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Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 1/15 luglio 2007

Ultime notizie dal mondo 1/15 luglio 2007

di redazionale - 23/07/2007

 

 

a)            USA. Una strategia d’uscita dall’Iraq secondo il New York Times (8). Intanto arriva una terza portaerei nel Golfo (19) e l’arsenale nucleare USA si disloca sempre più nel suo fronte sud in Europa (13). Un non sorprendente sondaggio del Financial Times su come sono visti gli USA nel mondo (2). In Iraq si scheda elettronicamente anche casa per casa (13), mentre salgono i costi (11), i bollettini dei massacri NATO-USA in Afghanistan (3), dei morti occupanti (15) e dei contractor (3).

 

b)            Israele. Vanunu torna in carcere per aver rilasciato un’intervista (3). Il governo Prodi si allinea alla geopolitica di Tel Aviv (9). Il ministro degli esteri olandese invita al disinvestimento contro il “Muro dell’Apartheid” israeliano (9). Dieci paesi europei lanciano l’idea della «NATO in Palestina» (9) con Hamas che promette di accogliere le forze straniere con i mortai (1). Scetticismo USA (10) che teme una resistenza troppo forte della resistenza a Gaza. Palestina. Mentre la mattanza israeliana di civili e resistenti palestinesi continua (6) e Olmert sdogana i soldi palestinesi con Abbas che paga chi è iscritto al suo partito (5), si sblocca la trattativa con Hamas per lo scambio tra il caporale israeliano Shalit e prigionieri palestinesi (7). Il filo-USA e filo-Israele Abu Abbas, intanto, fa arrestare militanti islamici in Cisgiordania (3) e 150 militanti legati al suo partito annunciano la fine della lotta armata (15). La respinge la Jihad Islamica (15). Hamas nazionalizza le forze di sicurezza (13) e dice la sua su al Qaeda (10).

 

c)            Germania. Corte costituzionale benedice le prestazioni di guerra in Afghanistan al servizio di Washington (4). Proposta shock del ministro degli Interni tedesco (9). Perdita di una parte degli archivi segreti delle Forze Armate (9).

 

d)            Russia. Proposta Putin a Bush sul sistema anti-missile (3) e successiva sospensione di Mosca dalla partecipazione della Russia al Trattato sulle forze convenzionali in Europa (14).

  

 

Tra l’altro:

 

Italia / Sahara Occidentale (13 luglio).

Francia (14 luglio).

Somalia (13, 15 luglio).

Kosovo (13 luglio).

Bosnia (10 luglio).

Turchia (5 luglio).

Libano (14 luglio).

Iraq (2, 4 luglio).

Afghanistan (8 luglio).

Cecenia (11, 14 luglio).

India (11 luglio).

Nepal (12 luglio).

Sri Lanka (13 luglio).

Messico (10 luglio).

Salvador (7 luglio).

Panama (11 luglio).

Brasile (12 luglio).

Ecuador (11 luglio).

Venezuela (2, 4 luglio).

 

 

  • Palestina. 1 luglio. Hamas respinge l’invio di truppe straniere a Gaza. Le Brigate di Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, hanno respinto a chiare lettere la proposta del presidente dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), Mahmud Abbas (al-Fatah) di dispiegare truppe straniere a Gaza, qualificandole come «forze di occupazione» e precisando che «saranno accolte con i mortai». «Si tratta di una pugnalata inferta agli sforzi per rilanciare il dialogo fra Hamas e al-Fatah», ha detto il dirigente di Hamas, Mushir al-Masri. «La dislocazione di forze internazionali a Gaza», ha aggiunto, «ha per intento la protezione del nemico sionista, cioè una nuova occupazione nella Striscia».

 

  • Iraq. 2 luglio. Arrestato figura di spicco di Hezbollah. Secondo il Comando USA, l’operativo di Hezbollah addestrava resistenti iracheni. Solo adesso la notizia è stata resa nota dal generale sttaunitense  Kevin J. Bergner, anche se l’arresto è avvenuto il 20 marzo nel sud dell’Iraq. L’uomo, Ali Moussa Daqdouq, sarebbe arrivato in Iraq su raccomandazione delle forze al-Qods, unità di élite delle Guardie della Rivoluzione iraniane. A dire del generale faceva anche da collegamento tra gli iraniani e un gruppo scissionista sciita, guidato da Qais al Khazaali, ex portavoce dell’imam Moqtada al Sadr. Bergner ritiene questo gruppo responsabile di un attacco a gennaio a Kerbala, dove sono rimasti uccisi cinque soldati USA.

 

  • USA. 2 luglio. La principale minaccia per la sicurezza e la stabilità mondiale viene identificata negli Stati Uniti. Lo rileva un sondaggio che il Financial Times pubblica oggi fra oltre cinquemila europei residenti in Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Spagna. Oltre il 32% degli intervistati assegnano agli USA il ruolo di pericolo pubblico numero 1, seguiti da Cina (19%), Iran (17%), Irak (11%), Corea del Nord (9%) e Russia (5%). La rilevazione viene effettuata mensilmente da un anno a questa parte e gli Stati Uniti sono sempre in testa alla classifica, con percentuali oscillanti fra il 28 e il 38%. Negli USA, invece, la principale minaccia viene identificata nella Corea del Nord (25%), davanti a Iran (23%), Cina (20%) e USA (11%).

 

  • Venezuela. 2 luglio. «L’imperialismo americano pretende di far credere al mondo che gli Iraniani sono dei barbari. Ma barbari sono coloro che hanno lanciato bombe atomiche sulle popolazioni innocenti di Hiroshima e Nagasaki, coloro che attaccano e strangolano il popolo iracheno e il popolo palestinese». Lo ha detto il presidente venezuelano, Hugo Chavez, in Iran al termine di un colloquio con il presidente Ahmadinejad.

 

  • Israele. 3 luglio. Vanunu senza pace. Altri sei mesi di carcere per aver parlato con giornalisti. Il tecnico israeliano Mordechai Vanunu, che lavorava al reattore nucleare di Dimona, avrebbe violato la libertà vigilata concessagli, dopo che pure ha trascorso l’intero periodo di detenzione di 18 anni per spionaggio. Aveva denunciato nel 1986, in una intervista al Sunday Times, l’esistenza del programma nucleare militare israeliano. Una volta scarcerato, tre anni fa, gli era stato imposto di non concedere interviste.

