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Settant'anni fa l’apogeo del terrore sovietico

di Maria Ferretti - 20/08/2007


La macabra gara tra signori locali
Confessioni estorte con la tortura
Al 30 luglio del 1937 risale l´azione repressiva più sanguinaria, portata alla luce solo dopo l’apertura degli archivi

Il 30 luglio 1937, il Politbjuro del partito comunista sovietico approvava il segretissimo ordine operativo 00447, stilato alla vigilia da Eov, il capo del Ministero degli interni (NKVD): prendeva così avvio l´ondata repressiva più sanguinaria del Terrore staliniano, responsabile, da sola, di più della metà delle vittime. Secondo le stime più recenti, ma non ancora definitive, le repressioni scatenate il 5 agosto in base all´ordine 00447 portarono alla condanna di 818.000 persone, di cui 436.000 furono fucilate, su un totale di 1.440.000 condannati e 725.000 giustiziati nel 1936-1938. Tenuta segreta, questa operazione terroristica di massa, ricostruita soltanto dopo l´apertura degli archivi, getta una luce nuova sul Terrore e sulla sua funzione nella società sovietica degli anni Trenta. Tradizionalmente considerato, come suggerivano i processi di Mosca in cui era stata sterminata la vecchia guardia bolscevica, il punto culminante delle purghe rivolte contro le élites politiche, militari e intellettuali con lo scopo non solo di eliminare gli oppositori a Stalin, ma anche di promuovere giovani quadri legati da un vincolo di fedeltà personale al dittatore, il grande Terrore appare oggi anzitutto il frutto di un preciso disegno di ingegneria sociale, volto a estirpare dal corpo sociale tutti quegli elementi che, per ragioni sociali o etniche, erano considerati "estranei" o "nocivi" per la nuova società socialista.
Questa logica è del resto esplicita nel preambolo dell´ordine 00447, che invitava la polizia politica a "farla finita una volta per tutte" con gli "elementi socialmente pericolosi", cioè con tutta quella schiera di figure del passato, di "uomini-ex" - ex-kulaki, i contadini benestanti già spodestati da Stalin con la collettivizzazione, ex religiosi, ex militanti di partiti soppressi dopo la rivoluzione e via dicendo - che, per via della loro stessa natura, erano sospetti di nutrire scarse simpatie per il regime. Per primi erano presi di mira i kulaki già deportati che, fuggiti dal confino o liberati allo scadere dei termini, avevano fatto ritorno ai villaggi, quando non avevano trovato lavoro nei cantieri dei primi piani quinquennali. Oltre ai kulaki, ai "banditi" e a sabotatori di ogni genere e tipo, finiva sotto la scure dell´ordine 00447 chiunque fosse tacciato di "attività antisovietica", un´etichetta, questa, affibbiata tanto al contadino che, per quanto povero, osava rimpiangere la sua fattoria, quanto all´operaio che si azzardava a protestare per le decurtazioni salariali o per l´aumento forsennato dei ritmi di lavoro imposto con l´industrializzazione forzata.
Gli "elementi antisovietici" andavano suddivisi, secondo l´ordine 00447, in due categorie. Per quelli di prima categoria, i più pericolosi, era prevista la fucilazione immediata. La condanna era pronunciata, dopo una sommaria istruttoria, dalle trojke, organi extragiudiziari formati dal segretario regionale del partito, il capo del NKVD locale e il pubblico ministero. L´inchiesta era rapida, per non allungare i tempi della campagna repressiva, che, come tutte le campagne del paese dei soviet, avanzava a tempi di record. La prova di colpevolezza principale era la confessione, estorta spesso agli imputati con la tortura, che proprio sul finire di luglio 1937 era tornata in auge nelle carceri sovietiche. La condanna a morte era segreta, anche per gli interessati. Segreto era pure il luogo dell´esecuzione. Per i condannati meno pericolosi - la seconda categoria - erano previsti invece 8-10 anni di lavoro forzato nei campi dell´arcipelago Gulag.
L´ordine 00447 stabiliva anche le "quote" di nemici del popolo da sradicare regione per regione e precisava quanti andavano fucilati - la "I categoria" - e quanti dovevano finire nei lager. Le quote erano fissate in base alle stime inviate al Cremlino, su richiesta del Politbjuro, dai responsabili regionali. La quota più elevata fu attribuita a Mosca, allora feudo di Chrušcev, che ottenne 35.000 vittime, di cui 5.000 di I categoria. Seguivano le terre di confino, la Siberia occidentale (17.000, di cui 5.000 di I) e gli Urali del sud (16.000, con 5.500 in I); un tributo meno esorbitante era chiamata a pagare Leningrado (14.000, di cui 4.000 in I), già martoriata dalle purghe degli anni precedenti. Fuori dalla Russia, la più colpita era l´Ucraina, con 28.800 arrestati e 8.000 fucilati. Macabro segno del fascino esercitato, negli anni dell´industrializzazione, da cifre e diagrammi, le quote non erano una novità assoluta. Già durante la collettivizzazione Mosca aveva assegnato alle regioni le quote di contadini da spodestare, specificando quanti andavano arrestati e quanti deportati. La differenza, nel 1937-1938, fu che ora la morte veniva decisa a tavolino, con un tratto di penna, una cifra nero su bianco in base a cui si sarebbero poi selezionati gli uomini.
