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Consumisti si diventa

di Diego Barsotti - 09/08/2007

Se il Pil è un dogma e se il Pil è formato al 60% dai consumi, dov´è che il mercato indirizzerà i propri investimenti in ricerca e sviluppo?
L’indagine di Confcommercio sull’evoluzione dei consumi europei negli ultimi dieci anni ci informa che se nel 1995 gli europei spendevano soprattutto per beni di prima necessità come alimentari e vestiario, dieci anni dopo sono mobilità e relazioni ad essere in cima alle loro preferenze: trasporti, comunicazioni e servizi ricreativi, alberghi e ristoranti, infatti crescono più di ogni altra macro-funzione di spesa. Ovviamente verrebbe da dire. Basta pensare a quanti pochi antenati degli odierni telefonini giravano in Europa, e al fatto che la frontiera della tecnologia trovava le sue roccaforti in vecchi pc 486, floppy disk, audio e videocassette. Così come sul fronte della mobilità basta ricordare che proprio nel 1995 tra l’aeroporto di Waterford, nel sud-est dell’Irlanda, e l’aeroporto londinese di Gatwick fu effettuato il primo volo lw cost della Ryanair, su un aereo a turboelica da 15 posti.

Gli analisti di Confcommercio sottolineano, che analizzando le dinamiche di spesa e le relative variazioni nel periodo 1995-2005, appare il profilo di un consumatore la cui domanda risulta correlata più a fattori socio-culturali che economici, sempre più orientata verso i servizi ed i beni in grado di soddisfare le nuove esigenze di consumo, connotate da contenuti innovativi.

Questo spostamento di bisogni (il concetto di “bisogno di prima necessità” in realtà è quantomeno vago e sicuramente soggettivo) è stato quindi fortemente influenzato dall’innovazione tecnologia. Innovazione che si è sviluppata seguendo un’unica ( ovvia?) direttrice, quella del mercato: se infatti è vero che il Pil europeo è formato al 60% dai consumi, è evidente che il mercato, lasciato libero di agire, abbia indirizzato i propri investimenti in ricerca verso innovazioni che consentissero di incontrare e indurre nuovi bisogni nei consumatori. Strategia che supportata a ruota da una forte aggressività dell’offerta ( vedi gli investimenti in pubblicità per questi prodotti) ha dato i risultati sperati (in termini di vendite e di consumi e di incremento del dogma-Pil).

Lezioni da trarne? Sempre la stessa: l’innovazione tecnologica lasciata al mercato difficilmente viene indirizzata a uno sviluppo sostenibile e a una riconversione ecologica dell’economia: gli investimenti vanno nel prodotto e solo raramente nel processo. E quando questo avviene, è indirizzato al risparmio di lavoro. Solo recentemente, vuoi per l’utilizzo delle leve fiscali o per la necessità di “rinverdire” l’immagina di un marchio, di una fabbrica, di un settore, si è cominciato a intervenire sul risparmio di energia.

Per il risparmio di materia non c’è nulla da fare, anzi. Perché guarda caso i consumi che crescono “consumano” anche più materia. E, sempre guarda caso, quella materia quando giunge a fine vita (l´obsolescenza programmata di un prodotto hi-tech è di 18 mesi) diventa rifiuto classificato come pericoloso.