 

  • Israele / Palestina. 3 luglio. I servizi di sicurezza di al Fatah hanno di recente arrestato in Cisgiordania dozzine di membri di gruppi islamici nel tentativo di impedire a Hamas di rafforzarsi anche in questa regione, dopo che ha preso il potere nella Striscia di Gaza. Lo scrive il quotidiano israeliano Haaretz, citando una fonte palestinese ad alto livello.

 

  • Russia. 3 luglio. Putin torna a proporre a Bush un sistema antimissili congiunto in Europa. Vladimir Putin ha ribadito ieri a George Bush, nel “vertice familiare” in corso a Kennebunkport, nel Maine, la necessità di mettere in marcia un sistema antimissili congiunto in Europa. Sarebbe associato alla NATO e renderebbe non necessarie le basi statunitensi in Europa Centrale. «Una piattaforma di cooperazione Russia-NATO», l’ha definito Putin ai giornalisti. Il presidente statunitense ha dichiarato anche che Vladimir Putin ha riconosciuto la necessità di cooperare per indirizzare «un messaggio fermo all’Iran» in relazione al suo programma nucleare. Il presidente russo, dal canto suo, ha rilevato che ci sono «segnali evidenti» che l’Iran intende cooperare con l’AIEA, l’agenzia dell’ONU specializzata nel controllo dei programmi di energia nucleare. Obiettivo di Bush, in questo minivertice informale, è anche indurre Mosca ad avvicinarsi alle posizioni statunitensi sullo status futuro del Kosovo.

 

  • USA. 3 luglio. I soldati «fanno del loro meglio per evitare di colpire i civili, ma accade qualche volta che le armi sbaglino obiettivo», ha detto ieri l’ambasciatore USA alle Nazioni Unite, Zalmay Khalilzad. Non è colpa di nessuno, insomma. Eppure ormai sono talmente frequenti le stragi di civili sotto i raid aerei statunitensi e NATO, che anche l’ONU ieri, per bocca del suo segretario generale Ban Ki-Moon si è detto «molto preoccupato e amareggiato per la continua violenza e in particolare per le vittime civili in Afghanistan». Parole dure aveva pronunciato addirittura il presidente fantoccio afgano Karzai il giorno prima, mentre le agenzie battevano la notizia dell’ennesimo massacro «collaterale» nel sud talebanizzato dell’Afghanistan: 80 cadaveri dopo un raid della NATO. Insomma, pare dire l’ambasciatore USA, è colpa degli afgani che non si spostano, o dei cattivi taliban che usano i civili come scudi umani; gli statunitensi ci provano, a non falciare donne, vecchi e bambini, ma non sempre ci riescono. Venerdì scorso a Kabul, Ban aveva incontrato i responsabili della forza internazionale ISAF, chiedendo «attenzione» nei confronti di quelli che il gergo militare liquida come «effetti collaterali». Ventiquattro ore dopo, la strage. L’ennesima, forse solo la peggiore per numero di vittime, ma uguale in tutto a quelle che l’hanno preceduta.

 

  • USA. 3 luglio. Oltre mille il numero di contractors (mercenari) USA uccisi in Iraq e Afghanistan. Sono dati dell’agenzia Reuters. Oltre 13mila quelli feriti nelle due guerre. Sulla base dei dati ufficiali del Pentagono, il confronto mostra una media di un contractor ucciso, nelle due guerre, per ogni quattro militari USA.

 

  • Germania. 4 luglio. La Corte costituzionale tedesca benedice la guerra afgana. Respinto ieri il ricorso dei socialisti della Linke. Le truppe tedesche continueranno a prestare servizio per le guerre imperiali di Washington. Sono 3.200 i soldati tedeschi in Afghanistan e sei gli aerei Tornado che scattano foto del terreno per i bombardamenti statunitensi. I giudici di Karlsruhe hanno fatto proprio il motto di Peter Struck, ex ministro della difesa socialdemocratico e ora capogruppo della Spd al Bundestag: «La Germania si difende anche sull’Hindukush». La Tageszeitung osserva che ora la più alta montagna tedesca non è più la Zugspitze, con i suoi 2962 metri, ma il ben più possente Nowshak, cima di 7485 metri nella catena dell’Hindukush. Se si svincola il concetto di «difesa» da ogni delimitazione del territorio da difendere, si priva di ogni efficacia la messa al bando della «guerra d’aggressione», elemento fondante della costituzione tedesca. Ogni governo potrà presentare un’aggressione come reazione «difensiva», se non altro in vista di ipotetici «futuri attacchi». Già Hitler lo fece il primo settembre del 1939: «Dalle ore 5.45 rispondiamo al fuoco polacco». Intanto sondaggi pubblicati dalla stampa tedesca rilevano che il consenso alla missione si sta progressivamente sgretolando.
  • Iraq. 4 luglio. La situazione in Iraq? Un «bel casino». Lo ha dichiarato oggi il capo di Stato maggiore delle forze armate francesi, il generale Jean Louis Georgelin, incontrando l’Associazione della stampa diplomatica francese. «Nello stesso modo in cui non si cambia un paese per decreto», ha detto, «non si può imporre la democrazia con le armi».

 

  • Iraq. 4 luglio. Approvata la legge che cede il petrolio a compagnie straniere. Operatori locali e imprese straniere di capitale privato potranno costruire e sfruttare le installazioni degli impianti di estrazione e raffinaria per 50 anni. I proventi saranno suddivisi su base etnico-religiosa per le 18 province in funzione demografica. Dopo questo periodo di concessione alle compagnie straniere, le installazioni petrolifere dovrebbero essere trasferite al governo iracheno. Si ignorano i termini più precisi del disegno di legge approvato ieri dal consiglio dei ministri iracheno. Ora la legge passa al vaglio del parlamento, ha detto la tv ufficiale irachena. La prima bozza del provvedimento era stata approvata dal governo in febbraio, ma aveva incontrato la ferma opposizione dei kurdi, che ritenevano di esserne penalizzati. Il testo è stato da allora modificato.

