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C'era una volta in Iraq: i soldi fanno girare il mondo

di Gabriele Zamparini - 20/08/2007

 
 
 
 
   


Cazzarola! Ecco tutto quello che riesco a dire ogni volta che vedo quell' "interessante grafico che mostra il flusso di denaro che transita dalle fondazioni ai mezzi d'informazione progressisti e ad altre organizzazioni di sinistra", così com'è stato descritto dallo storico statunitense dissidente William Blum nell'ottobre del 2005, quando l'ha allegato al suo Anti-Empire Report.

Ho ripensato a quell' "interessante grafico" quando, qualche giorno fa, ho letto su AlterNet: "La destra si sta davvero ribellando all'occupazione dell'Iraq?", l'ultima fatica di Phyllis Bennis, responsabile politica del movimento pacifista della Madrepatria. Il suo articolo, inutile dirlo, è disponibile anche su ZNet

La signora Bennis scrive:

"(…) questo nuovo periodo sta per rivelarsi molto pericoloso, e creerà nuovi problemi al movimento pacifista. (...) I funzionari dell'amministrazione Bush rispondono con nuovi spaventosi rapporti che giungono dai militari e dai funzionari della Casa Bianca sulle conseguenze infauste che un ritiro delle truppe comporterebbe. Ma con i Repubblicani che prendono sempre più le distanze da Bush sulla questione irachena, c'è il pericolo che le loro controparti democratiche posssano ammorbidire la loro [già esitante] opposizione nei confronti dell'occupazione statunitense, per conquistarsi il trofeo di una posizione "bipartisan" [leggasi: politicamente sicura]. Questo potrebbe significare davvero un accordo su un "riposizionamento dopo l'assalto", studiato per ritirare in parte alcune truppe (probabilmente circa la metà dei 150.000 soldati statunitensi che si trovano attualmente in Iraq), e stabilire ciò che già viene venduto come premio sottobanco: un'occupazione militare statunitense "sostenibile" dell'Iraq. Sostenibile, in questo contesto, significa permanente. Il ritiro parziale preparerà il terreno per l'occupazione permanente. Una forza di occupazione ridotta, che dia meno nell'occhio, posizionata principalmente nelle enormi basi statunitensi costruite da una parte all'altra dell'Iraq, terrà perlopiù alla larga i soldati degli Stati Uniti dalle strade irachene stracolme di IED [Improvised Esplosive Devices, ordigni costruiti con materiali esplosivi "improvvisati", ndt], e ben lontani dalle maggiori città alimentate dalla resistenza irachena. Le truppe statunitensi non sosterranno ulteriormente neppure la storiella della responsabilità di proteggere i civili iracheni e, fondamentalmente, subiranno molte meno vittime. Risultato (dato che le vittime irachene, molto più numerose, vengono tanto facilmente ignorate): l'Iraq sarà largamente assente nei titoli, e verrà cancellato dalle prime pagine".

Ora, saltiamo il passaggio in cui scrive:

"…le loro controparti democratiche possano ammorbidire la loro [già esitante] opposizione nei confronti dell'occupazione statunitense,…"

dato che, da dove mi trovo, non ho visto molto di quella opposizione, esitante o meno; ma magari viste dalla Madrepatria le cose appaiono diverse.


Oltre a ciò che Phyllis Bennis [foto] ha riportato nel suo articolo, [Hillary Clinton dice che, anche con un riposizionamento, "i restanti interessi vitali per la sicurezza nazionale in Iraq" rendono necessario "uno spiegamento continuo di truppe statunitensi"]. La Clinton dice anche:

"L'esercito degli Stati Uniti ha svolto il suo compito. Guardate cos'ha ottenuto. Si è sbarazzato di Saddam Hussein. Ha dato agli Iracheni l'opportunità di svolgere elezioni libere ed imparziali".

La Bennis dev'esserselo perso. Capita.


Saltiamo anche quest'altro passaggio:

"Le truppe statunitensi non sosterranno ulteriormente neppure la storiella della responsabilità di proteggere i civili iracheni e, fondamentalmente, subiranno molte meno vittime".

Mi sembra che lei – storiella o non storiella – stia tralasciando la responsabilità primaria delle truppe statunitensi nell'uccisione reale e diretta di civili iracheni. Accade di nuovo che manchino i particolari.


Quello che nel suo articolo ha attirato la mia attenzione, sta scritto nell'ultima riga dell'estratto che ho riportato più sopra:

"Risultato (dato che le vittime irachene, molto più numerose, vengono tanto facilmente ignorate): l'Iraq sarà largamente assente nei titoli, e verrà cancellato dalle prime pagine".

