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1942, Stalin l'invasione mancata

di Antonio Giuliano - 25/07/2007

Per lo storico russo Pleshakov, gli ultimi documenti provano che l’implacabile dittatore dell’Urss aveva predisposto un attacco mirato alla Germania nazista Ma Hitler lo anticipò

Certe notti basta chiudere gli occhi per addormentarsi. Ma Josif Stalin, il feroce dittatore comunista dell’Unione Sovietica, non vi era abituato. Soffriva d’insonnia, a tal punto che talvolta rimaneva sveglio fino all’alba. Lo perseguitava spesso l’ossessione che prima o poi qualcuno dei suoi amici e parenti gli avrebbe piantato una pallottola in fronte o nella schiena. Così a volte bastava un sospetto per farli fuori. Eppure quella notte del 21 giugno 1941, Stalin si ritirò di buon’ora nella sua dacia di campagna e si addormentò senza bisogno di contare le pecore, se mai avesse usato questo stratagemma. In realtà Stalin i suoi calcoli li aveva già fatti: stava aspettando il momento più propizio per attaccare la Germania di Hitler. Constantine Pleshakov, storico russo che insegna negli Stati Uniti, lo afferma senza timore di sbagliarsi nel libro Il silenzio di Stalin. I primi dieci tragici giorni dell’Operazione Barbarossa appena tradotto in italiano da Corbaccio (pagine 368, euro 24,00). Prese il nome da Federico Barbarossa la più grande operazione militare terrestre di tutti i tempi: l’invasione dell’Unione Sovietica da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Pleshakov ricostruisce in maniera avvincente il contesto. Nell’agosto del 1939, Stalin si era alleato con Hitler con il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop. Ma il dittatore sovietico non aveva mai dubitato che presto il Führer avrebbe preso di mira l’Unione Sovietica. Era sicuro però che non lo avrebbe fatto prima che fosse stata sconfitta la Gran Bretagna. A nulla valsero le allarmate relazioni delle spie russe in Europa: per Stalin erano solo stupidaggini. Perfino un disertore tedesco svelò al comando sovietico l’imminente attacco nazista. Ma Stalin continuava a dubitare: «Sono solo provocazioni». I suoi generali erano preoccupati, ma non osavano fiatare: dire qualcosa che il capo non avrebbe voluto sentire significava prenotare un viaggio senza ritorno per il gulag. Stalin andò a do rmire impartendo ordini poco convincenti. L’ufficiale Zukov si superò nel coraggio per svegliarlo con una telefonata alle 3.45 del mattino. Non c’era più tempo da perdere: gli aeroplani tedeschi stavano bombardando le città sovietiche. Passò più di qualche minuto prima che il dittatore sollevasse il ricevitore. Zukov fu costretto a ripetere più volte l’allarme. Stalin rispondeva con respiri assonnati e lunghi silenzi. Poi l’incredibile risposta: «Sono provocazioni, non aprite il fuoco o tutto peggiorerà». Solo col passare delle ore il dittatore cominciò a realizzare. Adesso era pallido e stringeva nervosamente una pipa vuota tra le mani. Ma i suoi comandi rimanevano incerti. La prima misura che prese fu del tutto simbolica: fece portare dei poeti alla radio con l’ordine di comporre canzoni patriottiche antinaziste. Quei dieci giorni avrebbero lasciato il segno per sempre nella memoria del popolo russo: i tedeschi penetrarono per 550 chilometri nel territorio dell’Urss seminando morte e distruzione. Al termine della guerra l’Unione Sovietica conterà 27 milioni di vittime. Il piano di Hitler era palese: trasformare la Russia in un deserto. Ma Pleshakov non ha dubbi: Stalin fu soltanto anticipato. Lo storico cita alcuni documenti pubblicati nel 1998, da cui risulta che tra l’estate e l’ottobre del 1940 Stalin discusse con alcuni suoi generali una serie di piani di attacco alla Germania, da realizzarsi nel 1942. Un’azione che avrebbe portato all’ «impero rosso» altre porzioni dell’Europa orientale. Stalin era conscio del pericolo nazista ma riteneva folle che Hitler potesse aprire un altro fronte contemporaneamente a quello con la Gran Bretagna. Ma in quanto a pazzia il Führer non gli era da meno. E del resto Stalin riteneva Hitler secondo solo a se stesso per l’audacia.
Pleshakov è sicuro che potrebbero venir fuori altri documenti, se il governo di Vladimir Putin non avesse di nuovo sigillato gli archivi. Il volume riapre una pagina di storia ancora tra le più discus se. Alla fine l’Urss vinse: per la ferocia di Hitler, che impedì ai tedeschi di sfruttare i sentimenti anticomunisti, la vastità del territorio, il gelido inverno. Decisivo fu anche il «Terrore» pre-bellico del dittatore comunista che evitò un probabile golpe contro di lui. Scrive Pleshakov: «Tra il luglio e il dicembre 1941 furono processate ben 1.339.702 persone di cui quasi il 67,4 per cento fu spedito nei gulag». Però solo l’eroismo dei russi evitò «uno dei più grandi disastri della storia» rimarca Pleshakov. Tutta colpa della «stravagante logica del dittatore rosso». Lo avevano avvertito, i tedeschi avanzavano. Ma lui Stalin «Koba», l’uomo d’acciaio, sognava il suo attacco. E nella sua dacia dormiva beato.