 

  • Iraq. 4 luglio. Il Consiglio degli Ulema, la più autorevole istanza religiosa sunnita in Iraq, ha emesso una “fatwa” contro la legge sul petrolio. La bollano come il primo passo verso la spaccatura del paese e accusano il potere che avrebbero le compagnie straniere nel paese. Numerose opposizioni si registrano anche da parte di forze di governo.

 

  • Iraq. 4 luglio. «Il governo regionale del Kurdistan, una parte chiave nelle negoziazioni sulla legge del petrolio, non ha visto né ha dato il via libera al testo finale della legge». È il secco comunicato con cui il governo autonomo del Kurdistan Sud ha annunciato ieri di non essere stato consultato dal governo iracheno che ha approvato il testo di legge sul petrolio ora passato al Parlamento. Il governo kurdo aggiunge di sperare che l’esecutivo di Baghdad «non abbia approvato un testo con il quale il governo regionale del Kurdistan è in disaccordo, perché si starebbero altrimenti violando i diritti costituzionali della regione del Kurdistan».

 

  • Iran / Corea del Nord. 4 luglio. Fornitura all’Iran di quattro minisottomarini. Questo l’accordo che la Corea del Nord ha concluso con Teheran. Lo riferisce oggi l’agenzia giapponese Kyodo, da Seul, citando una «fonte diplomatica informata». Dovrebbero essere forniti entro metà luglio, in base all’accordo raggiunto a maggio. I minisottomarini potrebbero essere impiegati, in particolare, presso lo stretto di Hormuz contro unità navali statunitensi, se la Casa Bianca deciderà di attaccare.

 

  • Venezuela. 4 luglio. Il governo venezuelano venderà gas all’Iran. Lo ha annunciato ieri, al quotidiano iraniano Shargh, il ministro dell’Energia, Rafael Ramírez, precisando che Caracas ha ricevuto una richiesta in tal senso. Il governo iraniano ha stabilito recentemente il razionamento del gas, che gli analisti interpretano come misura per prepararsi ad eventuali ulteriori sanzioni per il suo programma nucleare. Sebbene l’Iran sia uno dei principali membri dell’OPEC (il cartello dei paesi petroliferi), si vede costretto ad importare più del 40% delle sue necessità, non disponendo della tecnologia necessaria per raffinare il petrolio che produce.

 

  • Palestina. 5 luglio. Israele ha sbloccato parte dei fondi palestinesi illegalmente trattenuti dal 2006 (vittoria di Hamas). Ieri, dopo 17 mesi, il presidente Abu Mazen con una decisione assolutamente discriminatoria ha pagato gli stipendi ai soli dipendenti dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) iscritti al suo partito Fatah. Esclusi i 19mila contrattati da Hamas a Gaza e i 12mila che non sono di al-Fatah in Cisgiordania.

 

  • Turchia. 5 luglio. Il Tribunale Costituzionale turco autorizza la consulta sull’elezione presidenziale. Respinto così il ricorso del presidente del paese, Ahmet Necdet Sezer, contro la nuova legge per eleggere il capo di Stato a suffragio universale. Sarà quindi la popolazione a pronunciarsi sul cambio del sistema di elezione tramite referendum.

 

  • Turchia. 5 luglio. La NATO offre operazione congiunta contro il nord Iraq. Secondo la stampa turca di ieri, il presidente del Comitato militare della NATO, Ray Hanault, ha affermato, in un seminario svoltosi ad Antalya, che l’Alleanza potrebbe applicare l’articolo 5 del suo trattato istitutivo e decidere una risposta congiunta ad un attacco contro uno dei suoi membri, come la Turchia. È la prima volta che la NATO ipotizza un’operazione militare unilaterale nel Kurdistan iracheno contro le basi del PKK. Sinora USA, UE e kurdi nordiracheni (che avrebbero ammassato i loro peshmerga ai confini con la Turchia per resistere) si sono opposti all’intervento.

 

  • Somalia. 6 luglio. «La pace si fa con i nemici, non con gli amici». Lo ha detto l’inviato speciale della Commissione Europea per la Somalia, George-Marc André, critico con l’atteggiamento del governo fantoccio. «È necessario essere chiari e accettare, ad una conferenza di riconciliazione, tutte le parti dello spettro politico. E questo non sta avvenendo», ha detto André, assicurando di stare lavorando perché «tutti i clan siano presenti e ascoltati». «Il governo», ha precisato, «deve anche essere aperto». Intanto a Mogadiscio la situazione continua a peggiorare. Dalla cacciata a dicembre dell’Unione dei Tribunali Islamici, i combattimenti con le truppe etiopi e governative hanno causato, secondo dati ONU, oltre mille morti e l’esodo forzato di circa 400mila persone.

 

  • Palestina. 6 luglio. Nuova sanguinosa incursione israeliana nella Striscia di Gaza, all’indomani della liberazione del giornalista della BBC Alan Johnston. Ieri, almeno otto combattenti palestinesi, in buona parte di Hamas, sono morti nel tentativo di resistere all’avanzata dei reparti corazzati israeliani. Numerosi i feriti tra cui un operatore televisivo palestinese, Imad Ghanem, al quale i medici hanno dovuto amputare una gamba e un piede. Al Jazeera ha mostrato le immagini dell’uomo colpito per ben tre volte dalle pallottole di un cecchino dell’esercito israeliano mentre con la sua telecamera stava riprendendo il raid. Nel video il giornalista giace a terra mentre agita le braccia, quando lo raggiunge una pallottola che fa vibrare il suo corpo e dopo alcuni istanti si ripete la stessa scena. Dopo la condanna della Federazione internazionale dei giornalisti, del Comitato di protezione giornalisti e di Reporter senza frontiere, la replica dell’esercito israeliano è stata affidata alla portavoce Avital Leibowitch: non ha negato né smentito la responsabilità delle truppe di Israele, ma ha comunicato che non è in programma alcuna inchiesta sull’accaduto.

 

  • Australia. 6 luglio. «Siamo in Iraq per il petrolio». Non usa mezzi termini il ministro della difesa australiano Brendan Nelson: «La sicurezza delle risorse è una delle nostre priorità. Ovviamente il Medioriente, non solo l’Iraq, è uno dei principali fornitori di energia, in particolare petrolio, del mondo».