Ora, non sarebbe stato piuttosto semplice e facile, a questo punto dell'articolo, fornire i dati reali di quelle "vittime irachene"? Non sarebbe stato ancora più utile all'argomento che stava sollevando e al messaggio, che si presume più ampio, del suo articolo, e cioè "il movimento contro la guerra continuerà la sua battaglia", come proclama alla fine del pezzo? Perché la Bennis non ha colto l'occasione per evidenziare il 1.000.000 di vite irachene che sono state massacrate a partire dalla "liberazione" dell'Iraq quattro anni fa, dato che, come giustamente ammette, "le vittime irachene vengono tanto facilmente ignorate"?


Sono troppo pignolo?


Nell'aprile del 2006 ho avuto uno scambio di e-mail con Phyllis Bennis. Ma, innanzitutto, c'è bisogno di spendere qualche parola per tracciare un po' di sfondo. Ora vi prego di seguirmi, anche se dovesse sembrare un po' complicato, e vi prometto che alla fine ci divertiremo insieme.


In quel periodo la maggior parte delle organizzazioni pacifiste della Madrepatria e dei mezzi d'informazione alternativi usava ancora i ridicoli dati dello Iraq Body Count [IBC, progetto per il conteggio delle vittime civili in Iraq ndt], ed io stavo cercando di capire perché non avessero adottato i dati provenienti dal primo studio pubblicato nella rivista medica britannica sottoposta a revisione paritaria "Lancet" nell'autunno del 2004. Le sue conclusioni: 100.000 vite umane irachene sono state massacrate solo nel primo anno e mezzo di "liberazione".


Contemporaneamente Media Lens [quelli che per primi hanno avuto il coraggio di avventurarsi in questa foschia di guerra] e pochissimi di noi contestavano l'utilizzo da parte dei mezzi di informazione moderati dei dati dell'IBC; io scrissi anche a molte organizzazioni pacifiste e a diversi attivisti, sia qui in Gran Bretagna che negli Stati Uniti.


Fra parentesi, in quei mesi è stato realizzato davvero molto. La BBC, il Guardian ed altri "mezzi d'informazione rispettabili", hanno offerto la ribalta a Sloboda dell'IBC per attaccare malignamente Media Lens e quelli tra di noi (molto pochi e molto isolati!) colpevoli di cercare di concentrarsi sull'aspetto più importante di questa pazzia, le dimensioni della carneficina prodotta in Iraq dai "liberatori", e l'occultamento di queste da parte dei mezzi d'informazione moderati.


Sloboda intervistato dalla BBC:

Domanda della BBC: "Coloro che La criticano sostengono che il vostro lavoro è un'enorme sottostima, come risponde a ciò?"


Risposta di John Sloboda dell'IBC: "L'asserzione (che il nostro lavoro sia un'enorme sottostima) è fatta sostanzialmente sulla base di alcune estrapolazioni, davvero traballanti, provenienti da un singolo studio, effettuato nel 2004 con una metodologia particolare. Ecco cos'è il celebre studio Lancet. (…) Alcuni critici dello studio Lancet hanno affermato che è come un ubriaco che gioca a freccette. Sta per tirare in qualche punto, ma chissà se quel numero è proprio il centro del bersaglio. Sfortunatamente moltissime persone hanno deciso di accettare che quel numero, 98.000, sia la verità - o l'approssimazione più vicina alla verità che abbiamo".

Come conseguenza del lavoro di Sloboda dell'IBC, di Human Rights Watch [Osservatorio sui Diritti Umani, ndt] e dell'esperto del Pentagono Marc Garlasco, e dell'orrenda attività svolta dalla maggior parte dei mezzi d'informazione moderati, lo studio Lancet è stato screditato e milioni di persone sono state ingannate (tra cui anche molti giornalisti moderati in buona fede). [Quell'inganno sta ancora continuando, in queste stesse ore].


Ma non era abbastanza. Sloboda dell'IBC doveva screditare anche quelle poche persone che ponevano domande scomode:

Domanda della BBC: "Come descriverebbe Media Lens?"


John Sloboda dell'IBC: "Si tratta di un gruppo di pressione che utilizza tattiche aggressive ed emozionalmente distruttive. Nella convinzione che la gravità delle questioni di cui si stanno occupando le giustifichi, ed anche nella convinzione che siano in qualche modo efficaci. (…) Penso che sia perché noi non corrispondiamo alla loro visione del mondo. Sia la sinistra radicale che la destra radicale sono entrambe totalmente inflessibili, e non sono in grado di gestire le cose che stanno accadendo nel centro. Essi vogliono certezza. Vogliono qualcosa a cui possano attaccarsi e dire – questo è ciò a cui credo. A loro piace la sensazione di essere una minoranza assediata. Ciò che è più agghiacciante, è guardare l'adesione della gente a delle cause molto più pericolose rispetto a quelle che l'uno o l'altro di coloro che ci criticano stanno facendo proprie. Questa è anche la mentalità che attira i giovani arrabbiati verso il terrorismo. Ed è fondamentalmente autodistruttiva".

