Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il tramonto del “partito romano”

Il tramonto del “partito romano”

di Andrea Riccardi - 23/07/2007

    
Il «partito romano» è un gruppo ecclesiastico che ha influenzato la politica italiana, soprattutto nel secondo dopoguerra. Raggiunse l’apice del potere sotto Pio XII. A contrastarlo fu soprattutto l’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, la cui elezione al soglio di Pietro, nel 1963, segna per i «romani» l’inizio del declino.
Alla vicenda che vede questo gruppo di potere come protagonista, lo storico del cristianesimo Andrea Riccardi ha dedicato ventitré anni fa un saggio,
Il «partito romano». Politica italiana, Chiesa cattolica e Curia romana da Pio XII a Paolo VI, che torna in questi giorni in libreria in una nuova edizione arricchita da un capitolo finale che arriva fino all’elezione di Giovanni Paolo II.

Al conclave dell’ottobre 1978, si contrappone a Siri un’altra candidatura italiana, quella del montiniano card. Benelli, arcivescovo di Firenze, che era stato il sostituto di Paolo VI mostrando grande forza e capacità esecutiva nel suo incarico e attirandosi perciò varie ostilità specie in Curia. I cardinali conciliari, che non consentono sulla candidatura di Siri considerandola anticonciliare, non si schierano unanimi con Benelli, noto come un uomo del governo troppo forte (e conosciuto in Italia per la sua simpatia per la Democrazia Cristiana, per il suo appoggio a Fanfani e al referendum abrogativo della legge sul divorzio del 1974). La sua candidatura fa temere un legame troppo stretto tra Chiesa, Dc e politica italiana. Tornano qui temi e problemi che hanno caratterizzato la vita politica e religiosa italiana fin dagli anni del dopoguerra. Un nuovo pontificato non avrebbe dovuto allargare quel distacco tra Chiesa e vita politica, come si era delineato negli ultimi anni di Paolo VI? E il papato del postConcilio poteva essere così legato alle questioni italiane?
... C’è un senso di crisi e di instabilità in Italia, che si riflette nei diversi orientamenti dei cardinali e dei candidati italiani. I cardinali non italiani (e lo hanno dichiarato) riportano un’impressione poco positiva della conflittualità tra italiani nel recinto del conclave. Dall’altra parte i cardinali più legati all’eredità del Vaticano II (e opposti ad una candidatura di Siri) non si concentrano unanimi sul nome di Benelli, ma vanno alla ricerca di un’altra candidatura capace di dare alla crisi una risposta non solo di governo, come pareva quella del cardinale di Firenze.
Tuttavia nel 1978, in Conclave, nello scontro tra il montiniano Benelli e il pacelliano card. Siri si consuma anche il pontificato italiano e si apre la strada ad un’altra soluzione per la successione a Giovanni Paolo I. La divisione tra gli italiani segna la fine di quella tradizione che aveva spinto sempre a ricercare il futuro papa nelle fila dei cardinali della penisola. Ormai, nella guida della Chiesa cattolica, non solo tramontano il mondo e la Curia dei romani, ma anche il ruolo degli italiani, almeno per quello che riguarda il papato. Sembra che, per il momento, la leadership italiana alla testa della Chiesa si sia esaurita. Se ormai lo stile di governo dei romani appare come remoto, anche la visione montiniana si è in qualche senso consumata con il personale più legato al papa defunto. Non si cercano più uomini di governo. Infatti i cardinali, nei due conclavi del 1978, non scelgono personalità italiane che diano garanzie di governo della Chiesa, come potevano darle Paolo VI o le candidature di Siri e di Benelli (pur con orientamenti differenti). Dai due conclavi del 1978 escono eletti due vescovi residenti residenziali con una forte carica pastorale. Il primo, il cardinale Luciani, è ancora italiano. Karol Wojtyla non è solo una figura pastorale, ma anche carismatica, come si rivela nei lunghi anni del suo pontificato. Così nell’anno della morte di Paolo VI, vecchi dibattiti, antichi progetti e speranze, riemergono ma anche tramontano per sempre. Già da prima del Vaticano II, ma soprattutto con il Concilio, si è conosciuta l’eclissi dei progetti «romani». Ma anche la riforma montiniana conosce difficoltà e sembra aver esaurito in parte la sua forza e la sua carica innovativa. La Chiesa è alla ricerca di qualcosa di diverso attraverso la scelta di Giovanni Paolo II, il quale mette in secondo piano i temi della riforma della Chiesa e del suo governo. La politica italiana, anche quella del partito cattolico, è lontana ormai dalla vita della Chiesa. La Democrazia Cristiana, nonostante alcuni tentativi, non ha più quel rapporto con il Vaticano e con la Chiesa, tipico degli anni di Pio XII. Con l’elezione al papato di Montini, che Agostino Giovagnoli considera, a fianco di De Gasperi, un fondatore della Dc, finisce quella stagione di forte integrazione del mondo cattolico con la Dc. La visione conciliare, la scelta religiosa della Chiesa italiana, il ‘68, gli orientamenti a sinistra, mettono in discussione quell’assetto tra Chiesa e Dc che era durato per vent’anni. Il processo è in atto quando muore Paolo VI, anche se il partito cattolico continua ad essere protagonista della politica italiana. Si consuma, dopo l’89, la crisi del partito cattolico unitario, come era stata concepita negli anni della guerra e realizzata con la Repubblica. Finisce quel sistema elettorale e di partiti (la «repubblica dei partiti» secondo Pietro Scoppola) che aveva motivato la collocazione della Dc al centro. Nel bipolarismo italiano sembra non esserci più posto per un partito cattolico al centro. Dagli ambienti ecclesiastici, non partono più impulsi o disegni in campo politico, come era accaduto dopo la Seconda guerra mondiale e nel periodo successivo. Del resto il personale italiano ha un ruolo più ridotto nella Curia. Roma, la diocesi e la Curia, sono ormai tanto diverse dagli anni del dopoguerra.
... Il Concilio sembra aver cambiato in profondità il volto della Chiesa e le sue logiche. Ci si trova oggi in una stagione che viene dopo quella postconciliare e montiniana. Da un punto di vista politico, l’Italia contemporanea è molto diversa da quella repubblicana del dopoguerra. Ma ci sono continuità profonde, come si è accennato, negli uomini, nelle correnti di idee, di sentimenti e di spiritualità. Il «partito romano» viene sconfitto nei suoi disegni politici alla metà degli anni Cinquanta. La forza dei romani nel mondo ecclesiastico conosce una caduta con il Concilio Vaticano II, anzi una vera eclissi. Il conclave del 1963, quello da cui è eletto Paolo VI, è l’ultima battaglia di questo mondo contro un ecclesiastico riformatore. Ma nella Chiesa le continuità e le discontinuità si muovono con scansioni e connessioni differenti da quelle della storia politica e delle altre istituzioni. Soprattutto resta la realtà di Roma. Roma, come sede del papato, mantiene un rapporto particolare con l’Italia (anche con un papa non italiano) e rimane un punto di riferimento non solo tra i cattolici, ma anche nel più vasto mondo cristiano. Questa, però, è un’altra storia che non riguarda né il partito romano né i dibattiti del secondo dopoguerra. [...]

Andrea Riccardi, Il «partito romano». Politica italiana, Chiesa cattolica e Curia romana da Pio XII a Paolo VI.