Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Georgia: tulle le spine della "Rivoluzione delle rose"

Georgia: tulle le spine della "Rivoluzione delle rose"

di Giulietto Chiesa - 10/08/2007





 

Forse un missile, forse una bomba russa, sganciata, forse per sbaglio, forse per avvertimento, da un aereo russo; forse una finta bomba russa sganciata, non per sbaglio, da un vero aereo georgiano. La verità, in queste cose, è inutile cercarla, anche perché domani sarà superata da altre non verità. L'essenziale è capire cosa significa quello che, dal 2003, sta succedendo nei rapporti tra la Georgia e la Russia. Quel novembre di quattro anni fa, denominato la Rivoluzione delle Rose, segna il passaggio – definitivo, ma cosa c'è di definitivo nelle cose umane? – della Georgia dalla sfera d'influenza russa a quella americana.

Putin subisce (che altro può fare?) , ma segna nel libro dei conti la perdita e i possibili guadagni.

Ha delle carte da giocare e le giocherà non appena si presenta l'occasione.

Le carte si chiamano Ossetia del Sud e Abkhazia. Una era una repubblica autonoma e l'altra era una regione autonoma, entrambe all'interno della Repubblica Socialista Sovietica di Georgia, quando ancora esisteva l'Unione Sovietica.

A quei tempi non si badava troppo ai confini: intanto erano tutti sovietici e, tirate le somme, era Mosca che comandava da una parte e dall'altra. Ma, finita l'Urss, tutte le tensioni tra ex “fratelli sovietici”, sono diventate importanti, vitali. Tanto che si è cominciato a morirne, lungo tutte le quasi invisibili demarcazioni che anche il sistema sovietico era stato costretto a segnare sulle carte. E quei confini si sono insanguinati. Molti se non tutti. Nel Caucaso quasi tutti, prima o dopo. Alcuni non ancora ma è solo questione di tempo.

La Georgia, poi è stato il campo più minato dagli odi. Anche perché il primo presidente democraticamente eletto dai georgiani, tale Zviad Ghamsakhurdia, si mise in testa che tutte le autonomie andavano abolite e che la Georgia democratica sarebbe stata dei georgiani, e basta. .Gli altri, nel caso specifico gli osseti, gli abkhazi, i mingreli, dovevano adattarsi.

E siccome gli altri non si adattarono, lui mandò le truppe a massacrarli, mentre quelli proclamavano le loro sovranità. Solo che , con l'aiuto della provvidenza, e dei russi, abkhazi e osseti, la sovranità se la presero con le armi, sconfiggendo i georgiani.

Correvano i primi anni '90. Al potere a Mosca c'era Boris Eltsin, uno dei principali responsabili del disastro. Lasciò fare, anzi ci mise del suo cominciando la guerra con la Cecenia di Dudaev, e anche lui fu sconfitto.

Ma la Russia non era Eltsin. Venne Putin, che alle sfere d'influenza ci teneva e ci tiene. Shevardnadze, tornato a Tbilisi come salvatore della patria, si alleò con Washington. E Mosca tenne in caldo le caldarroste dell'ex Georgia, appunto Sukhumi e Tzkhinvali.

La differenza la fecero i dollari. Washington si è comprata la Georgia, con cinque milioni di dollari l'anno, all'inizio. Spiccioli. Gli oligarchi di Mosca non avevano niente da dare agli amici della Russia, dovendo mandare i loro denari nelle banche svizzere e negli offshore. Ma avevano armi in quantità gigantesche. E un esercito allo sbando ma numeroso. Quello diedero e bastò, perché si sommava alla paura che abkhazi e osseti avevano di tornare sotto il giogo del Ghamsakhurdia di turno.

Poi arrivò l'avvocato “americano” Saakashvili, anche lui con la promessa di riunificate le terre perdute dalla Georgia. E siamo alle “rose” del 2003.

Da allora è scaramuccia continua. Mikhail Sakashvili è convinto che, se la Georgia entra nella Nato, la Russia dovrà cedere e lasciare al loro destino l'Ossetia del sud e l'Abkhazia. La Nato, che fa il gioco di Washington, incoraggia le speranze (o le illusioni). Tbilisi tiene alto il fuoco perché in questo modo pensa che non sarà abbandonata. Il presidente Saakashvili dichiara (12 febbraio di quest'anno) che la Georgia entrerà nella Nato nel 2009. Intanto raddoppia il contingente di soldati georgiani che combattono in Irak a fianco di quelli americani e inglesi, guadagnando altri crediti a Washington.

Qualche mese prima arresta quattro ufficiali russi di quelli che ancora stazionano in Georgia. E Mosca risponde interrompendo ogni relazione, trasporto e rapporto anche economico con la Georgia. Poi è la guerra dell'alcool, poi quella del vino.. Tutto fa brodo per attizzare la tensione.

L'Europa – che è impegnata con una forza d'interposizione, insieme alla Russia - non si vede quale interesse abbia a sostenere l'ingresso della Georgia nella Nato. Che, tra l'altro, metterebbe le truppe russe a contatto diretto con quelle della Nato anche a sud, dopo la identica situazione a nord, sul Baltico.

Brutta storia, perché mettersi in casa ospiti così bellicosi significa poi farsi trascinare nelle loro liti. Intanto Putin esce dal trattato sulla limitazione delle armi e forze convenzionali in Europa. Muoverà le sue truppe come gli pare. E se Washington insiste lascia capire che riconoscerà Tzkhinvali e Sukhumi, e forse anche Tiraspol. Si marcia verso grandi tensioni. Ci serve? A cosa serve?