Più foschia di guerra in questo FLASHBACK.


Anch'io ho fatto la mia parte. In uno dei numerosi tentativi da parte di Iraq Body Count di screditare i due studi scientifici pubblicati nella rivista sottoposta a revisione paritaria "Lancet", John Sloboda, Hamit Dardagan e Josh Dougherty dell'IBC sono stati così gentili da riconoscere la mia tenacia nel fare una campagna a favore della verità sul genocidio perpetrato contro il popolo iracheno:

"Uno dei crociati via mail più ostinati della campagna, e uno degli utenti fissi dell'area dei messaggi di Media Lens".

Sì, sono davvero orgoglioso di queste parole [ehi, sono vanitoso come tutti gli altri] e non sarò mai in grado di ripagare una tale gentilezza. Grazie.


Dov'era in quel periodo il movimento "contro la guerra", della pace, della giustizia e della solidarietà? A parte qualche illustre eccezione, il panorama era oscurato dal silenzio e dall'omertà.


In quegli stessi mesi, Brian Dominick di ZNet, uno dei membri più importanti della famiglia ZNet di Michael Albert, era occupatissimo a spedire e-mail private (di nuovo, anch'io ho fatto la mia parte) per contribuire al piano dell'IBC per costringere al silenzio quelle poche voci che avevano osato porre domande scomode o, per usare il vocabolario di Dominick, innescare un "ridicolo battibecco su Iraq Body Count".


Ancora peggio, quando nel 2006 è uscito il secondo studio Lancet, e dopo il nuovo, vergognoso tentativo da parte di IBC di screditarlo, Dominick è entrato pubblicamente nell'area dei messaggi di Media Lens schierandosi, inutile dirlo, come un prode cavaliere, a fianco di IBC e contro… la verità!


Infine, per concludere questo deprimente retroscena, questo scandalo di IBC è stato la ragione per cui mi sono dimesso dal BRussells Tribunal [BT], un'organizzazione di cui avevo fiducia ed in cui, per aiutarli, avevo speso un po' di energie. L'ostinazione irrazionale con la quale alcuni responsabili del BT avevano continuato a difendere Sloboda ed il suo IBC mi ha obbligato a porre questo scandalo all'attenzione di una cerchia più ampia di membri del BT. Ho rassegnato le dimissioni ed il BT è stato costretto ad espellere Sloboda dall'assemblea consultiva; ma si può vedere l'ostinazione del BT nel difendere IBC nella formulazione della breve nota resa pubblica dal BT stesso:

Cari amici,

John Sloboda è stato escluso dal BRussells Tribunal. Il motivo non è il contrasto su IBC, ma perché a quanto pare egli è a capo dell'Oxford Research Group, un centro di ricerca. Di recente il Gruppo ha pubblicato il rapporto che trovate qui: http://www.oxfordresearchgroup.org.uk/publications/books/iraqiliberation.htm.

A causa di questo rapporto, che contrasta totalmente con tutto ciò che il BT rappresenta, egli non può assolutamente far parte del nostro network.

Ho pensato di mettervi al corrente.

Dirk.

Non è stupefacente quanto a volte le coincidenze siano davvero incredibili? Ad ogni modo, tutti i frammenti di questo penoso retroscena sono già divenuti di pubblico dominio. In questa occasione io vorrei semplicemente contribuire al recupero della nostra fragile memoria collettiva in questi anni orrendi, per coloro che si preoccupano ancora per quel milione e più, e prima di tutto per quel milione e più. Un milione di Iracheni massacrati in quattro anni. Un milione. Proviamo a pensare a questa cifra. Dov'è lo sdegno?


Torniamo all'aprile 2006 e al mio scambio di e-mail con Phyllis Bennis.

Zamparini: "Non pensa che il sito web di "United for Peace and Justice" sia fuorviante e nasconda la verità quando scrive: "oltre 33.000 morti tra i civili iracheni (ed alcune stime arrivano a 100.000 morti)?"


Bennis: No, non lo è. C'è abbondanza di stime là fuori. Nessuno sta nascondendo nulla.

E' vero, c'è stato un seguito positivo a quegli scambi e quando più tardi nello stesso anno è uscito il nuovo studio Lancet, le sue conclusioni sono state finalmente presentate al Congresso degli Stati Uniti.


Ma era troppo poco, troppo tardi. I mezzi d'informazione moderati, sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, continuano a nascondere quelle cifre scomode, e troppe organizzazioni e siti web pacifisti utilizzano ancora i dati dell'Iraq Body Count, col risultato che la stragrande maggioranza della popolazione non ha idea delle dimensioni reali della carneficina provocata dall'operazione "Iraqi Freedom".