 

  • Israele / Palestina. 7 luglio. Sul caso Shalit, Israele tratta con Hamas. Ofer Dekel, inviato del primo ministro israeliano Olmert, ha incontrato 10 giorni fa cinque membri di Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas, in un carcere nei pressi di Netania, con i quali ha discusso dei termini di un accordo per uno scambio tra il caporale Ghilad Shalit, catturato un anno fa da tre gruppi palestinesi a Karem Shalom, e alcune centinaia di prigionieri palestinesi. L’indiscrezione circolava da qualche settimana, ma ha trovato conferma nelle rivelazioni fatte ieri dall’avvocato di uno dei detenuti coinvolti nei negoziati, che ha chiesto di rimanere anonimo. Miri Eisen, portavoce di Olmert, non ha voluto smentire le indiscrezioni, confermando che qualcosa sta bollendo in pentola. Ieri, il quotidiano arabo al Khaleej (Emirati), citando dichiarazioni del deputato palestinese Ayman Tharagma, ha scritto che Hamas ha delegato ai suoi detenuti la conduzione delle trattative per la liberazione di Shalit ed «i criteri di scelta» di coloro che dovranno essere rilasciati in cambio. Israele ha sempre escluso di poter avviare contatti diretti con Hamas e di voler privilegiare l’interlocuzione con il presidente palestinese Abu Mazen e i mediatori egiziani. Tuttavia la sconfitta di Fatah nella Striscia di Gaza, ora sotto il controllo completo di Hamas, e l’onda di emozione che ha suscitato in tutto il paese la registrazione audio diffusa da Hamas lo scorso 25 giugno in cui il militare prigioniero si è lamentato per il disinteresse del governo nei suoi confronti e ha riferito di essere in cattive condizioni di salute, hanno aumentato le pressioni su Olmert. Secondo l’anonimo avvocato, Ofer Dekel ha detto ai cinque detenuti di Hamas –tutti condannati all’ergastolo– che alcuni di loro (dopo la liberazione di Shalit) potranno tornare a Gaza mentre altri verranno inviati in esilio. Se andasse in porto la trattativa, per il movimento islamico sarebbe un altro successo politico dopo quello ottenuto a metà settimana con la liberazione del giornalista britannico Alan Johnston, tenuto in ostaggio per quasi quattro mesi a Gaza dai jihadisti dell’Esercito dell’Islam.

 

  • Salvador. 7 luglio. Protestano contro la privatizzazione dell’acqua: arrestati con l’accusa di «terrorismo». Gli abitanti del municipio di Suchitoto hanno manifestato oggi per chiedere la liberazione delle persone finite in carcere lunedì scorso, accusate di atti di «terrorismo», nel corso di una pacifica protesta contro la privatizzazione dell’acqua. Al corteo hanno partecipato anche militanti e dirigenti del Fronte Farabundo Martí di Liberazione Nazionale (FMLN), che hanno definito i detenuti «prigionieri politici». Per il dirigente del FMLN, Salvador Sánchez Cerén, «non vi sono motivazioni legali per condannare queste persone, ma solo motivi politici». Secondo Bernardo Belloso Osorio, della giunta direttiva del Cripdes (Associazione per lo Sviluppo di El Salvador), il partito di governo Arena ha orchestrato la vicenda «come una campagna politica». Tra gli arrestati, quattordici in tutto, vi sono i massimi dirigenti del Cripdes. Al termine dell’udienza preliminare, la giudice Ana Lucila Fuentes de Paz ha stabilito il rilascio di uno dei detenuti; tutti gli altri dovranno restare in prigione fino al termine dell’inchiesta.

 

  • Afghanistan. 8 luglio. Raid sulle case e un altro massacro: «altri cento morti». È la cadenza quasi quotidiana delle stragi di civili afgani causate dai bombardamenti NATO. Le recenti proteste del governo italiano contro le ripetute stragi di civili causate dai bombardamenti della NATO in Afghanistan –«impariamo a prendere la mira o smettiamo di sparare», aveva detto pochi giorni fa il ministro della difesa Parisi– non hanno impedito ai bombardieri dell’Alleanza Atlantica di compiere l’ennesima carneficina, proprio nella regione occidentale di competenza militare italiana. «Almeno 108 civili sono morti, tra cui molte donne e bambini. Tredici case sono state completamente distrutte dalle bombe. Il governo invii qui una delegazione per constatare quello che è successo». Così, ieri mattina, Haji Khadairam, il capo del consiglio distrettuale di Balabaluk, nel nord della provincia di Farah, dopo gli «effetti collaterali» di un raid aereo sferrato dalla NATO poche ore prima in questa regione desertica a due passi dal confine iraniano. I portavoce della missione ISAF-NATO hanno dichiarato di aver ucciso solo «trenta taliban» in seguito a «bombardamenti mirati» in reazione a un’imboscata costata la vita a 11 militari afgani. Lo scorso 10 dicembre proprio il distretto di Balabaluk fu teatro di un’offensiva militare coordinata dal generale italiano, che predispose l’attacco delle truppe afghane e delle forze speciali NATO ed i bombardamenti aerei dell’aviazione NATO contro presunte postazioni talebane in quella zona. Azioni alle quali hanno partecipato anche le nostre truppe speciali, ormai da mesi impegnate in missioni combat a fianco delle special forces statunitensi che operano nell’ambito della missione “Enduring Freedom”. Un segreto di Pulcinella di cui sono a conoscenza tutti coloro che si occupano di questioni militari, ma che i governanti italiani continuano a negare.

