i pozzi petroliferi ricominciò nella primavera del 1942. Ma in condizioni strategiche, dopo il grande sforzo di mobilitazione dell'Urss, alquanto diverse. Mentre una colonna scendeva verso il Caucaso e il Caspio, l'altra, comandata dal generale Paulus, ne proteggeva il fianco occupando la città che controllava, all'incrocio fra il Don e il Volga, le linee di comunicazione fra il Nord e il Sud. Quella città, caro Abelardi, era Stalingrado, dove cominciò di lì a poco la storia della disfatta tedesca. Quando il corpo del Caucaso dovette fermarsi e cominciare la ritirata, i pozzi petroliferi di Groznyj, in Cecenia, erano a meno di cento chilometri.