Forse, se il "movimento pacifista" – invece di tentare di far tacere quelle poche voci; solidarietà, col cavolo! – fosse stato più attivo e responsabile nel condurre una campagna ed informare l'opinione pubblica sulle dimensioni reali della carneficina che gli Stati Uniti stavano infliggendo agli Iracheni, le cose a quest'ora avrebbero potuto essere diverse. Chissà? Ma persino Phyllis Bennis converrà con me che, dopo che sono stati pubblicati due studi scientifici nella rivista sottoposta a revisione paritaria "Lancet", a questo punto si possa essere piuttosto sicuri che NON c'è "abbondanza di stime là fuori", e quindi la nostra prima responsabilità morale dovrebbe essere quella di concentrarci su quella cifra, 1.000.000, TUTTE LE VOLTE che parliamo e scriviamo di Iraq, e teniamo conferenze su e per conto del movimento "pacifista". Quel milione non è un dettaglio, Phyllis, è IL punto in questione. Tutto il resto viene in secondo piano, comprese le strategie "realistiche" e la lealtà verso i partiti politici.


L'articolo della signora Bennis è molto lungo, eppure tralascia l'elemento essenziale; la reale estensione dell'orrore che le "nostre truppe" hanno inflitto agli Iracheni, e la nostra responsabilità per questo genocidio. Qualsiasi strategia, tattica, risposta da parte del movimento pacifista dovrebbe prendere le mosse da quell'orrore. Ma forse la signora Bennis non voleva rovinare la colazione a quelle orecchie delicate a cui era rivolto il suo articolo; perché quell'articolo secondo me ha l'aria di uno spot a favore del Partito Democratico.


In quello scambio di e-mail del 2006, la signora Bennis mi ha scritto anche:

"La mia preoccupazione è che noi riusciamo a capire come portare a termine la guerra, in un periodo in cui abbiamo vinto in maniera schiacciante la battaglia per l'opinione pubblica".

[Chi è questo "noi"? Il movimento pacifista della Madrepatria? I fautori della sua politica?]


Questa tesi viene espressa anche nel primo paragrafo del suo ultimo articolo:

"L'"ondata" improvvisa di posizioni contrarie alla guerra tra i potenti senatori Repubblicani, gli ultimi in ordine d'arrivo sono John Warner e Richard Lugar, e tra altri gruppi d'élite (come ad esempio gli editori del New York Times), sta esercitando una nuova intensa pressione bipartisan sulla Casa Bianca, affinché inizi a ritirare le truppe. Ed anche se ciò indica certamente che i nostri anni di lavoro stanno dando i loro frutti, questo nuovo periodo sta per rivelarsi molto pericoloso, e creerà nuovi problemi per il movimento pacifista".

Ora, la tesi che "noi" [?] "abbiamo vinto in maniera schiacciante la battaglia per l'opinione pubblica" così che persino "potenti senatori Repubblicani" ed "altri gruppi d'élite (come ad esempio gli editori del New York Times)" siano stati convertiti, suona come un'affermazione sbalorditiva. In altre parole, più che di "frutti", si sente odore di...


Nella Madrepatria la classe dirigente sta abbandonando il regime crollante di Bush perché capisce che a questo punto il Regime Bush non può andare da nessuna parte. Il Partito Democratico, pezzi del Partito Repubblicano, i Mezzi d'Informazione, il Denaro stanno tutti saltando fuori dalla nave che affonda. Persino alcuni neoconservatori! Così ora vediamo il New York Times, le potenti reti televisive, e tutti questi audaci politici che dicono: "E' tutta colpa di Bush". Beh, sai che c'è? Non è tutta colpa di Bush. Loro sono responsabili quanto Bush. Le loro mani sono sporche quanto quelle di Bush. Sporche del sangue di persone innocenti. Il genocidio degli Iracheni non è iniziato nel 2003 (quando Hilary Clinton ed i suoi compagni Democratici applaudivano in continuazione al Congresso il loro caro presidente) ma nel 1990, con l'embargo genocida dell'ONU (leggasi: USA + GB), e poi con la prima Guerra del Golfo, e poi con i bombardamenti (illeciti) delle No Fly Zones (illecite). I Democratici liberali col loro amato presidente, Bill Clinton, hanno ucciso tanti Iracheni quanto i due Bush messi insieme, se non di più.


Lasciamo stare per ora l'Afghanistan, ricordate? La Guerra Giusta, che mi ricorda un'altra Guerra Giusta, quella in Yugoslavia. E poi abbiamo ancora il grande tabù, il genocidio dei Palestinesi. Shh! Shh! Non spaventiamo i grandi donatori del Partito Democratico! Suppongo che per tutti questi il frutto non sia ancora maturo. Diamogli più tempo, chissà? E l'Iran? Sh! Sh! Quei donatori stanno ascoltando!