 

  • USA. 8 luglio. Una strategia d’uscita dall’Iraq. La indica l’editoriale di oggi del New York Times con il titolo The road home. In apertura, dura critica al presidente Bush che «non aveva né la visione né i mezzi» per «costruire un Iraq stabile e unito» dopo «aver distrutto il governo iracheno, l’esercito, la polizia e le strutture economiche». All’attuale piano di Bush, che non va oltre lo «stay the course», l’editoriale contrappone la strategia della «via verso casa», «un ritiro ordinato». Si sottolinea la complessità del ritiro di 160mila uomini e milioni di tonnellate di equipaggiamenti, dovendo scegliere tra le strade insicure verso il Kuwait o un ammassamento in zone di raccolta nei territori kurdi del nord con passaggio successivo in Turchia. In ogni caso viene definito come irrealistico un termine di soli sei mesi per il ritiro. Alle modalità del ritiro viene collegato il problema della basi. Si dà per scontato che gli USA debbano mantenere una presenza militare attiva in Medio Oriente e anche per questa esigenza si avanzano due ipotesi: un accordo con i Kurdi per creare basi USA nel nord Iraq o l’uso delle basi già esistenti in Kuwait e Qatar e della consistente squadra navale nel Golfo Persico. Lasciare l’Iraq dunque non significa per gli USA lasciare il Medio Oriente, qualunque sia l’Amministrazione in carica. Riesce difficile pensare a un accordo con i Kurdi che, pur controllando di fatto il territorio, sul piano giuridico non possono rappresentare un interlocutore ufficiale con cui stabilire trattati formali per la realizzazione e l’uso di basi militari. Senza considerare gli effetti che ciò avrebbe nei rapporti USA-Turchia. Curioso un passaggio dell’editoriale, in cui si dice che il Pentagono deve mantenere «forze sufficienti a condurre bombardamenti aerei e raid efficaci contro forze terroristiche in Iraq, ma non a riprendere combattimenti su larga scala». A cosa servirebbero questi bombardamenti e raid aerei? A chi ci si riferisce con «forze terroristiche»? E la (presunta) sovranità irachena? Generica e vaga, poi, la distinzione tra i raid o i bombardamenti e i combattimenti su larga scala.

 

  • Germania. 9 luglio. Il pretesto è Osama bin Laden, il presunto capo di Al Qaeda. Se mai entrasse in Germania con il suo passaporto potrebbe essere ucciso sul posto da un poliziotto tedesco. In una intervista al settimanale Der Spiegel di questa settimana, il ministro dell’Interno, Wolfgang Schaeuble (Cdu), ha proposto l’introduzione del nuovo reato di congiura e la possibilità di uccisione mirata dei «terroristi». «Alcune proposte del signor Schaeuble sembrano da maniaco omicida», ha detto oggi il capogruppo parlamentare della Spd, Peter Struck, il quale ha invitato la cancelliera Angela Merkel (Cdu) a riportare nei ranghi il suo ministro dell’Interno. Anche le opposizioni e il sindacato della polizia hanno criticato Schaeuble, mentre i partiti cristiano democratico (Cdu) e cristiano sociale (Csu) lo hanno difeso. Schaeuble nell’intervista ipotizza anche di vietare alle persone ritenute pericolose l’uso di Internet e cellulari.

 

  • Germania. 9 luglio. Le Forze Armate tedesche perdono archivi segreti. Alla fine di giugno si è venuto a conoscenza che le Forze Armate hanno informato il Parlamento tedesco della perdita di dati segreti dovuta ad una disfunzione tecnica. Si tratta di informazioni relative alle operazioni internazionali che la Bundeswehr ha realizzato tra il 1999 ed il 2003. Tra queste informazioni, i dati sugli interrogatori cui hanno presenziato militari tedeschi nelle carceri segrete che gli Stati Uniti hanno in Afghanistan e in Bosnia. L’istituzione competente per custodire queste informazioni è il Centro di Informazione della Bundeswehr (ZNBw). In un bunker sotterraneo di sei piani, le Forze Armate hanno raccolto e classificato tutti i dati necessari per i loro operativi in una banca-dati chiamata “Jasmin”. Questo sistema, attivato nel 1998, dopo pochi anni ha mostrato la sua insufficienza ed i dati qualificati come “vecchi” sono stati passati, secondo la Bundeswehr, a nastri esterni per liberare spazio. In seguito si è appurato che detti nastri erano illeggibili e si sarebbe proceduto a distruggerli.

 

  • Israele. 9 luglio. Prodi in Israele dà carta bianca a Israele su tutto: Libano, Iran, Abu Mazen, Hamas. Il primo ministro italiano, in visita ufficiale a Tel Aviv, ha fatto capire che esiste una identità di vedute perfetta con Israele sul Libano. L’esecutivo italiano sarebbe favorevole ad un possibile cambiamento delle regole d’ingaggio per i militari dell’Unifil –il punto più delicato dell’intera missione– se a richiederlo saranno le Nazioni Unite. Accolte le pressioni di Israele che desidera una linea più dura dei caschi blu contro Hezbollah. Sull’Iran Prodi ha garantito il sostegno pieno dell’Italia alle posizioni (e anche ai piani?) di Israele. «Siamo assolutamente d’accordo: l’Iran non può e non deve avere nessuna capacità militare nucleare», ha detto il presidente del consiglio durante la conferenza stampa congiunta al termine dei colloqui bilaterali con Olmert, che da parte sua ha fatto una dichiarazione di guerra: «Non potremo mai consentire che uno Stato (Iran, ndr) che fa appello alla distruzione di Israele possa possedere un arsenale nucleare. Va fatto di tutto per impedirglielo». È paradossale però che Prodi abbia scelto di riaffermare la contrarietà dell’Italia al nucleare militare, mentre visita l’unico paese del Medio Oriente che possiede armi atomiche, che non ha firmato il trattato di non-proliferazione e che continua a mantenere una pericolosa ambiguità sul suo arsenale non convenzionale. Prodi ha tenuto a sottolineare che la politica dell’Italia nei confronti di Israele non cambia «a prescindere dal colore del governo». Oggi Prodi vedrà a Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen e il premier Salam Fayad. Nessun contatto con i dirigenti di Hamas.

