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Baluchistan, l'alluvione rinfocola i conflitti

di Marina Forti - 24/07/2007

 

L'acqua ha cominciato a ritirarsi dalle zone alluvionate del Baluchistan, Pakistan meridionale: ma si lascia dietro un pesante carico di stress, disagi, e anche di risentimenti generati dal ritardo dei soccorsi, la sensazione di essere una provincia discriminata dal governo centrale. Il ciclone Yemyin, che ha investito il Pakistan alla fine di giugno, ha avuto conseguenze disastrose: circa 500 morti o dispersi, 250 mila senzatetto, oltre un milione e mezzo di persone danneggiate soprattutto nelle province meridionali del Sindh e del Baluchistan. In un solo giorno a Karachi, capitale del Sindh, grande metropoli affacciata sul mare Arabico, oltre 200 persone sono state uccise da crolli e dalle scariche elettriche rilasciate dai pali della luce che rovinavano nell'acqua. L'acqua ha provocato frane e crolli interrompendo strade, ponti, edifici - infrastrutture vecchiotte, già vittima dell'annosa mancanza di investimenti pubblici.
Ma il peggio è avvenuto nelle zone meno vicine alla metropoli, in zone urbane e nei distretti costieri del Baluchistan: ed è là che i soccorsi sono stati più lenti, lasciando un malumore palpabile di cui riferisce un dispaccio di Irin News, l'agenzia di notizie dell'Ufficio dell'Onu per gli affari umanitari (il 5 luglio). «Per i primi tre o quattro giorni, quasi nessun aiuto è arrivato alle popolazioni, e si può immaginare il disagio per le migliaia di persone rimaste senza cibo e altri beni di prima necessità», spiega a Irin news Zahoor Ahmed Shawani, avvocato e presidente della sezione provinciale della Commissione per i diritti umani in Pakistan (Hrcp, organizzazione indipendente che rappresenta un vero baluardo di democrazia in un paese che ha vissuto gran parte della sua vita sotto regimi militari).
Insomma: il ciclone, e le sue conseguenze, rischia di andare a rafforzare i conflitti che da anni serpeggiano in questa provincia semidesertica del Pakistan, ricca di risorse naturali (ad esempio il gas naturale) ma lasciata al margine dello sviluppo del paese. Irin News fa notare che proprio la percezione di trattamento discriminatorio da parte del governo centrale aveva provocato nel 2005 un conflitto sanguinoso nei distretti di Dera Bugti e Kohlu, nell'interno (vedi terraterra, 23 marzo 2005), con l'esercito mandato a combattere alcuni clan in armi. Un conflitto strisciante non è mai finito. E ora il ritardo dei soccorsi dopo il disastro naturale rischia di alimentare lo stesso senso di discriminazione. «Il trattamento che il Baluchistan ha ricevuto in occasione di questo disastro mostra in modo semplice quello che i governanti pensano di noi. I giovani baluchi non accettano più di essere trattati come cittadini di terza classe», dichiara (a Irin news) Zuhair Baloch, studente 22enne della capitale provinciale Quetta.
Di fondo c'è un'atavico sospetto nei confronti dello stato centrale: il Baluchistan ha una storia di rivolte fin dagli anni '40 (quando era la provincia più occidentale dell'India britannica), anche per via delle frontiere tracciate dalle potenze coloniali (il territorio abitato da popolazioni baluchi è diviso tra Pakistan, Iran e Afghanistan). Tutto ciò è rinnovato dalle ingiustizie più recenti: la prima è che la percentuale di baluchi sotto la soglia di povertà è quasi il doppio che in Punjab, la provincia più benestante; metà della popolazione baluchi non ha accesso all'acqua potabile e la provincia è in fondo a tutti gli indicatori sociali, dall'istruzione alle vaccinazioni; ma la disoccupazione galoppa.
Certo, il governo ha grandi progetti di sviluppo per il Baluchistan: sta costruendo grandi installazioni portuali (con investimenti cinesi)nella città di Gwadar, sulla costa, per creare un grande snodo di traffico marittimo. Anche questo però crea risentimenti, i baluchi (il loro governo provinciale) lamentano di essere tagliati fuori dai processi decisionali; dicono che il governo centrale di appropria dei profitti prodotti dalla provincia, sia con il gas naturale o con il nuovo porto. L'alluvione, in fondo, è solo l'ultima goccia.