Forse i motivi di quella 'conversione' da parte delle élite della Madrepatria vanno cercati di nuovo da qualche altra parte? Forse quelle élite della Madrepatria stanno abbandonando la nave che affonda perché vogliono salvare il loro Impero e, con esso, il loro culo sporco? Forse la resistenza del popolo iracheno, che non è mai stata riconosciuta e rispettata come tale, né tanto meno appoggiata, cara Bennis, dal movimento pacifista e dai fautori della sua politica, quella resistenza (e non insurrezione) ha a che fare di più con quella nave che affonda? Sì, i cittadini della Madrepatria stanno iniziando a contare i corpi. Ma solo i corpi di quei prodi soldati, non degli Iracheni; UN MILIONE e più.


Ma naturalmente i fautori della politica del movimento pacifista della Madrepatria e i loro amici Democratici stanno usando la "politica della realtà". Recentemente Pilger, a Chicago, ha spiegato:

Una componente storica della coalizione pacifista "United For Peace and Justice" ha affermato di recente, ed io la cito: "I Democratici stanno usando la politica della realtà". Il suo punto di riferimento storico liberale era il Vietnam. Lei ha detto che il Presidente Johnson iniziò a ritirare le truppe dal Vietnam dopo che un Congresso di Democratici iniziò a votare pacifista. Non è questo che è successo. Le truppe furono ritirate dal Vietnam dopo quattro lunghi anni. E durante quel periodo gli Stati Uniti uccisero più persone in Vietnam, Cambogia e Laos con le bombe di quante furono uccise in tutti gli anni precedenti. E questo è quello che sta accadendo in Iraq. Il bombardamento è raddoppiato a partire dall'ultimo anno, e questo non viene riferito. E chi ha cominciato questo bombardamento? E' stato Bill Clinton a dare il via. Durante gli anni '90, Clinton ha fatto piovere le bombe sull'Iraq in quelle che venivano eufemisticamente definite le "no fly zones". Contemporaneamente ha imposto un assedio medievale chiamato sanzioni economiche uccidendo forse, come ho citato, un milione di persone tra cui, è stato documentato, 500.000 bambini. Quasi nulla di questa carneficina è stato riportato nei cosiddetti mezzi d'informazione moderati. L'anno scorso uno studio pubblicato dalla "Johns Hopkins School of Public Health" ha scoperto che a partire dall'invasione dell'Iraq, gli Iracheni morti per le conseguenze dirette dell'invasione sono stati 655.000. I documenti ufficiali mostrano che il governo Blair era al corrente che questo dato fosse credibile. In febbraio, Les Roberts, autore del rapporto, ha dichiarato che il dato era pari a quello presente nello studio della Fordham University riguardante i decessi avvenuti durante il genocidio del Ruanda. La risposta dei mezzi d'informazione alla rivelazione scioccante di Roberts è stata il silenzio. Quello che può davvero costituire il maggiore episodio di assassinio organizzato per una generazione, per usare le parole di Harold Pinter, "Non è accaduto. Non ha avuto importanza".

La maggior parte degli Statunitensi tende a pensare che il Vietnam sia stato un problema degli Stati Uniti. Gli stessi Statunitensi sembrano credere ora che l'Iraq sia un problema degli Stati Uniti. La realtà è che così come il Vietnam, l'Iraq non è un problema degli Stati Uniti; sono gli Stati Uniti ad essere un problema per l'Umanità.


La classe dirigente statunitense, i suoi mezzi d'informazione, le sue star hollywoodiane, il suo ambiente accademico, le istituzioni e la cultura moderata necessitano di una radicale "de-nazificazione", non di un'incriminazione che non arriverà mai o di un nuovo inquilino alla Casa Bianca. Bush non è il nuovo Hitler. E' semplicemente l'ultimo di una lunga serie di Hitler. Uno peggiore dell'altro. Quando ti ritrovi con un Impero così avido da soddisfare, non puoi essere un buon Führer. Questa è la realtà. E l'unica strategia, l'unica tattica, la sola politica possibile per noi che cerchiamo di perseguire la pace e la giustizia è davvero semplice: dire la verità, ribadirla sempre e basarsi su di essa.


Ma la verità non è ben accetta da quella "politica della realtà" adottata dal Partito Democratico e dai suoi simpatizzanti che appartengono alla gerarchia del movimento pacifista della Madrepatria.


Ecco cosa siamo stati costretti a leggere qualche giorno fa:

Il blog pro-democratico "Daily Kos" ha minacciato la pacifista Cindy Sheehan che, se davvero è decisa a sfidare la portavoce della Casa Bianca Nancy Pelosi, non le sarà permesso promuovere la sua candidatura sul blog. La Sheehan deve aver inasprito la loro relazione quando attaccò i Democratici in un diario del Daily Kos:

"I Democratici rappresentano il partito della schiavitù e sono stati la fazione politica che ha dato inizio a tutti i conflitti del XX secolo, fatta eccezione per la débâcle dell'altro Bush. La Federal Reserve, le imposte permanenti, federali (ed incostituzionali) sul reddito, i campi di concentramento giapponesi e, non una, ma due bombe atomiche sganciate sugli innocenti cittadini del Giappone, sono tutte cose che ci hanno portato i Democratici. Non ditemi che i Democratici sono i nostri "Salvatori" perché non la bevo".