  • Israele. 9 luglio. Lettera a Blair: «NATO in Palestina». È il senso più inquietante di una lettera aperta che i governi di 10 paesi mediterranei dell’Unione Europea hanno inviato oggi al nuovo inviato speciale per il Medio Oriente, l’ex primo ministro britannico Tony Blair. Per i ministri degli esteri di Italia, Francia, Spagna, Bulgaria, Cipro, Grecia, Portogallo, Malta, Romania e Slovenia bisogna prendere in conto la necessità di sicurezza d’Israele e considerare la creazione di una forza internazionale per imporre il cessate-il-fuoco fra palestinesi, come ha chiesto Abu Mazen. Per cui «merita di essere esaminata» l’idea di una «robusta forza internazionale, della NATO o del tipo previsto dal capitolo VII della carta dell’ONU». Una idea in cui non compare la parola peace- keeping e invece prevale l’uso della forza. E una forza diretta in primis a venire incontro ai bisogni di Israele (Stato occupante) e in seconda battuta di Fatah di Abu Mazen, e in tutta evidenza contro Hamas. Un’idea che, per non pochi analisti, porterebbe dritti ad un altro Afghanistan in Palestina.

 

  • Israele. 9 luglio. «Mi aspetto che la Riwal smetta di fornire gru per il muro». Di questa «scelta morale di disinvestimento» di boicottaggio per la costruzione del Muro dell’Apartheid in Palestina si era fatto latore il ministro degli esteri olandese, Maxime Verhagen, qualche giorno fa. A sostegno del suo «invito» all’azienda di Rotterdam, aveva ricordato la risoluzione della Corte internazionale di giustizia che nel 2004 stabilì che il muro è «illegale». Con disinvestimento s’intende il ritiro degli investimenti da istituzioni o aziende che sostengono l’occupazione. Tutte le aziende israeliane sono complici, perché discriminano già nel momento in cui, per assumere un lavoratore, danno la precedenza a quelli che hanno servito nell’esercito, escludendo in questo modo la minoranza palestinese in Israele (1.2 milioni di persone) che non presta servizio militare. Il direttore per il commercio e gl’investimenti dell’ambasciata britannica a Tel Aviv, Richard Salt, ha scelto le colonne del quotidiano Ha’aretz per cercare di rassicurare il governo israeliano. «Siamo consapevoli dello shock e della rabbia causati qui in Israele da recenti tentativi di boicottaggio da parte di un gruppo di organizzazioni britanniche», ha scritto ieri Salt. «Il governo britannico non può interferire nelle loro deliberazioni interne, ma certamente noi non appoggiamo tentativi di boicottare Israele».

  • Palestina. 9 luglio. Israele libererà 250 prigionieri di al-Fatah per rafforzare il presidente Abbas. Hamas e Jihad hanno criticato la scarcerazione dei soli prigionieri di al-Fatah. Olmert ha riconosciuto, in un comunicato ufficiale, che «dobbiamo fare tutto il possibile per appoggiare i palestinesi moderati, incluso Mahmud Abbas». Il portavoce di Hamas nella Striscia di Gaza, Fawzi Barhum, ha approvato la liberazione di qualunque prigioniero palestinese, ma ha aggiunto che la scarcerazione «non dovrebbe essere soggetta alla loro filiazione politica, perché ci sono 12mila prigionieri la cui situazione non può limitarsi a quale partito specifico appartiene». Barhum ha aggiunto che nelle carceri israeliane si trovano «prigionieri anziani, infermi e minori di età e la resistenza è responsabile di liberarli» e «la selezione dei prigionieri in virtù dei criteri di appartenenza politici è una decisione ingiusta e danneggia proprio i prigionieri». Barhum ha quindi ricordato che Hamas esige «la liberazione di prigionieri come scambio (per il soldato israeliano Shalit, ndr) senza distinguere tra quelli che sono di Hamas o di al-Fatah». Il portavoce della Jihad Islamica, Daud Shehab, ha espresso posizioni analoghe e ha accusato l’Autorità Nazionale Palestinese di violare il consenso nazionale palestinese per aver accettato la liberazione solo di membri di al-Fatah. Il governo di Tel Aviv ha già fatto sapere che una commissione fisserà la lista dei prigionieri non accusati di reati di sangue che saranno rimessi in libertà. In buona parte si tratterà di «arrestati amministrativi».

 

  • Bosnia. 10 luglio. Modifiche a cinque leggi che riguardano la giustizia, tra cui il codice di procedura penale. Le ha imposte oggi l’Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia, Miroslav Lajcak, succeduto al tedesco Christian Schwarz-Schilling il 2 luglio, forte dei suoi poteri discrezionali. Lo ha reso noto la televisione di Sarajevo.

 

  • Palestina. 10 luglio. Hamas smentisce che cellule di al Qaeda possano essersi installate nella Striscia di Gaza come denunciato ieri da Abu Mazen. Tutti sanno, inclusi i servizi segreti israeliani, che proprio Hamas ha impedito sino ad oggi il diffondersi capillare nella Striscia di cellule che si ispirano ad Osama bin Laden. «Non abbiamo mai consentito alla rete di al-Qaeda e ai suoi uomini di infiltrarsi a Gaza», ha replicato ad Abu Mazen il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri. «Non c’è alcun rapporto tra Hamas e al Qaeda. Con queste accuse Abu Mazen tenta di metterci in cattiva luce davanti all’opinione pubblica internazionale per indurla a dispiegare una forza multinazionale nella Striscia di Gaza». Ieri Abu Mazen, in un’intervista esclusiva a Tg1 e Tg2 (Italia), aveva dichiarato che «attraverso Hamas, al Qaeda sta entrando nella Striscia di Gaza». «È Hamas che protegge al Qaeda», aveva proseguito nelle sue accuse senza fondamento il presidente palestinese. Al Qaeda non ha mancato, a più riprese, di criticare la politica di Hamas. Intervistato dal TG3 (Italia), Haniyeh ha ribadito la sua contrarietà all’invio di una forza internazionale a Gaza:, perché «verrebbe considerata come un’interferenza nelle decisioni palestinesi». Sulla liberazione del caporale israeliano Ghilad Shalit, nelle mani di Hamas da oltre un anno, ha risposto: «Noi abbiamo a cuore la necessità di porre fine all’umana sofferenza di Shalit, ma tutto il mondo deve comprendere anche la nostra richiesta di porre fine alle sofferenze di 11.000 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane». Haniyeh ha infine smentito che sia intenzione di Hamas proclamare un Emirato islamico a Gaza.

