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Sette soldati scrivono sul New York Times "In Iraq abbiamo fallito miseramente"

di redazionale - 20/08/2007



L'iniziativa per contestare il modo in cui i media americani descrivono il conflitto. "Non si parla del crescente disordine civile, politico e sociale che vediamo ogni giorno"

NEW YORK - Altro che conflitto "sempre più sotto controllo". In Iraq gli Stati Uniti sono, di fatto, un "esercito di occupazione" che ha "fallito miseramente". A sostenerlo, stavolta, non sono i soliti commentatori liberal o qualche acceso pacifista, ma sette soldati americani: dal fronte iracheno hanno scritto al New York Times per denunciare i fallimenti della politica Usa nel 'Paese dei due fiumi. E sono finiti nella pagina degli editoriali.

Secondo il soldato Buddhika Jayamaha, i sergenti Wesley Smith, Jeremy Roebuck, Omar Mora, Edward Sandmeier, Yance T. Gray e Jeremy Murphy, della 82esima divisione aerotrasportata, quello "in cui l'America ha fallito" è il fronte più importante nella strategia della contro-insurrezione, vale a dire il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche dell'Iraq.

Ma è solo uno degli esempi che compaiono nell'articolo che il quotidiano ha pubblicato sulla pagina dei commenti: "Quattro anni di occupazione e siamo venuti meno a ogni promessa, mentre abbiamo sostituito alla tirannia del partito Baath la tirannia degli integralisti islamici, delle milizie e della violenza criminale".

I sette militari, che presto faranno ritorno in patria, precisano che la loro opinione è strettamente personale e motivata dal modo con cui il conflitto in Iraq viene descritto nella stampa americana come "sempre più sotto controllo, mentre non si parla del crescente disordine civile, politico e sociale che vediamo ogni giorno".

Anche l'affermazione che gli Stati Uniti sono sempre più in controllo dei campi di battaglia in Iraq, secondo i sette soldati, è viziata da una prospettiva americano-centrica. "E' vero - dicono -, siamo militarmente superiori, ma i nostri successi sono sabotati da fallimenti altrove".

La preoccupazione principale dell'iracheno della strada, spiegano nel loro editoriale, è di quando e come verrà ucciso: "Come sentirsi la coscienza a posto quando distribuiamo scorte di cibo?". E la conclusione è amara: "Dobbiamo ammettere che al nostra presenza ha liberato gli iracheni dalla morsa di un tiranno, ma che li abbiamo anche defraudati dal rispetto per se stessi". Presto - scrivono i sette - gli iracheni capiranno che "il modo migliore di riacquistare la loro dignità è di chiamarci per quel che siamo - un esercito di occupazione - e di costringerci a fare le valigie".