Economia palestinese: il settore privato. Lo strangolamento israeliano di Gaza
di Sam Bahour & Iyad Joudeh - 07/08/2007
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La Striscia di Gaza e la West Bank, compresa Gerusalemme Est, sono terre occupate da Israele che hanno portato disperazione a tutti. Il capitolo più recente di questa storica saga è stata la conquista di Gaza da parte dei militanti di Hamas. Mentre il mondo si interroga su come gestire questo ultimo episodio una cosa è sicura, il Giugno del 2007 passerà alla storia come un punto di svolta nel conflitto israelo-palestinese. Se questo punto di svolta porterà seri miglioramenti verso una reale stabilità nella regione può essere stabilito solo se i donatori cambieranno atteggiamento nel loro sostegno ai Palestinesi, e solo se la comunità internazionale affronta i perduranti limiti posti da Israele allo sviluppo palestinese. In questa analisi dovrebbe essere posto in primo piano il settore privato, che è la sola area in cui uno sviluppo sostenibile può essere realizzato. Come tale, una porzione di ogni donativo dovrebbe andare a sostenere il settore privato palestinese. In violazione degli obblighi previsti dalla Quarta Convenzione di Ginevra del 1949, i firmatari di questa Convenzione chiave -- compreso USA, Gran Bretagna e Russia (la ex URSS) -- hano permesso a Israele, la forza occupante, di creare una strutturale dipendenza economica dell'economia palestinese, mentre allo stesso tempo applicava un labirinto di restrizioni sulla capacità palestinese di dar vita ad una funzionale economia autonoma. Invece di esigere da Israele il rispetto del diritto internazionale, queste nazioni, ed altre, hanno continuato a registrare, anno dopo anno, le violazioni israeliane al diritto internazionale, mentre contemporaneamente pagavano la maggior parte dei costi dell'occupazione. Per lo più il settore privato palestinese è un fenomeno recente. Dal 1967 fino agli accordi di Oslo la comunità degli affari era ridotta e strettamente connessa ai fornitori israeliani, i soli ammessi ad avere un contatto con la comunità palestinese. ll numero di ditte palestinesi private era basso e di ridotte capacità. Non si pensava a produrre per l'export date le restrizioni e i limiti posti dagli Israeliani. Nondimeno, gli embrioni di un'attività economica privata, capace di mantenere se stessa mentre il mondo guardava dall'altra parte, divennero le fondamenta sulle quali la comunità degli affari palestinese si strutturò. Appena le nuove società hanno iniziato a capire che avevano interessi e problemi comuni, specialmente per quanto riguardava i rapporti con l'Autorità Palestinese di recente formazione, così come le perduranti limitazioni poste dall'occupazione israeliana, si iniziarono a creare associazioni imprenditoriali. La maggioranza di queste erano create secondo una dinamica che saldava soggetti dei settori esistenti e know-how con i nuovi arrivati che giungevano da una differente posizione vantaggiosa ad un'economia in sviluppo. Altre associazioni ancora portarono compagnie e persone a riunirsi per la prima volta per stabilire settori nuovissimi in Palestina, come l'Associazione per l'Information Technology Palestinese. Tutto questo ridefinì il baricentro palestinese sullo sviluppo economico e la dinamica degli interventi dei donatori che stavano guidando la gran parte delle attività d'affari. La comunità internazionale seguì collettivamente e presto la politica di separazione adottata da Israele, che venne pubblicamente dichiarata in un discorso dell'ultimo Primo Ministro israeliano Ariel Sharon tenuto ad una conferenza a Herzliya il 18 Dicembre 2003. L'allora Primo Ministro Sharon disse: "Se non progrediamo verso la pace in un periodo di mesi, allora Israele inizierà un percorso di disimpegno unilaterale dai Palestinesi". Questa politica di separazione unilaterale si materializzò immediatamente in una drastica riduzione di manodopera palestinese ammessa all'interno di Israele, dai più di 160.000 lavoratori dei primi anno 90 ai circa 20.000 nel 2003. Funzionari israeliani resero pubblico che intendevano ridurre a zero il numero di lavoratori palestinesi in Israele per il 2008. Mentre l'indicazione più visibile che Israele stava cambiando marcia era l'accelerazione nella costruzione della Barriera di Separazione sulle terre della West Bank, ci sono aspettative realistiche che il concetto di separazione si materializzi presto in molte altre aree come la salute, il commercio, i servizi bancari, le telecomunicazioni, i trasporti e molto altro ancora. Nell'assenza di alternative strategiche, l'implementazione israeliana della separazione unilaterale può solo condurre al collasso totale del nascente ma già esausto settore privato palestinese. Mentre Israele andava avanti con i bulldozer il settore privato palestinese si piegava e subiva il colpo maggiore del martellamento israeliano sulla comunità palestinese. Essendo per lo più gestito fuori dal paradigma dello sviluppo, il settore privato palestinese era abbandonato a se stesso nel trattare con lo sforzo israeliano di mettere in ginocchio la società palestinese. Dopo essere stato legato strutturalmente al mercato israeliano per decenni, la decisione di Israele di separarsi unilateralmente dai Palestinesi arrivò in un momento di massima instabilità. L'eliminazione della manodopera