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Chi davvero vuole l’evasione! (terza ed ultima parte)

di Claudio Bianchini - 15/08/2007

 
 

Evasione fiscale: ciò che non viene detto
Oltre che per ragioni morali e di giustizia, tutti i cittadini sono tenuti costituzionalmente a concorrere in ugual misura alle spese dello Stato.
Sotto l'aspetto legislativo questo criterio è stato espresso nel nostro Paese in 2 modi: attuando una tassazione al consumo (IVA e imposte di fabbricazione), in modo che chi più consuma più concorre alle spese dello Stato e, contemporaneamente, prevedendo scaglioni di tassazione sul reddito proporzionali (esempio: sui primi 15.000 euro di reddito si paga il 23%; da 15.001 a 28.000 euro il 27%; ecc.).
Il principio di per se non fa una piega, ma viene in parte snaturato da 2 eccezioni: la prima è costituita dalle società di capitali con soci esteri; la seconda è costituita da una serie di soggetti che, in virtù di una normativa ad hoc, non pagano imposte o le pagano in misura irrisoria.
Per quanto riguarda la prima eccezione, vale a dire le società di capitali, queste pagano le imposte in percentuale fissa sul reddito e non in percentuale progressiva.
Quando poi il socio ritira gli utili già tassati in questo modo (che si chiamano dividendi), sconta una ulteriore tassazione nella propria dichiarazione dei redditi, e quindi alla fine anche il reddito prodotto dalla società soggiace al principio dell'imposta progressiva.
Non è detto però che ciò succeda quando i soci della società sono esteri, ed in particolare quando si tratta di una multinazionale.
Per un motivo o per un altro, attraverso le pieghe della normativa fiscale, sia nazionale che internazionale, le multinazionali riescono il più delle volte ad eludere l'ulteriore tassazione del dividendo in capo ai soci esteri.
Con particolare vantaggio per quelle multinazionali che operano in Paesi dove la fiscalità per le aziende è bassa (non l'Italia).
Non si tratta di una problematica italiana, ma di una caratteristica di tutto il sistema occidentale.
Per risolverla occorrerebbe ricorrere ad una legislazione sovranazionale, che non c'é.
Rimane il fatto che sulla capacità di elusione fiscale da parte delle multinazionali sulla stampa nazionale economica se ne parla molto poco.

E' curioso, invece, constatare come il sistema globalizzato anziché preoccuparsi di predisporre una normativa internazionale che fronteggi sotto l'aspetto fiscale lo strapotere delle multinazionali abbia, con solerzia, favorito la creazione, più o meno presso ogni Stato che accetta queste regole, di zone franche ove si possano fare operazioni a tassazione agevolata (Antille olandesi, Isole Cayman, ecc.).
Ancora una volta, provate ad indovinare quali aziende e quali soggetti più facilmente ne possono approfittare!
Per quanto riguarda la seconda eccezione, relativa ai soggetti che in virtù di apposite norme legislative concorrono irrisoriamente alle spese dello Stato, va detto che i gestori del potere da tempo hanno imparato ad emanare leggi ad hoc per escludere o ridurre le imposte sui loro redditi.
Non stiamo parlando di norme agevolative per sostenere settori strategici, innovativi, o specifiche aree geografiche del nostro Paese, ma di norme che premiano settori solo perché questi sono espressione di particolari interessi privati.
Possiamo classificare i soggetti che non pagano o pagano meno tasse degli altri in virtù di apposite Leggi come segue (il termine sarebbe evasione fiscale, ma siccome in questo caso le imposte non si pagano per Legge, non si può dire):
- il sistema politico;
- il sistema bancario;
- i grossi gruppi industriali.


