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Fino all´ultima materia prima

di Alessandro Farulli - 16/08/2007

La fiducia cieca nella tecnologia e l´ottimismo altrettanto incondizionato nelle capacità dell’uomo di trovare nuove risorse stanno impedendo la svolta, quella riconversione ecologica dell´economia che si continua a ritardare
Nel 1972, l’ormai mitico rapporto commissionato dal Club di Roma al Massachusetts institute of tecnology (Mit) ammonì l’opinione pubblica sul fatto che la crescita mondiale cominciava a fronteggiarsi seriamente con i limiti biofisici del pianeta. A distanza di tanti anni gli stessi autori del rapporto, come si legge nell’introduzione scritta da Gianfranco Bologna allo State of the World 2007, traggono però un bilancio negativo. «Il risultato – dicono – è che oggi siamo più pessimisti sul futuro globale di quanto non fossimo nel 1972. E’ amaro osservare che l’umanità ha sperperato questi ultimi trent’anni in futili dibattiti e risposte volenterose, ma fiacche alla sfida ecologica globale. Non possiamo bloccarci per altri trent’anni. Dobbiamo cambiare molte cose se non vogliamo che nel 21° secolo il superamento dei limiti oggi in atto sfoci nel collasso».

Abbiamo ripreso questo passaggio dell’introduzione di State of the World 2007 stimolati dall’articolo di Fabrizio Galimberti pubblicato oggi dal Sole24Ore e dal titolo “Materie prime, la corsa sta finendo”.

Il pezzo attacca citando alcune frasi che riecheggiano assai spesso nelle ultime settimane sui "record delle materie prime" e sugli "aumenti del prezzo del petrolio". Attraverso un’analisi tutta economica Galimberti spiega come da sul punto di vista questa situazione sia destinata a cambiare nel giro di poco tempo. In particolare si fa riferimento ad un grafico sull’andamento degli indici Crb di 17 materie prime incluso il petrolio dal 1957 al 2007. «I Paesi produttori – dice Galimberti – vendono le materie ai Paesi consumatori e con il ricavato “fanno la spesa” presso questi ultimi. Il prezzo reale delle materie prime è quindi l’indicatore principe sia del costo sopportato dai Paesi acquirenti che del ricavato dei Paesi venditori. Ebbene – continua – il grafico mostra come l’impennata dei prezzi reali delle materie prime negli ultimi dieci anni sia solo una risalita da quei livelli infimi – i più bassi da cinquant’anni, il che vuol dire i più bassi di sempre – raggiunti dall’inizio del decennio». Per il petrolio le cose cambiano, nel senso che pur non avendo raggiunto, come prezzo reale, quello degli anni 80 non né è lontano e mostra un trend crescente.

«La debolezza dei prezzi delle materie prime – prosegue più avanti nell’articolo - deve molto sia alla domanda che all’offerta (…). Tuttavia, è soprattutto dal lato dell’offerta che i prezzi sono influenzati. I due fattori fondamentali sono l’abbondanza e la tecnologia». E qui Galimberti si lancia in un’affermazione sulla quale c’è molto da osservare: «Certamente, i doni della terra sono finiti; di pianeti ne abbiamo uno solo. Ma le riserve di minerali e la capacità di produzione dei beni agricoli sono molto più grandi di quanto si pensi. Il pessimismo malthusiano di fine Settecento come quello molto più recente del Club di Roma sono stati smentiti dai fatti. L’esplorazione mineraria ha scoperto sempre nuovi tesori nelle viscere della terra e la tecnologia ha permesso sia l’estrazione in condizioni sempre più difficili che la moltiplicazione dei rendimenti in agricoltura, allevamento e piscicoltura (…)».

Dunque secondo Galimberti non c’è da preoccuparsi, c’è solo da avere un po’ di pazienza perché «la messa in opera di una nuova piattaforma offshore o l’impianto di una nuova miniera richiedono tempo, spesso anni. Ma l’offerta sta arrivando. E, insieme al probabile rallentamento dell’economia mondiale, questo combinato disposto indica come il boom delle materie prime è vicino all’esaurimento».

Semplificando al massimo il ragionamento del pezzo del Sole, quindi, il problema relativo all’uso vertiginoso che si fa delle materie prime – e a prezzi bassi a parte per il petrolio – sta tutto nel fatto che ancora si devono scoprire nuovi giacimenti che permetterebbero di aumentare l’offerta e fronteggiare così la crescente domanda. L’applicazione diretta della più elementare delle leggi di mercato. La prima riflessione è banale, ma ci pare opportuna: su quali basi Galimberti afferma che le risorse “sono molto più grandi di quanti si pensi”? Ammettiamo pure che sia vero (e speriamo pure che lo sia), perché non si dice nell’articolo, almeno per completezza di informazione, che cosa significhi sfruttare in questo modo le materie prime? Quali conseguenze ci sono per il pianeta e per gli esseri viventi che lo popolano? Poiché – lo diciamo citando l’Istat - la materia non viene creata né distrutta, ma solo trasformata, tutta la materia che entra in un dato sistema (ad esempio nel sistema economico nazionale) deve necessariamente uscirne (esportazioni, residui, emissioni, reflui, dissipazioni) oppure essere accumulata in esso (crescita fisica del sistema economico nazionale). E allora perché parlando di materie prime non si fa alcun accenno neppure alla necessità, a parte di trovarne di altre, di misurarle costantemente e monitorarle? E ricordiamo anche qui cosa dice al proposito l’Istat: «le misure della quantità complessiva di materia utilizzata sono significative non solo per le pressioni generate nel prelevare la materia stessa dall’ambiente naturale (ovvero nella fase di input), bensì anche in relazione alle pressioni potenziali collegate alla restituzione al sistema naturale di quella materia o agli aumenti di stock, che prima o poi avranno necessariamente luogo».

E ancora, perché non si fa alcun accenno al fatto che per sfruttare senza limiti le risorse del pianeta lo si sia inquinato, che in Cina a causa di questo muoiono 750mila persone ogni anno e ci si vergogni anche a raccontarlo? Perché non si ricorda che anche in Italia annualmente ci sono 9mila decessi per colpa dello smog, per non parlare degli incidenti stradali (che non è altra cosa )?

Le parole espresse dal Club di Roma, almeno in questo autorevole caso visto che si parla di un articolo sul Sole24Ore, ci appaiono così (purtroppo) assai veritiere. Di economia ecologica e di criterio direttore della sostenibilità qui non c’è né proprio traccia. Si rilancia un modello vetusto di fiducia cieca nella tecnologia e ottimismo altrettanto incondizionato nelle capacità dell’uomo di trovare nuove risorse. Possibilmente fossili, par di carpire dall’articolo almeno quando si fa riferimento al petrolio. Di spremere la terra quanto più si può, con un’attenzione all’ambiente che se va bene è quella del rimediare ai danni fatti. Sempre citando Gianfranco Bologna «la sfida di questo secolo è proprio quella di avere la lungimiranza, la capacità di futuro, la capacità innovativa, necessaria a cambiare strada. Ce la faremo? La risposta la possiamo dare solo noi». Appunto.