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Renato Pallavidini? Non è matto. Può insegnare. (Questo accade nell'Occidente liberale: in Italia)

di redazionale - 23/07/2007

Le autorità scolastiche volevano sospenderlo per almeno tre mesi dalla cattedra e dallo stipendio. Motivo: ha criticato l'imperialismo israeliano.
Un'opinione che, per la lobby sionista, è una manifestazione di follia. Ma qualcosa, nell'oliato meccanismo del linciaggio mediatico-burocratico, è andato storto.

Vi ricordate di Renato Pallavidini? Ne abbiamo riferito in aprile (“al rogo il prof”): è il docente liceale di Torino messo alla gogna mediatica e disciplinare per aver espresso un'opinione più che lecita sul sionismo, massima espressione di una persecuzione che ha radici nella sua critica al degrado della scuola pubblica.
Oltre a essere linciato dalla lobby sionista come antisemita, Pallavidini era stato vessato, su istigazione di 2 (dicasi due!) genitori, dalla sua preside, che addirittura aveva revocato in dubbio non soltanto la preparazione professionale del docente, ma addirittura il suo equilibrio psichico, chiedendo e ottenendo una perizia psichiatrica. Dopo due mesi di visite, la commissione medica incaricata di verificare l'idoneità psicofisica all'insegnamento, ha ovviamente deliberato la piena idoneità di Renato Pallavidini alla cattedra. Un epilogo che non cancella una brutta pagina della scuola pubblica italiana.
Abbiamo intervistato Renato Pallavidini, cominciando col chiedergli come ci si senta, a 51 anni e con 23 di onorato servizio, a essere processato professionalmente.
«È stato per un verso umiliante! La scuola italiana è ormai composta, in stragrande maggioranza, da insegnanti incompetenti nelle loro stesse materie curriculari, distanti ormai da ogni sforzo e anelito di ricerca scientifica, reclutati senza concorso o con corsi abilitanti dove si insegna loro solo il "didattichese" berlingueriano che l'ha travolta.
E, in questo quadro sconfortante, di media ignoranza dilagante, che si riflette rovinosamente sui discenti, vengono a rimettere in discussione la professionalità del sottoscritto che, oltre a essere entrato in ruolo vincendo, nel 1983-84, un regolare concorso a cattedre, è sempre stato apprezzato, da discenti e genitori, per la sua preparazione e la chiarezza espositiva in classe. Sto facendo, proprio in questi giorni, il commissario d'esame in un ex Magistrale di Torino e vedo programmi e preparazioni indecenti, per la parzialità degli argomenti svolti e la superficialità con la quale sono stati proposti agli studenti.
Qui naturalmente nessuno sente l'esigenza di indagare! D'altra parte mi rendo conto che, se si verificasse realmente la professionalità del corpo docente italiano con questi criteri (preparazione, impegno costante negli studi delle rispettive materie), dovremmo falcidiarlo!»
Ci racconta com'è andata in commissione? Ha faticato a farsi riconoscere per quello che è, cioè un insegnante capace?
«Non è stato facile! Va detto innanzitutto che, poiché si metteva in discussione la mia attitudine psichica, mi sono dovuto affidare a uno psichiatra di parte che mi difendesse, perché il caso era troppo delicato. La seconda visita medica era di tipo psichiatrico e sembrava un interrogatorio da regime poliziesco: domande sulla vita di coppia di mio padre e di mia madre, su quello che facevo da bambino, persino su come la pensavo riguardo al futuro Partito Democratico!»
Com'è possibile che una visita medica, tesa ad accertare le attitudini psichiche di un docente, indaghi sulle sue opinioni politiche? Ha risposto alla domanda? «Evidentemente siamo in un regime totalitario, un totalitarismo perfetto perché invisibile all'opinione pubblica e perché colpisce in modo selezionato. Il vero autentico totalitarismo, che affonda le sue radici nella società capitalistica contemporanea, come avevano ben capito, già negli anni '40 (osservando non il nazismo o lo stalinismo, ma la società americana) Horkheimer e Adorno. Naturalmente, alla domanda sul Partito Democratico mi sono rifiutato di rispondere! La terza, ultima visita, con la commissione plenaria è stata la più difficile. Mi hanno persino invitato ad accomodarmi fuori, presentando la loro proposta di giudizio ai miei soli psichiatri di parte. La proposta era una sospensione momentanea dall'insegnamento! Io, fuori dalla porta, ho solo sentito i miei due psichiatri di parte cominciare a urlare. Alla fine sono riusciti a convincere la commissione a non fare il lavoro sporco al posto dell'amministrazione scolastica. Fra i provvedimenti proposti a suo tempo dall'ispettore scolastico Favro c'era infatti una sospensione temporanea fino a sei mesi, sulla quale la Consulta disciplinare del ministero si deve ancora pronunciare. La questione è stata scaricata a Roma sin da maggio, mentre, leggendo sui giornali le dichiarazioni del signor Catania, dirigente dell'Ufficio scolastico provinciale, sembrava che la decisione dovesse essere presa a Torino, dall'Ufficio scolastico provinciale stesso, e che ci fosse già una sentenza pronta: tre mesi di sospensione al posto di sei. Tuttavia le basi legali di un simile provvedimento sono fragilissime: ad esempio, non c'è la gradualità della sanzione. Per le mancanze che mi si addebitano non ho mai ricevuto alcun ammonimento da parte della preside del liceo Cavour, né orale, meno che mai scritto. È anche per questo motivo che sia io che i mie psichiatri abbiamo avuto la forte impressione che la commissione avesse subito forti pressioni affinché si pronunciasse per una sospensione provvisoria, con passaggio ad altro incarico, per togliere le castagne dal fuoco al ministero, che adesso si dovrà sporcare le mani!»