Il sistema politico da tempo legifera per agevolare fiscalmente se stesso.
Non siamo gli autori del libro «La casta» (vale davvero la pena di leggerlo) per cui non insisteremo su ulteriori dettagli.
Si sottolinea solo che nel complesso questi signori assoggettano a tassazione i loro redditi in misura non significativa (sembra non oltre il 25% complessivamente), oltre a godere di altri numerosi vantaggi e privilegi; e nessun giudice, costituzionale o della Corte dei Conti, ha mai espresso un'eccezione di incostituzionalità su queste norme, né risulta abbia iniziato o fatto iniziare un'indagine.
Altro che indipendenza della magistratura.
Ricordiamoci anche del fatto che sono poi questi nostri rappresentanti politici a nominare i responsabili dell'Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, che controllano i nostri conti.
Insomma, se il pesce puzza dalla testa, come dare torto a chi pensa che i soldi versati allo Stato siano soldi in gran parte buttati via e che alla collettività non rientra nulla salvo il minimo indispensabile per mantenere il consenso del voto? (Leggesi clientelismo).
Quanto al sistema bancario va detto che anche in questo caso si è di fronte ad un massiccio non pagamento di imposte stabilito dalla legge.
Le banche prestano denaro virtuale senza alcun obbligo di coprirsi con riserve se non un risicato 2%.
E su questa emissione di denaro virtuale richiedono un interesse passivo ai clienti, oltre le spese.
Si consideri il seguente semplice esempio: si supponga di versare in banca 100 euro e che il tasso medio sugli interessi passivi sia il 6% annuo.
Con questi 100 euro la banca può immediatamente prestarne 50 volte di tale importo, in quanto ha l'obbligo di tenere a riserva solo il 2% dei prestiti erogati.
Pertanto a fronte dei vostri 100 euro (su cui non vi riconoscono interessi e vi addebitano le spese di gestione conto), la banca ne può erogare 5.000.
E' denaro virtuale, che non esiste!
Alla banca non è costato nulla.
Ma su questi 5.000 euro virtuali, in virtù delle attuali leggi bancarie, la banca riceverà interessi per il 6% all'anno, pari a euro 300.
In un anno, quindi, la banca ha già guadagnato il 300% del vostro versamento.
E anche ammettendo il rischio di insolvenza da parte di alcuni, il guadagno è talmente iperbolico da garantire il rischio di qualsiasi insolvenza a qualunque istituto di credito.
Perché allora nei bilanci delle banche di questo reddito non vi è traccia?

Il motivo è molto semplice: una normativa che consente di non dichiarare tutto questo reddito unita alla possibilità di effettuare trasferimenti all'estero attraverso operazioni di «clearing» senza obbligo di rendicontazione nominativa degli intestatari dei conti.
Il tutto accompagnato da un regime di sostanziale assenza di controlli.
Chi dovrebbe controllare (Bankitalia), infatti, è posseduto da queste stesse banche.
Un ciabattino deve predisporre gli elenchi clienti e fornitori per tutte le sue operazioni, le banche non sempre.
Ma di questo su «Il Sole 24 ore» non ne troverete mai traccia.
Il tabù del sistema bancario si chiama signoraggio.
Per cui non se ne deve parlare.
Guai a sollevare questa parola nei confronti dell'opinione pubblica.
La diatriba sul diritto delle banche di creare denaro dal nulla (cosiddetto signoraggio secondario (1)) deve rimanere confinata in internet.
Guai a dire che Bankitalia ha dei conti correnti alle isole Cayman.
Guai a parlare di sovranità monetaria sottratta occultamente alle nazioni.
Guai se il cittadino scoprisse di cosa si tratta.
Anche in questo caso si arriva alla conclusione che il problema non si risolve all'interno di una sola nazione.
E' globale, in quanto chi ha manovrato per l'adozione di questo sistema è portatore di interessi che non si identificano con gli Stati nazionali.
Ciò in analogia con quanto già detto in precedenza sulle multinazionali.