Qualche giorno fa, su Prison Planet riportava:

La Sheehan ha criticato aspramente la Pelosi, definendola un'elitista guerrafondaia che vive in un castello su una collina senza alcun tipo di contatto con il suo elettorato, e come una delle maggiori sostenitrici dell'AIPAC [American Israel Public Affairs Committee], un gruppo che ha espresso il suo esplicito supporto ad un attacco contro l'Iran.


"Non puoi rimanere fedele a due paesi quando sei legislatore in uno di questi", ha detto la Sheehan, aggiungendo che molti politici pospongono i più importanti interessi degli Stati Uniti ad Israele.

Ahi! Ahi! Di nuovo quel tabù.


E' ovvio che anche Cindy Sheehan ha i suoi limiti e le sue contraddizioni, come me e la Bennis. Tuttavia, vorrei che tali limiti e contraddizioni rappresentassero tutto ciò che si può dire del Partito Democratico della signora Clinton e dei suoi compagni. Faceva comodo sbandierare la Sheehan quando si trattava di raccogliere consensi, l'attenzione dei mezzi d'informazione e voti. Ma hey, Cindy, continua a divertirti con i giocattoli che ti abbiamo dato e lascia gli "affari veri, come al solito" a "noi".

E così ha avuto inizio il silenzio di Cindy Sheehan.


Ovviamente non è una novità. Quando Ralph Nader, dopo aver dedicato la vita alla giustizia sociale, decise di candidarsi per la corsa alle elezioni presidenziali nel 2000 e poi di nuovo nel 2004, ci fu un'insurrezione tra gli intellettuali e gli attivisti liberali e progressisti. Lettere aperte, siti web dedicati, argomentazioni razionali, inviti formali, articoli moderati e attacchi maligni iniziarono a demolire l'immagine di una delle persone più oneste nel panorama politico statunitense.


Ricordo che un amico statunitense all'epoca mi disse: "La colpa di Nader sta nel suo nome". E perché? Forse il suono del suo cognome risulta troppo sgradevole alle delicate orecchie dei generosi donatori del Partito Democratico?

Quelli erano i tempi dell'"o Bush o nessuno". Bush vinse e tenne le chiappe alla Casa Bianca ma - sorpresa, sorpresa - Nader non determinò la vittoria di Bush contro Kerry. Tuttavia, il movimento della Madrepatria contro la guerra, e tutti coloro che ancora credono nella pace e nella giustizia, e non c'è dubbio che siano la maggioranza dei cittadini statunitensi, hanno perso un'occasione formidabile di costruire un fronte più organizzato in grado di rompere ciò che Gore Vidal ha definito il Partito della Proprietà:

"C'è un solo partito negli Stati Uniti, il Partito della Proprietà… ed ha due ali destre: i Repubblicani e i Democratici. I Repubblicani sono un po' più stupidi, rigidi e dottrinari nel loro capitalismo liberistico rispetto ai Democratici che sono più abili, acuti, un po' più corrotti – fino a poco tempo fa… e più propensi rispetto ai Repubblicani ad apportare dei piccoli cambiamenti quando i poveri, i neri e gli anti-imperialisti sfuggono al loro controllo. Ma, sostanzialmente, non esiste alcuna differenza tra i due partiti".

Stranamente, per questi ideatori politici del movimento pacifista, per questi intellettuali progressisti e menti liberali i tempi di "o … o nessuno" sembrano non finire mai e c'è sempre stata una situazione di emergenza tale da "non sprecare il nostro voto" e supportare il Partito Democratico e la sua "politica della realtà". Nel frattempo nel mondo reale…

"Centinaia di migliaia di decessi hanno avuto luogo in tutti questi paesi. Davvero? E sono tutti casi riconducibili alla politica estera statunitense? La risposta è si, hanno avuto luogo davvero e sono attribuibili alla politica estera statunitense. Ma non avreste dovuto saperlo. Non è mai successo. Non è accaduto niente. Quando queste cose accadevano, non stavano accadendo davvero. Non avevano importanza. Non erano di alcun interesse". [Dal discorso di Harold Pinter in occasione della consegna del Nobel]

L'ingannevole messaggio della Bennis non è altro che l'ultimo e più innocente esempio di un'incestuosa, necrofila relazione tra la gerarchia del movimento della Madrepatria pacifista e il Partito Democratico. In quello scambio di e-mail che ebbi con lei nel 2006, la signora scrisse:

"Dato che stai monitorando la stampa statunitense e il movimento contro la guerra così attentamente, immagino che tu sia a conoscenza dell'aumento dei voti pacifisti e dei quasi due terzi di statunitensi che chiedono di riportare le truppe a casa… La nostra sfida consiste nel tradurre quel sentimento in azione politica in un momento in cui il supposto partito dell'opposizione appare spaventato e passivo, il che rende il Congresso ampiamente riluttante a sfidare la Casa Bianca. Non mi interessa tanto quali dati vengano addotti come conseguenze dei conflitti, quanto trovare una buona strategia per porvi fine del tutto. Molte grazie per le tue idee."

