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Polli a dieta contro l'eutrofizzazione

di Marina Zenobio - 18/08/2007

 
Ricercatori statunitensi hanno identificato un altro colpevole per quel fenomeno chiamato eutrofizzazione delle acque, la crescita incontrollata di fitoplancton, alghe infestanti e mucillaggini varie che si formano a causa della presenza nell'acqua di dosi troppo elevate di sostanze nutrienti, tra cui azoto e fosforo: la proliferazione di questi organismi viventi provoca a sua volta una drastica riduzione di ossigeno disponibile per il resto della popolazione acquatica. Fenomeno fin troppo diffuso in fiumi, laghi e mari, le cause sono ben note: i residui di fertilizzanti agricoli che finiscono nei fiumi, o i reflui degli allevamenti intensivi di bestiame, suini, bovini.

Ora nel Delaware, Stati uniti orientali, alcuni ricercatori additano un altro responsabile. È il pollo d'allevamento, o meglio le sue feci quando queste vengono disperse nell'ambiente e utilizzate come fertilizzante. Il problema è il fosforo presente nel mangime dei polli, sotto forma di acido fitico o fitato che i pennuti non riescono a digerire, metabolizzandolo solo in parte e liberandosi del resto come la natura consente. Ma quando poi questi scarti vengono usati per fertilizzare i campi, il fosforo filtra nel terreno e va a inquinare le falde e i corsi d'acqua. Nella speranza di trovare una soluzione, senza ovviamente dover mettere in discussione lo sviluppo zootecnico industriale, alcuni ricercatori dell'università del Delaware hanno messo a punto una dieta speciale per polli che farebbe diminuire la percentuale di fosfati negli escrementi del pollame. Dicono che aggiungendo al mangime un enzima naturale, la fitasi, i polli sarebbero in grado di assorbire e metabolizzare più fosforo riducendone la quantità eliminata con le feci. Sperimentata su alcune centinaia di polli-cavia, la nuova dieta avrebbe ridotto di un quarto la presenza di questo elemento nei residui degli animali senza influire sulla loro salute. Applicato ai 269 milioni di polli del Delaware, lo stesso risultato significherebbe circa mille tonnellate di fosforo in meno nei corsi d'acqua della regione ogni anno. Una strategia simile a quella utilizzata per i polli è in atto per cercare di evitare un altro problema connesso agli animali da allevamento, cioè la produzione di gas serra da parte dei bovini attraverso i processi digestivi: anche per loro si stanno studiando diete e trattamenti particolari per ridurre il fenomeno.

Proviamo però a osservare la cosa da un altro punto di vista. Il problema è che nel mondo la produzione industriale di carne dal 1980 a oggi è triplicata, passando da 50 milioni di tonnellate a circa 150 milioni e si calcola che per il 2030 aumenterà di quasi 110 milioni di tonnellate.
Già lo scorso anno la Fao ha lanciato l'allarme secondo cui nei paesi in via di sviluppo la produzione zootecnica a livello industriale è causa di seri danni ambientali, soprattutto quando allevamenti e stabilimenti si affollano in prossimità dei centri urbani o di fonti di approvvigionamento idrico. La produzione aviaria e suina concentrata nelle zone costiere della Cina, del Vietnam e della Thailandia sta diventando la fonte principale di inquinamento da nutrienti del Mare Cinese meridionale. Si stima che la produzione suina sia responsabile di circa il 42% dell'azoto e del 90% del fosforo che fluisce nel Mare Cinese Meridionale. Lungo buona parte di questa costa densamente popolata, la concentrazione di suini supera i 100 animali per chilometro quadrato e le terre agricole sono sovraccaricate da enormi quantità di nutrienti. I deflussi stanno gravemente degradando l'acqua del mare, creano sempre più ampie zone eutrofizzate (le chiamano «zone morte») con grave minaccia per le foreste di mangrovie, le barriere coralline e la prateria marina dei fondali. Insomma: mettiamo pure gli animali d'allevamento a dieta ma, forse, sarebbe il caso di ridurre i nostri consumi di carne «industriale».

Se proprio non ci importa nulla degli animali, che razza di carne cuocerà nelle nostre pentole?