Lo stesso regime di favore, anche se non così eclatante, lo godono alcuni gruppi industriali «amici» dei governanti di turno.
Ecco un esempio illuminante.
Vi ricordate il signor Poggiolini?
Lo scandalo negli anni '80 dei prezzi dei farmaci 4 o 5 volte più cari (se non di più) rispetto al resto d'Europa?
Le tangenti pagate ai medici attraverso corsi fantasma tenuti in luoghi esotici da aziende farmaceutiche per convincerli ad utilizzare i loro prodotti?
Bene.
Chi iniziava a studiare il diritto tributario alla fine degli anni '70 scopriva che le spese per i corsi e convegni erano deducibili fiscalmente per tutte le aziende al 50%, salvo che per le imprese farmaceutiche dove erano deducibili al 100%.
Poi si è capito il perché.
La stessa Legge dello Stato incoraggiava questa pratica riconoscendo la piena deduzione fiscale alle tangenti sotto forma di viaggio, il cui costo era sostenuto dalle aziende farmaceutiche.
E siccome erano spese ingenti, lo Stato le «aiutava» riconoscendo la piena deduzione di queste spese.
Invece di cercare di ridurre i prezzi dei farmaci, e quindi ridurre le proprie spese sanitarie, lo Stato approvava un sistema fiscale che favoriva le tangenti.
Probabilmente alcuni fautori di queste Leggi sono parlamentari anche ora.
Non ci risulta infatti che ne sia stato allontanato qualcuno per questi motivi.
Possiamo anche fermarci qui, tanto il discorso è lo stesso: si tratta sempre di autorizzare l'evasione fiscale per Legge.
Sappiate che anche oggi esistono norme di favore di carattere clientelare.
Ad esempio, per le grosse concentrazioni di patrimoni immobiliari.
Infine, dopo gli evasori per legge (pardon: i gruppi di soggetti autorizzati a pagare meno tasse in virtù di apposite norme fiscali), vi sono gli altri.
Cioè i normali cittadini.
Vale a dire noi.

Sotto l'aspetto dell'evasione fiscale coloro che non hanno padrini possono essere suddivisi in 3 gruppi:
- quelli che vorrebbero ma non possono evadere il fisco (tipicamente i lavoratori dipendenti);
- gli evasori totali;
- quelli che in qualche modo cercano di difendersi attraverso una interpretazione aggressiva della norma fiscale (a loro favore).
Sul primo gruppo c'è poco da dire.
Sul secondo, quello degli evasori totali, va detto che le motivazioni principali che soggiacciono a questa scelta non vanno ricercate prevalentemente in campo fiscale.
Alcuni operano in questo modo per ignoranza, ma altri sono dei veri e propri gangster.
Operano in questo modo per avvantaggiarsi con lo sfruttamento del lavoro nero, oppure per esercitare attività illecite.
Altri ancora sono nel sommerso per motivi di ordine giudiziario.
In ogni caso riteniamo si tratti di un fenomeno rilevante in primo luogo ai fini penali.
L'aspetto fiscale dovrebbe esserne una conseguenza, magari significativa ma sempre una conseguenza.
Si tratta di un fenomeno da condannare e da eliminare.
Ed infatti, in una situazione di fiducia tra Stato e cittadini, questo fenomeno avrebbe dovuto scomparire da tempo.
L' aspetto curioso è che invece, rarissimamente, viene denunciato dai rappresentanti dei lavoratori che dovrebbero, appunto, tutelare il lavoro.


