Caro Direttore, le oligarchie di potere, di destra e di sinistra, entrambe responsabili del progetto Tav, hanno cercato di domare la rivolta della gente della Val di Susa, con un metodo vecchio come il mondo: il “divide et impera”. Hanno convocato a Roma i cossidetti “rappresentanti” del popolo della Val di Susa, il presidente della Regione Piemonte, quello della Provincia, il sindaco di Torino, i sindaci dei paesi valsusini, i responsabili delle Comunità montane, e li hanno bellamente infinocchiati facendogli firmare un accordo capestro. La Tav si farà e i manifestanti, o meglio i loro rappresentanti, si sono impegnati a lasciare liberi i cantieri. In cambio le operazioni d’inizio d’opera verranno sospese fino alla conclusione delle Olimpiadi invernali. Un patto “leonino” in tutti i sensi perché anche ciò che si dà “in cambio” in realtà interessa solo il Governo: che non sia disturbata un’altra, e inutile, “grande opera”, vale a dire le Olimpiadi della neve. Ma la gente della Val di Susa non c’è cascata. E preannuncia per sabato prossimo una manifestazione a Torino, “autogestita”, senza cioè i suoi “rappresentanti”. In ogni caso, comunque vada a finire la vicenda della Val di Susa non è che un inizio. È il sintomo di qualcosa di molto più imponente, che non si fermerà e non può essere fermato. Quella della Val di Susa infatti non è una rivolta ecologista. È una rivolta localista, antiglobalista, antimodernista. Può anche essere che la Tav non abbia quell’impatto ambientale che molti temono. Ma il punto non è questo, non è più questo. Ma è che la gente si è stufata di vedersi passare sopra la testa decisioni che, oltre a toglierle i propri tradizionali punti di riferimento, arricchiscono in astratto la nazione, ma impoveriscono in concreto le persone, dal punto di vista esistenziale ma, da qualche tempo, a causa della globalizzazione, cioè della spietata competizione fra Stati, anche da quello economico. E non ha nessuna intenzione di “mettersi il cuore in pace”. quel che interessa, in Val di Susa come altrove, in Italia come in tutto il mondo occidentale, non è collegarsi sempre più velocemente con questo o con quello, ma avere una vita più semplice, più serena, più equilibrata, più coesa, più umana, anche se, eventualmente, più povera. Poco importa che la sinistra abbia cercato di strumentalizzare la situazione. Perché la rivolta della gente della Val di Susa è contro le oligarchie politiche, tanto della destra che della sinistra, e quelle economiche, che sono le uniche a trarre sicuramente dei vantaggi da un’opera colossale come la Tav. Ed è completamente fuori strada il Governo quando addebita la rivolta agli “anarchici insurrezionalisti”. Non si può delegittimare una rivolta che ha visto uniti sindaci e assessori di ogni colore politico, parroci, operai, impiegati, pensionati, donne, casalinghe, modelle, ragazzi, cioè l’intera Val di Susa, con argomenti alla Bush. Quella del Val di Susa è una rivolta antimodernista. Ed è significativo che questa gente, fino a ieri pacifica e ubbidiente, abbia scelto, per chiamarsi a raccolta, uno stremito antico come le campane delle chiese. Si vuole tornare nelle dimensioni del villaggio, a comunità più piccole, più controllabili dove le persone abbiano almeno l’impressione di decidere da sé il proprio destino. Dice: ma l’interesse nazionale? In un mondo globalizzato non esistono più interessi nazionali ma solo lontanissimi interessi globali ai quali i primi sono subordinati. Inoltre, come ho cercato di spiegare in un paio di articoli, l’Occidente, con gli attacchi alla Jugoslavia e all’Iraq, ha commesso il formidabile errore di abbattere il principio di sovranità nazionale abbattendo però, con esso, anche quello di appartenenza nazionale. Se esistono valori sovranazionali superiori a quelli nazionali ciò vale sia nel grande che nel piccolo, cioè nel locale. Quando le scrivevo sembravano cose teoriche, lontane, la rivolta della Val di Susa ne è invece una prima concretizzazione. Del resto doveva essere evidente anche ai “padroni del vapore”, che una globalizzazione così spinta avrebbe provocato, come reazione, una localizzazione altrettanto spinta, alla ricerca di identità e di radici che stiamo perdendo. Val di Susa emblematizza lo scontro dei decenni a venire. Che non sarà più fra un liberalismo trionfante e un marxismo morente, tra Destra e Sinistra, ma fra modernisti e antimodernisti. Fra élites politiche, economiche e intellettuali, ancora convinte della bontà dello Sviluppo avviatosi con la Rivoluzione industriale, e razionalizzato dall’Illuminismo, e popolazioni esasperate, del Primo e di ogni mondo, che ha finito di credere alla bella favola della Modernità.
su "La Padania" : Massimo Fini www.massimofini.it |