 

  • USA / Iran. 10 luglio. Arriva la terza portaerei USA. La notizia circolava da tempo. Ora il Pentagono ha annunciato che è già in cammino la ‘Enterprise’ nel Golfo, dove si trovano già altre due porterei statunitensi. «La Enterprise fornirà potenza navale per rispondere al comportamento destabilizzante e coercitivo di alcuni paesi», afferma una dichiarazione della US Navy, «oltre a dare sostegno ai nostri soldati e marines in Iraq e Afghanistan». L’area del Golfo include anche l’Iran.

 

  • USA / Palestina. 10 luglio. Washington teme una resistenza troppo forte della resistenza palestinese in caso di dispiegamento di una forza internazionale a Gaza. «Non credo che troveremmo molti eserciti pronti a partecipare in quello che si rivelerebbe un ambiente poco comprensivo», ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato Sean McCormack. Washington punta alla formazione di servizi di sicurezza palestinesi efficaci, capaci di rispondere e in grado di operare nelle due zone, la Cisgiordania e la striscia di Gaza. In altri termini, ad un conflitto inter-palestinese.

 

  • Messico. 10 luglio. Gruppo guerrigliero messicano rivendica attacchi contro oleodotti della compagnia petrolifera Pemex. Il gruppo guerrigliero Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR) ha rivendicato le otto esplosioni di Guanajuato e di Queretaro. In un comunicato ai media messicani e firmato dal Comando militare di zona, l’EPR ha precisato che tre plotoni misti, formati da unità urbane e rurali, «hanno realizzato le azioni di attacco nel quadro di una campagna nazionale di ostilità contro gli interessi dell’oligarchia e del governo illegittimo» di Felipe Calderón. Gli attacchi, prosegue l’EPR, proseguiranno «finché il governo di Felipe e quello di Ulises Ruiz (governatore di Oaxaca, ndr) non consegneranno i nostri compagni Edmundo Reyes Amaya, Raymundo Rivera Bravo e Gabriel Alberto Cruz Sánchez», arrestati e scomparsi a Oaxaca il 25 maggio. Tra gli obiettivi dell’ERP, oltre all’apparizione dei suoi membri scomparsi, anche la libertà di tutti i prigionieri politici e di coscienza incarcerati nel paese. In risposta al comunicato e agli attacchi, il portavoce della Presidenza, Maximiliano Cortázar, ha annunciato che l’Esecutivo ha ordinato di rivedere e rafforzare le misure di sicurezza nelle installazioni strategiche di tutto il paese.

 

  • Cecenia. 11 luglio. Imboscata a convoglio militare russo. Tre membri delle forze del Ministero russo dell’Interno sono morte ieri nel municipio di Vedeno. Il blindato sul quale viaggiavano è saltato in aria ed è stato poi oggetto di colpi d’arma da fuoco da un commando della resistenza cecena. Morti il comandante dell’unità e due soldati. Lo scorso fine settimana, il viceministro dell’Interno del governo collaborazionista, Ahmed Dakaev, è stato giustiziato in un’azione della guerriglia nella capitale, Grozni.

 

  • India. 11 luglio. Un centinaio tra soldati e poliziotti cadono in un’imboscata di maoisti nel cuore del paese. Avevano ricevuto informazioni false sull’ubicazione di un accampamento guerrigliero. Il fatto è avvenuto nelle giungle di Maraeguda, 500 km da Raipur, capitale dello Stato di Chatisgarh. I maoisti si sono levati in armi nel 1967 e sono presenti in 14 dei 29 stati del paese.

 

  • USA. 11 luglio. I costi delle guerre d’aggressione in Iraq ed Afghanistan si avvicinano sempre più a quelli del Vietnam. Sinora il costo è salito a 610mila milioni di dollari a fronte dei 650mila milioni che costò il conflitto del Vietnam. Sono i calcoli del Congressional Research Service (un centro indipendente di inchiesta); per il Vietnam è considerata l’inflazione. Bush ora ha chiesto al Congresso altri 147mila milioni per finanziare queste operazioni. In caso di avallo al preventivo fiscale 2008 che inizierà il 1° ottobre, il costo dei due conflitti salirebbe ad oltre 750mila milioni di dollari.

 

  • Panama. 11 luglio. Approvato il TLC con gli USA. L’Assemblea Nazionale ha approvato il Trattato di Libero Commercio (TLC) con gli Stati Uniti, sottoscritto il 28 giugno nella sede dell’Organizzazione degli Stati Americani a Washington. L’entrata in vigore necessita della formale ratifica del Congresso USA, probabilmente a settembre. Numerosi settori sociali di Panama hanno espresso la loro opposizione, temendo ripercussioni negative sull’occupazione e sull’economia nazionale, soprattutto a causa dei sussidi di cui godono i prodotti statunitensi che invaderanno il paese.

 

  • Ecuador. 11 luglio. Correa non esclude lo scioglimento del Congresso dopo l’elezione della Costituente. Lo ha detto in Spagna nel corso della sua prima tappa di un viaggio che lo porterà in vari Stati in Europa. «Durante la campagna pensavamo di no, pensavamo che dovesse mantenere la sua funzione di controllo mentre l’Assemblea legiferava. Ma dopo questi cinque mesi, con deputati della peggior specie, senza ideologia, corrotti, che cercano solo il beneficio personale, credo che l’Assemblea dovrà sciogliere il Congresso e convocare nuove elezioni legislative». Sulla possibilità di ritirare la concessione a un canale televisivo, come avvenuto in Venezuela con Rctv, Correa ha poi affermato: «Se appoggia un golpe, come ha fatto Rctv in Venezuela, lo chiudo. La legge è chiara: non possono incitare alla violenza, ad attentati contro la democrazia».

 

  • Nepal. 12 luglio. Dopo la corona, il re perde anche lo stipendio. Il governo nepalese ha deciso di togliere lo stipendio a re Gyanendra, il monarca assoluto detronizzato dalle grandi proteste popolari dell’aprile 2006 che gli hanno tolto i poteri di capo di stato e dell’esercito. Salito al potere dopo il massacro dell’intera famiglia, Gyanendra è ricco di suo, ma aveva un appannaggio di mezzo milione di dollari e 700 servitori (che resteranno).