Ora, non prestate attenzione al "Dato che stai monitorando la stampa statunitense e il movimento pacifista così attentamente" e al "Molte grazie per le tue idee"; capita a tutti una giornata storta. Focalizziamo la nostra attenzione su quanto è essenziale qui:

    "Il supposto partito d'opposizione è spaventato e passivo".

Stiamo parlando dello stesso Partito Democratico della signora Clinton e dei suoi compagni? Non sembravano molto spaventati e passivi vedendoli, anno dopo anno, osannare il loro amato Presidente Bush. E le recenti parole della signora Clinton "L'esercito degli Stati Uniti ha svolto il suo compito. Guardate cos'ha ottenuto. Si è sbarazzato di Saddam Hussein. Ha dato agli Iracheni l'opportunità di svolgere elezioni libere ed imparziali", vi sembrano le parole di un senatore spaventato e passivo che vuol diventare Presidente?


Nonostante le indicibili atrocità e orrori commessi dalle truppe statunitensi, in Iraq la gente sembra ancora capace di pensare e parlare con buon senso:

"Sono sciita", ha detto Ali. "I miei zii e i miei cugini sono stati assassinati dal regime di Saddam. Volevo disperatamente farlo fuori. Ma oggi, se Saddam apparisse di fronte a me, mi inginocchierei per baciargli i piedi".

Ovviamente il buon senso non ha nulla a che vedere con quella "politica della realtà" che i mandarini pacifista hanno diligentemente seguito.


"I Democratici non vogliono porre fine alla guerra, malgrado la loro maschera di opposizione. Se avessero voluto porvi fine, avrebbero interrotto i loro finanziamenti molto tempo fa", ha scritto qualche giorno fa Joshua Frank.


"La classe dirigente democratica ha scelto semplicemente di sembrare contraria alla guerra mentre continua a finanziarla. Questo è quanto hanno ottenuto finora, tra gli applausi soddisfatti del settore progressista", hanno commentato alcuni mesi fa Alexander Cockburn e Jeffrey St. Clair.


Allora, perché il movimento pacifista e i suoi ideatori politici continuano a sostenere questo partito? O, per dirla in altro modo, perché c'è tutto questo silenzio assordante in merito al dirottamento della corrente pacifista a supporto del Partito Democratico della signora Clinton?


Upton Sinclair avrebbe probabilmente risposto così:

"E' difficile far capire qualcosa ad un uomo (o ad una donna), quando lo stipendio di lui o di lei dipende dal fatto di non capirla".

Phyllis Bennis conclude il suo articolo dicendo:

"L'apice di questo momento nel sentimento pacifista, che comprende alcune fonti improbabili, è un segno della forza e dell'espansione del movimento pacifista e del sentimento pacifista in tutta la nazione. (…) Tutto ciò indica l'importanza di ricordare che il Congresso non è il movimento pacifista. (…) L'occupazione statunitense dell'Iraq, "sostenibile" o meno, deve finire. Finché persisterà, il movimento pacifista continuerà la sua lotta".

Se solo bastasse la retorica a salvare vite umane!


Qualche giorno fa, Alex Cockburn chiedeva alla fine del suo pezzo:

"Il popolo degli Stati Uniti è ampiamente contrario alla guerra, con immenso imbarazzo e preoccupazione della dirigenza repubblicana e democratica. Pertanto, importa davvero che non ci sia una gran quantità di movimento contro la guerra? Molto. E' così che la destra ha imparato attraverso gli anni il suo ABC internazionalista".

Com'è possibile che negli stessi giorni due tra i più famosi intellettuali della sinistra statunitense possano esprimere punti di vista così diversi?

Ma una domanda ancora più importante e decisiva credo sia: "Che tipo di movimento contro la guerra?".

La preoccupazione principale di questo movimento pacifista è stata fin dall'inizio la legittimazione del governo fantoccio della Zona Verde. Questo vale sia per i più importanti intellettuali del movimento che hanno tracciato la via, sia per i fautori della politica delle principali organizzazioni che l'hanno realizzata.


Ricordate il "Benvenuto!" dato "negli Stati Uniti" al fantoccio Maliki da Unite for Peace and Justice? "Politica della realtà" o ci troviamo al di là di Orwell e Kafka?