palestinese impiegata in Israele fece fare in 24 ore un salto al tasso di disoccupazione nella West Bank e nella Striscia di Gaza. Il furto di terra realizzato con il Muro di Separazione ha separato i contadini dalle loro terre, causando enormi tensioni sull'agricoltura palestinese. L'esercito israeliano e le azioni politiche per indebolire il nascente 'governo' centrale palestinese ha fatto precipitare l'economia in caduta libera. Con le condizioni economiche e di sicurezza che diventavano intollerabili, l'emigrazione palestinese, o il desiderio di emigrare, ebbero un picco. I Palestinesi tennero elezioni nella speranza di rimettere le cose in carreggiata. Come risposta ai risultati elettorali, Israele ha messo in atto una politica di divieto d'accesso agli stranieri, Palestinesi o no, che ha costretto molti lavoratori a lasciare il paese ed ha assestato un serio colpo al settore dell'educazione, che ha impiegava molti stranieri. L'elenco delle azioni israeliane per indebolire la società israeliana è lungo e variegato, e con un chiaro proposito: bloccare lo sviluppo palestinese ed impedire l'autonomia palestinese, economica o di altro genere. Ora, a seguito degli eventi della Striscia di Gaza del mese scorso, speriamo che la comunità internazionale ha compreso una lezione chiave: che il ruolo del settore privato palestinese nello sviluppo sostenibile non è uno spettacolo collaterale, ma piuttosto la sola concreta piattaforma che può creare una funzionale società palestinese. In media, i donatori hanno versato 350-450 milioni all'Autorità Palestinese tra il 1994 e il 2000. Dal 2001 al 2007, la media è stata intorno ai 650 milioni all'anno. La somma supera i 7 miliardi di dollari, la quota procapite più alta del mondo, se si fa eccezione per Israele che è sussidiato pesantemente dagli USA. Di questi fondi, meno del 5% sono stati investiti nello sviluppo del settore privato. Anche con questo misero sostegno dei donatori il settore privato ha dato prova di determinazione sfidando la crisi. Le conquiste del settore privato palestinese si incontrano in ogni settore e molti semi di una stabile economia sono stati piantati, ma ora hanno bisogno di essere coltivati. I settori economici produttivi sono stati organizzati, le compagnie hanno sviluppato l'esperienza per resistere alle crisi, ed è stata assimilata una maggiore comprensione delle limitazioni della crescita economica sotto l'occupazione israeliana. Uno sviluppo funzionale deve essere visto attraverso lenti differenti da quelle dell'assistenza. Il 7 Dicembre 2006 dodici agenzie ONU insieme a 14 ONG che operavano nei Territori Occupati palenstinesi hanno lanciato un appello di emergenza per 453,6 milioni di aiuti per far fronte agli accresciuti aiuti umanitari palestinesi previsti per il 2007. Questo è il maggiore appello per un'emergenza dell'assistenza umanitaria mai lanciato nei territori occupati della Palestina e il terzo nel mondo per ordine di grandezza. Il contesto in cui questo appello maturava fu riassunto da Kevin Kennedy, il coordinatore degli aiuti umanitari dell'ONU a Gerusalemme che disse: "Due terzi dei Palestinesi nella West Bank e nella Striscia di Gaza ora vivono in povertà. Un crescente numero di persone sono incapaci di soddisfare i propri bisogni alimentari quotidiani e le agenzie riportano che servizi di base some la salute e l'istruzione si stanno deteriorando e peggiorano ulteriormente". Tutto ciò prima degli eventi del mese scorso a Gaza, che hanno solo esacerbato la crisi umanitaria. Senza un orizzonte politico con gli Israeliani, e dopo aver sofferto lo schock degli eventi di Gaza e del loro squallido seguito, il settore privato a Gaza non deve essere dimenticato in questo momento cruciale. Gisha, un centro legale israeliano per la Libertà di Movimento, ha appena diffuso dati impressionanti sull'economia di Gaza, dopo la presa del potere da parte di Hamas. In base ad essi: "il 75% delle fabbriche di Gaza sono state chiuse per via del blocco delle frontiere. Il resto delle fabbriche stanno operando al di sotto delle proprie capacità, a tempo determinato, fino ad esaurimento delle scorte" Israele ha cancellato dai suoi computer i codici di dogana usati per identificare le merci in entrata a Gaza, e ha emesso ordini per non consentire alcuna importazione all'interno di Gaza, con l'eccezione degli aiuti umanitari, come le donazioni di cibo, medicine ed equipaggiamento medico". La situazione è volatile. La politica interna palestinese è posta sotto i riflettori come se la protratta occupazione militare israeliana fosse un fattore irrilevante nel creare le condizioni di un collasso della società palestinese. La comunità dei donatori ha una responsabilità storica verso i Palestinesi, specialmente dopo tanti anni di osservazione da lontano dell'occupazione israeliana, ed un decennio di pagamento dei conti di Israele mentre le azioni di Israele continuano senza freno. La sfida per i donatori oggi è trasformare l'assistenza ai Palestinesi in assistenza sostenibile, uguale per priorità rispetto all'assistenza umanitaria, ma sostenibile nel senso di creare un ambiente che permetta al settore privato di assumere il suo ruolo fondamentale di fondamenta di un futuro stato. Originale da: Arab News , ripreso da http://imeu.net/news/article006053.shtml |
AUTORE: Sam BAHOUR & Iyad JOUDEH
Tradotto da Ginaluca Bifolchi