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Chi delocalizza fa più utili

di Galapagos - 10/08/2007

 
Un 2006 niente male per le grandi e medie imprese italiane: crescono utili e produttività. Lo dice l'indagine annuale di Mediobanca


Crescono gli utili, diminuisce un po' l'occupazione, resta stabile la quota del costo del lavoro sul valore aggiunto: a fare «buoni affari», conferma il rapporto annuale di Mediobanca, sono soprattutto le imprese che delocalizzano, mentre e, ancora una volta, quelle a controllo pubblico si confermano le più dinamiche e quelle che fanno maggiori utili. La foto scattata dalla ricerca Mediobanca («Dati cumulativi di 2015 società italiane») da l'immagine di un sistema economici che anche se non scoppia di salute, ha vissuto un 2006 niente male: gli utili complessivi hanno toccato i 26,485 miliardi, contro i 25,293 del 2005 con un incremento del 3,1%. L'indagine del 2006 (la prima risale al mitico 1968) è stata condotta su 2015 imprese, 5 in più dell'anno precedente. Si tratta del cuore produttivo del sistema italiano, visto che le società del campione rappresentano il 44% del totale delle imprese industriali con oltre 20 dipendenti censite nel 2002; il 60% di quelle dei servizi pubblici , il 46% nei trasporti, il 22% nella distribuzione al dettaglio. Nel solo settore manifatturiero il campione copre il 40% del fatturato, il 51% delle esportazioni, il 31% degli occupati e il 44% degli investimenti.

Altri numeri che sono interessanti riguardano la proprietà: 158 imprese (con un fatturato pari al 22,2% del totale) sono a controllo pubblico italiano, 1.274 imprese (47,6% del fatturato) sono a controllo privato italiano e 583 (30,2% del fatturato) a controllo estero. Osserva Mediobanca: «negli ultimi 4 anni la componente estera si è modificata in modo significativo solo nel terziario, salendo dal 14% al 31% a seguito del passaggio di mano di possessi di controllo in aziende delle telecomunicazioni e della distribuzione organizzata». Cioè l'acquisizione di Wind da parte dell'egiziano Sawiris e il rafforzamento della grande distribuzione francese in Italia.

Dai dati sul fatturato e il valore aggiunto emerge che vano meglio le imprese che delocalizzano. Infatti «la domanda internazionale tende a essere intercettata principalmente attraverso strutture produttive localizzate all'estero». Una conferma si ha «dai voluni in gioco: le imprese del gruppo localizzate in Italia coprono il 60% del fatturato locale, ma la quota esportata solo il 26,5%; la componente estera misurata sul giro d'affari mondiale supera invece il 50%. In valori assoluti, le vendite estere globali sono pari a 2,8 volte le esportazioni dall'Italia». Questo significa che i benefici della crescita delle vendite e del fatturato di molte grandi aziende non producono effetti positivi sull'economia italiana».

Mediobanca, però, sottolinea anche un altro aspetto problematico: «nel 2006 il valore aggiunto delle 2015 società è aumentato dal 2,6%, uno sviluppo inferiore a quello (10%) del fatturato». Perché si è ampliata questa forbice? La ricerca non ha dubbi: la conferma del trend (di divaricazione tra fatturato e valore aggiunto) deriva soprattutto dal «crescente outsorcing (nell'ambito di filiere stabilmente organizzate) che ha portato a un maggior ricorso a servizi di terzi». E il modello Fiat ne è l'esempio migliore.

Quanto al lavoro, nel 2006 si è assistito a una forte decelerazione della riduzione degli occupati. Mentre tra il 2003 e il 2005 erano stati distrutti 46,266 posti di lavoro (43 mila solo nei settori industriali) nel 2006 è andato un po' meno peggio: le forze di lavoro sono diminuite solo di 1.226 occupati, lo 0,2% e la riduzione ha interessato le imprese pubbliche con 3.215 uscite, mentre nel privato c'è stato un saldo netto positivo di 1989 lavoratori.

A proposito di lavoro, la quota del costo del lavoro sul valore aggiunto è rimasta stabile al 48,3%: poco più di 20 anni fa (nel 1974) - secondo i dati storici di Mediobanca - al lavoro andava il 70% della ricchezza prodotta. In ogni caso, «il valore dei beni prodotti da ciascun dipendente è cresciuto del 6,2% a fronte di una variazione positiva dei costi unitari del lavoro pari al 3,3%». Insomma, le imprese hanno recuparato produttività per 2,9 punti. Sul fronte degli utili (quelli ovviamente denunciati al fisco) è diminuito il numero delle imprese in utile, mentre sono aumentate quelle che denunciano perdite. Ma quelle in utile hanno «accresciuto i profitti» che infatti sono aumentati parecchio rispetto al 2005, anche grazie alla crescita dei proventi finanziari.