Ricordate il silenzio assordante di questo movimento "pacifista" durante il processo-linciaggio e, a seguire, l'assassinio del Presidente della Repubblica Irachena?


Ricordate quel sinistro gracchiare nell'aria o la nobile arte di riscrivere la storia?


Questo è il movimento pacifista di coloro che continuano a negare l'influenza della lobby ebreo-sionista-israeliana sulla politica estera statunitense, quando quella lobby condiziona estremamente quel movimento dall'interno, stando a quanto riferito dal Rabbino Michael Lerner:

"Non c'era neppure quella retorica anti-israeliana o marxista che spesso ha reso altre dimostrazioni così lontane dalla gente che vi partecipava da far sì che nessuno volesse ascoltare [le ragioni della protesta]. Così, stranamente, e felicemente, la gente ha ascoltato".

C'è qualcuno là fuori che ancora si chiede perché la Palestina continui a rappresentare ancora un tabù, persino all'interno del movimento "pacifista" della Madrepatria, o perché persone oneste e distinti intellettuali vengano emarginati ed attaccati dall'interno di quel "movimento"?


Di quale movimento "pacifista" sta parlando Phyllis Bennis? Si tratta di quel movimento i cui ideatori politici sono unicamente interessati alla salvezza delle "nostre truppe", di quelle truppe che hanno stuprato, torturato, assassinato centinaia di migliaia di esseri umani e trasformato l'Iraq in un deserto? Si tratta del movimento "pacifista" la cui classe dirigente si preoccupa di non usare il termine "resistenza" e che ancora considera l'"insurrezione" il nemico mentre si schiera con il cosiddetto governo fantoccio iracheno e offre rivoltanti dimostrazioni di benvenuto? Gli ideatori politici del movimento "pacifista" che tipo di significato danno alle parole "pace e giustizia"? O dovremmo credere che quelle parole abbiano un significato completamente diverso nella Madrepatria? Forse si tratta dell'altro volto dell'infame singolarità statunitense? Non credo.


Gli Statunitensi che sono contrari alla guerra meritano di meglio. Tutti coloro che nel mondo sono contrari alla guerra meritano di meglio. Ma, soprattutto gli Iracheni, gli Afgani, i Palestinesi… Le vittime dell'imperialismo meritano di meglio che questa sciarada, questa farsa "pacifista" i cui attori principali sono molto più vicini allo star system hollywoodiano che a qualsiasi onesto movimento di resistenza nella storia dell'umanità.


"Politica della realtà" col cavolo, cara compagna Judith LeBlanc, co-presidente di UFPJ!


Alla fine siamo ritornati al punto di partenza. I soldi.


La professoressa di Scienze Politiche Joan Roelofs scrive nel primo capitolo (disponibile online in formato PDF) del suo libro intitolato "Fondazioni e Politica Pubblica. La Maschera del Pluralismo":

I miei studi sono stati anche guidati e ispirati dall'antologia del pedagogista Robert Arnove, "Filantropia ed Imperialismo Culturale", e da quanti vi hanno contribuito. Arnove sostiene che:

…Fondazioni come Carnegie, Rockfeller e Ford esercitano un'influenza corrosiva su una società democratica; rappresentano concentrazioni relativamente non regolate e bizzarre di potere e ricchezza che acquistano talenti, promuovono cause e, in effetti, stabiliscono l'ordine del giorno di ciò che merita l'attenzione della società. Funzionano come delle agenzie di "raffredamento", cancellando e prevenendo cambiamenti strutturali più radicali.

Fin dove può arrivare questa "influenza corrosiva su una società democratica"?


Bob Feldman scrive:

Lo storico legame tra la multimiliardaria Fondazione Ford e la CIA viene menzionato raramente al Democracy Now/Deep Dish Show della Pacifica, al Counterspin Show della Fair, al Working Assets Radio Show, al Radio Nation Show dell'Istituto Nazionale, all'Alternative Radio Show di David Barsamian o nelle pagine del Progressive, del Mother Jones o della rivista Z. Forse perché la Fondazione Ford ed altre fondazioni della classe dirigente sovvenzionano i gatekeeper e i censori dei mezzi d'informazione alternativi della classe dirigente di sinistra.

Non dispongo di prove certe e qui non muovo accuse, ma sicuramente il problema deve essere tenuto a mente, soprattutto in questi tempi bui fatti di foschia di guerra, e di "politica della realtà". In altre parole, nessuno è perfetto, ma qui abbiamo esagerato, gente!

A presto con altre fiabe della serie "C'era una volta…". Ma prima, come promesso, divertiamoci un po'…


Gabriele Zamparini
Fonte: http://www.thecatsdream.com/
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23.07.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA MAZZAFERRO e ELISA MASIERO