 

  • Brasile. 12 luglio. Lula rilancia il programma nucleare con sottomarino. Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha ampliato il rilancio del programma nucleare brasiliano con nuovi stanziamenti mirati al lancio di un sottomarino a propulsione atomica. Lula aveva già annunciato il mese scorso la ripresa del programma di una nuova centrale nucleare, che andrebbe ad aggiungersi alle due già in funzione nel paese. Di un nuovo reattore, Angra 3, che avrebbe dovuto affiancarsi ai già esistenti Angra 1 e Angra 2, si era parlato negli anni Ottanta, ma poi erano mancati i fondi. Ora, non solo il capo dello Stato recupera quel lontano progetto, ma non intende fermarsi qui: «Se necessario costruiremo altre centrali, perché è energia pulita e sicura», ha detto, aggiungendo che il Brasile ha le risorse per arricchire uranio a fini pacifici. Lula dovrà ora vedersela con gli ambientalisti, che contestano da tempo la scelta nucleare.

 

  • Italia / Sahara Occidentale. 13 luglio. Status diplomatico per il Polisario. Sì dell’Aula della Camera. Il testo, oltre a impegnare il governo per concretare ogni iniziativa per una soluzione condivisa e definitiva del conflitto, riconosce alla rappresentanza in Italia del Fronte Polisario lo status diplomatico, come è stato fatto in passato per altri movimenti di liberazione riconosciuti dall’ONU quali interlocutori ufficiali in processi di pace.

 

  • Kosovo. 13 luglio. Proclameranno unilateralmente l’indipendenza del Kosovo se l’ONU non trova una rapida soluzione allo statuto di questa enclave. Lo hanno affermato ieri esponenti albano-kosovari. Serbia e Russia respingono la nuova bozza di Stati Uniti e Unione Europea, che appoggiano il piano del mediatore Martti Ahtisaari, che prevede un’indipendenza sotto supervisione internazionale, ma insistono che sia una decisione appoggiata da tutto il Consiglio di Sicurezza. Ieri USA e UE hanno prefigurato una nuova bozza del progetto di risoluzione per il Kosovo che prevede la continuazione delle negoziazioni tra serbi e albano-kosovari per altri quattro mesi. Allo stesso tempo si accantona l’implementazione automatica dell’indipendenza tutelata se non c’è accordo tra Belgrado e Pristina, come prevedeva la precedente versione. «Sarebbe un’applicazione progressiva», segnalano fonti diplomatiche. Il ministro francese degli Esteri, Bernard Kouchner, ha avvertito la Serbia di accettare le negoziazioni aggiungendo che, se non ci sarà accordo, «si ritornerà al piano Ahtisaari».

 

  • Somalia. 13 luglio. Bombardato a Mogadiscio palazzo presidenziale. Più o meno contemporaneamente venivano attaccati accampamenti militari governativi ed etiopici nel sud della capitale. Poi una serie di sparatorie. La situazione del governo fantoccio installato da USA ed Etiopia mostra sempre più di non avere il consenso nel paese.

 

  • Palestina. 13 luglio. Hamas rimodella le sue forze di sicurezza nella Striscia di Gaza «a partire da principi nazionali», includendo i membri di tutti i movimenti palestinesi. Lo ha detto uno dei suoi dirigenti, Mahmud Zahar. Il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, ha avvertito che il suo movimento è pronto a resistere nelle «più dure condizioni». Ha responsabilizzato il presidente, Mahmud Abbas, delle conseguenze del «castigo» contro Hamas e ha rilanciato l’appello alla formazione di un governo di unità nazionale a Gaza e Cisgiordania.

 

  • Iraq. 13 luglio. Un archivio elettronico per controllare la resistenza. Gli USA lo stanno mettendo a punto in Iraq. Lo scrive il quotidiano USA Today, precisando che soldati statunitensi stanno prendendo le impronte digitali e scannerizzando l’iride degli occhi non solo presso i check point e nei luoghi in cui ci sono stati attacchi, ma anche andando porta a porta con scanner e computer portatili. Ogni informazione viene poi scaricata in un computer centrale. Il nuovo sistema è finalizzato a produrre nuove carte di identità di tipo digitale.

 

  • Sri Lanka. 13 luglio. La guerriglia tamil perde la sua ultima base nell’est. La guerriglia delle Tigri per la Liberazione della Patria Tamil (LTTE) hanno confermato ieri che il proprio ultimo bastione nell’est dello Sri Lanka, nell’area boscosa di Thopigala, si trova sotto il controllo governativo, il che significa la sua sparizione di fatto dalla provincia. Ha comunque assicurato che manterrà le sue attività di guerriglia contro obiettivi militari e strategici non solo nella zona, ma in tutto il paese. «Una cosa è ottenere il controllo di grandi aree e un’altra è mantenerle libere da attacchi e violenza», ha detto il dirigente guerrigliero S.P. Tamilselvan. Ha aggiunto che ripristinare il cessate-il-fuoco raggiunto nel 2002 è impossibile, a meno che il governo cessi di violare l’accordo, il che obbligherebbe le truppe militari a ritirarsi dal territorio preso nell’est.

 

  • USA. 13 luglio. Il nucleare USA lascia Ramstein. Destinazione sud. Le forze aeree statunitensi hanno cancellato la base tedesca di Ramstein dalla lista dei siti sottoposti a controlli periodici da parte degli ispettori dell’arsenale nucleare. In altre parole le armi un tempo dislocate nella base –la più grande al di fuori degli Stati Uniti e quartier generale della United State Air Force in Europe (USAFE)– non si troverebbero più in Renania-Palatinato, nel sud della Germania. La lista in questione, contenuta in un documento non riservato pubblicato lo scorso gennaio dall’USAFE, è al centro di un articolo di Hans Kristensen apparso sul blog per la sicurezza strategica della Federazione degli scienziati statunitensi. Fino al 2005 la Germania è stata tra i paesi europei quello con più basi (tre) coinvolte nella gestione delle armi nucleari di Washington. Oggi i siti militari di Ramstein e Spangdahlem, collegato operativamente al primo, sono usciti dalla lista lasciando il primo posto della classifica all’Italia, con Aviano, in Friuli-Venezia Giulia, e Ghedi Torre, in Lombardia. In Germania rimarrebbero dunque 20 bombe nucleari nella base di Büchel, in Renania-