Infine arriviamo al terzo gruppo, quello dei soggetti (in prevalenza aziende) che per furbizia, necessità o convenienza, cercano di diminuire il carico fiscale nei loro confronti.
Dentro c'è un po' di tutto: furbetti che detraggono l'IVA che non sarebbe detraibile; chi interpreta norme aggressivamente a suo favore; chi ricorre a fatturazioni di comodo.
Chi opera nell'ambito della consulenza aziendale sa che sono prevalentemente 3 i motivi che incentivano questo tipo di evasione:
- la considerazione che lo Stato, per quello che fa, si prende già troppo;
- il fatto che anche pagando parcelle folli a consulenti non si è mai sicuri di essere in regola con le norme fiscali, perché troppe e complicate;
- il fatto che i controlli sono limitati e che, anche quando arrivano, un «aggiustamento» con gli organi di controllo è sempre possibile.
Una grossa mano a questo tipo di comportamento la dà in effetti una normativa fiscale incredibilmente complessa, sottoposta a continui cambiamenti ed interpretazioni spesso in contrasto tra loro ed alcune volte di difficile interpretazione, che colpiscono anche le attività più piccole.
Come da tempo suggerito da più parti, per ridurre sensibilmente questo tipo di evasione basterebbe una «flag tax» per le aziende (per esempio una imposta unica e fissa del 25% o 30%): ci sarebbe maggiore equità fiscale; una semplificazione di tutta la normativa e minori spazi per le interpretazioni.
Il gettito fiscale non potrebbe che risentirne positivamente.
Però non viene fatto!
Sappiate che le statistiche sull'evasione fiscale citate in Italia appartengono alle indagini su questo unico gruppo, e molto marginalmente al gruppo degli evasori totali (che proprio perché non esistono non sono misurabili).
Quando si parla di evasione, pertanto, si parla prevalentemente degli esiti dei controlli fiscali effettuati in aziende esistenti.
Normalmente in un accertamento non fila mai tutto liscio.
Ma questo non vuol dire che quanto preteso dal fisco in sede di accertamento sia tutto dovuto.

Dei 30 milioni di euro di evasione italiana annua sbandierati dalla Guardia di Finanza per il 2006 solo una parte è vera evasione, mentre un'altra parte, anch'essa significativa, riguarda l'interpretazione delle norme fiscali.
Questa interpretazione si chiarisce normalmente avanti le Commissioni tributarie, sino a 3 ordini di giudizio.
L'intero iter richiede alcuni anni ed è per questo che, in modo non del tutto trasparente, si grida sui giornali che solo l' 1% o 2% delle maggiori imposte si traduce in maggiori entrate.
Ma non si tratta di maggiori imposte.
E non si pensi che siano solo le aziende a fare resistenza.
Infatti chi ha esperienza nel contenzioso fiscale sa benissimo che una buona parte delle maggiori imposte pretese dal fisco non viene accolto dalle commissioni tributarie.
In conclusione, in un contesto come quello italiano sopra evidenziato, il minimo che un cittadino possa chiedere è quello di risolvere, o quanto meno attenuare il fenomeno dell'evasione fiscale, attraverso una normativa più equa, semplificando le eccessive norme esistenti ed il numero dei tributi.
E non certamente con le ganasce e le ipoteche immobiliari.
Il ripristino della legalità, nel senso della comune accettazione espressa dalle nostre coscienze, risolverebbe di per sè il problema.
La malavita esisterà anche in futuro, ma la stragrande maggioranza della gente sarebbe disposta ad affrontare un ulteriore sacrificio se ciò dovesse davvero portare al risanamento della Nazione.
Ma questa non è l'attuale percezione, non con queste norme e non con questa classe politica.


La disamina fiscale finisce qui ma sorgono immediate e rumorose le seguenti domande:
Come siamo arrivati a questo debito pubblico con tutte le tasse che paghiamo?
Se le tasse non vanno a ridurre il deficit pubblico, chi può ridurlo?
E soprattutto: cosa è il signoraggio?
Affronteremo queste domande in una prossima serie di articoli, precisando già sin d'ora che forse l'interesse di chi oggi gestisce il potere non è affatto quello di ridurre il debito pubblico e che, contrariamente a quello che si pensa, il debito pubblico si origina allorché viene immessa nuova cartamoneta in circolazione e non (o non solo) per effetto delle maggiori spese dello Stato non coperte da entrate tributarie.





Note
1)
Oltre al signoreggio secondario esiste il signoraggio primario. Esso è costituito dall'indebitamento dello Stato allorché ottiene dalla BCE nuovi euro in cartamoneta. Lo Stato si indebita nei confronti della BCE per il valore nominale (facciale) delle banconote ricevute, più un 15%. Questo debito va ad aumentare il debito pubblico del singolo Stato membro dell'Unione Europea e non viene stornato dalla BCE come dovrebbe essere.

Chi davvero vuole l'evasione! (prima parte)
Chi davvero vuole l'evasione! (seconda parte)