Ci sono fatti concreti che hanno alimentato questa vostra impressione?
«Sì. Al termine della seconda visita, quella di carattere psichiatrico, i medici dell'Asl sembravano convinti della mancanza di qualsiasi motivo psico-fisico per sospendermi dall'insegnamento. Poi, alla terza seduta, i miei psichiatri si sono trovati, a sorpresa, di fronte a un orientamento opposto della Commissione, che appunto proponeva una sospensione dall'insegnamento. E qui c'è stata battaglia, con il sottoscritto fuori dalla porta a sentire solo voci molto alte! La linea difensiva è stata proprio quella di far presente alla Commissione che non era suo compito sostituirsi agli organi competenti dell'amministrazione scolastica, ma solo giudicare la mia idoneità all'insegnamento, senza aggiungere altro.»
In totale il suo calvario quanto è durato?
«Per il momento è quattro mesi. E non è finito.»
Qual è il prossimo passaggio?
«C'è sempre il provvedimento di sospensione, su cui dovrà esprimere un parere la Consulta disciplinare del ministero.»
È incredibile che tutta questa sceneggiata sia stata scatenata da una battuta in classe. Ci racconti la sua vicenda dall'inizio.
«Non credo che sia solo riconducibile alle mie affermazioni in classe su Israele (affermazioni che, sino a pochi anni fa, avrebbe potuto fare anche Santoro in televisione senza eccessivo scandalo, perché la denuncia del sionismo era parte integrante degli orientamenti di tutta la sinistra antagonista). Certo, la lobby sionista ha cercato una prova di forza, proprio in uno degli istituti scolastici cittadini dove da sempre è radicata in profondità. Ma la sollecitudine con la quale la preside ha avallato l'attacco politico della Loewenthal [collaboratrice della Stampa e autrice di un attacco a Pallavidini, ndr] e di un'altra genitrice importante della classe I E (i genitori che si sono mossi sono stati solo questi due!), nonché l'atteggiamento assunto nei miei confronti, in tutti questi mesi, dai tesserati Cgil della scuola rivelano uno sfondo più complesso e più meschino. Negli ultimi 7-8 anni hanno sempre dato fastidio, agli ambienti sindacali dominanti la scuola italiana, il mio ostentato disprezzo verso le strutture della scuola berlingueriana dell'autonomia e la mia determinazione gentiliana a muovermi in assoluta indipendenza sui programmi. La cosa è peggiorata quando sono approdato al liceo Cavour. Sin dall'inizio ho subìto forti pressioni perché cambiassi i programmi tradizionali, uniformandoli a quelli dei due colleghi del Liceo della Comunicazione (in pratica una sperimentazione finalizzata a distruggere il liceo classico), banalizzandoli in un "fritto misto" di logica formale e scienze umane, che emargina le grandi tematiche della Metafisica europea e l'Idealismo tedesco. Io, appellandomi alla libertà individuale di insegnamento, ancora sancita dalla Costituzione e dall'ordinamento scolastico, mi rifiutai esplicitamente e dissi alla preside che avrebbe dovuto farmi licenziare per impedirmi di svolgere un programma analitico e approfondito sulla filosofia da Kant a Hegel. Infatti!»
Qual è il suo giudizio sui media che hanno seguito la sua vicenda? Ce ne sono stati di corretti? E di particolarmente negativi?
«La Stampa ha puntato al linciaggio politico sin dall'inizio, mobilitando anche il TG3 regionale (per non parlare di tutti i siti internet sionisti), e si capisce: è il giornale dove scrive Loewenthal! La Repubblica è stata più corretta. Per ciò che riguarda la stampa berlusconiana è meglio stendere un velo pietoso! Su Libero l'arcinoto Pezzana ha chiesto esplicitamente la mia rimozione dalla cattedra. Devo ringraziare lei e il professor Claudio Moffa (cui va tutta la mia solidarietà per l'aggressione fisica subitA e l'attacco politico di cui è oggetto) se, su internet, si è cominciato a dare una diversa visione dell'accaduto.»
Ritiene che senza queste solidarietà la sua vicenda avrebbe potuto avere esiti diversi?
«Sì, la solidarietà che mi è venuta, soprattutto dagli ambienti culturali legati al professor Moffa, credo abbia alleggerito molto la mia situazione. All'inizio, sia la lobby sionista, sia gli ambienti interni al liceo Cavour, che hanno chiesto l'ispezione, credevano fossi una persona isolata e in crisi, facilmente attaccabile. Credo che siano stati ampiamente delusi e lo saranno ancor di più nei prossimi mesi!»
Ne è uscito particolarmente provato, dal punto di vista psicologico?
«È stato l'anno più stressante della mia vita, perché allo stress della separazione da mia moglie si è aggiunto quello di questa pesante vicenda, peraltro con notevoli ripercussioni economiche.»
La sua vicenda è diventata un caso che fa di lei un personaggio pubblico.
Ritiene che, oggi, questo sia un vantaggio? Se sì, come intende utilizzarlo?
«In nessun modo. Da anni ho cessato ogni attività politica militante. Ora chiedo solo che finisca in fretta l'intera vicenda e di ritornare nell'ombra, per trovare la serenità e la forza interiore necessarie a sviluppare studi già intrapresi da anni sul mito indoeuropeo e gl'intrecci fra patriarcato e matriarcato nelle culture più antiche. È anche questo un modo per sottrarsi all'asfissia della modernità.»

Intervista effettuata via internet Segnalata da Edizioni all'insegna del Veltro