Le cifre proposte dall´ordine 00447 - 75.950 fucilati e 193.500 internati - erano ben inferiori a quelli che saranno i risultati finali dell´operazione. In breve volgere di tempo, le quote assegnate da Mosca vennero esaurite e molti zelanti gerarchi locali, ansiosi di far bella figura davanti ai superiori, cominciarono a chiedere assegnazioni supplementari. Dalle province lontane giungevano al Cremlino telegrammi con richieste di aumentare le quote, perfino di 8 o 9 volte. E il Cremlino, compiacente, autorizzava, aizzando la macabra gara fra i signorotti locali. Invece che i 4 mesi previsti, l´operazione finì per durare più di un anno. A mano a mano che il tempo passava, gli aumenti di quote si facevano sempre più vorticosi. Nella primavera del 1938, Stalin concesse all´Ucraina l´aumento più elevato accordato a una sola regione: 30.000 vittime, e tutte di I categoria. Per realizzare le quote, gli agenti del NKVD, una volta esaurite le liste degli schedati, si lanciavano a caccia d´uomini circondando mercati e stazioni, dove si riuniva la povera gente in cerca di espedienti per sbarcare il lunario: chi era senza passaporto finiva nel mucchio. Con le retate e gli arresti notturni, le prigioni si riempivano fino a scoppiare. Per decongestionarle, Berija, futuro capo del NKVD, escogitò presto la soluzione: promuovere i prigionieri più pericolosi di categoria, passandoli in prima.
L´"operazione kulak", come era detta dagli uomini del NKVD, fu l´ondata repressiva più importante, ma non la sola, che si abbatté sulla società sovietica nel 1937-1938 per "purificarla" dagli "elementi estranei". Pochi giorni prima dell´ordine 00447, il 25 luglio, era stato diramato l´ordine 00439, che ingiungeva di arrestare, nel giro di 5 giorni, tutti i tedeschi impiegati in settori strategici (industrie legate alla difesa, ferrovie) e i sovietici che avevano un qualche rapporto con loro, tutti considerati spioni al soldo della Gestapo. Dopo i tedeschi, fu la volta dei polacchi (che pagarono il tributo più elevato: 143.810 condannati, di di cui quasi l´80% a morte), seguiti da lettoni e finlandesi, greci e rumeni, estoni e coreani. Fra luglio 1937 e novembre 1938 vennero condannate, nel quadro delle operazioni nazionali, 335.513 persone, di cui quasi i tre quarti alla pena capitale (247.157, cioè 73,6%), una percentuale ancora maggiore che per l´operazione kulak.
Che cosa scatenò la spaventosa mattanza del 1937-1938? Ci fu certo la personalità di Stalin, la paranoia del dittatore, incline a vedere ovunque tradimenti e complotti. Ci fu la psicosi di una guerra imminente, scatenata dal deteriorasi della situazione internazionale e dall´aggressività tedesca. Ma ci fu anche la volontà di stroncare sul nascere ogni possibilità di protesta sociale nel momento in cui si temevano nuove, gravi difficoltà economiche e, con l´adozione, nel 1936, della nuova Costituzione staliniana, il paese si apprestava ad andare alle urne, per quelle elezioni che la propaganda decantava come le più libere del mondo: da questo punto di vista, il Terrore fu un´operazione repressiva preventiva volta a terrorizzare la società e a privarla dei suoi possibili leader. Per dirla con Nicolas Werth, uno dei maggiori specialisti delle repressioni staliniane, il Terrore del 1937-1938 fu il culmine parossistico di quella gestione poliziesca del sociale che era stata inaugurata con la collettivizzazione e proseguita negli anni successivi con una serie di politiche volte a espellere dal corpo sociale, e soprattutto dai luoghi sensibili, come le grandi città e le regioni di frontiera, gli "elementi socialmente nocivi". Perché nulla potesse ostacolare il trionfo dello Stato che si era proclamato costruttore del socialismo.

Repubblica 28.7.07
Un'opera di pulizia "razionale"
La verità e le tre bugie di Krusciov
Massacro preventivo e differenze con la Shoah
di Andrea Graziosi

Nel giugno 1937, quando Stalin liquidò i vertici militari, l´opinione pubblica internazionale aveva già identificato il terrore con lo sterminio dell´élite sovietica. Questa identificazione, causata dalla risonanza dei processi e dalla notorietà degli imputati e poi favorita dalle memorie dei sopravvissuti nonché da romanzi come Buio a mezzogiorno, fu consacrata da Krusciov nel 1956. Malgrado il suo significato liberatorio e le verità che esso conteneva, il rapporto segreto si basava però su tre falsificazioni. La prima era che le sofferenze erano cominciate dopo il 1934, salvando con l´industrializzazione e la collettivizzazione l´essenza del sistema staliniano. Vi era poi la presentazione del partito come martire innocente, che nascondeva le responsabilità tanto dei vecchi bolscevichi vittime delle purghe ma protagonisti della guerra alla popolazione del 1929-33, quanto dei "compagni di Stalin", Krusciov compreso, che ammise di avere "le braccia immerse nel sangue fino ai gomiti". Soprattutto, il terrore era ridotto a quello contro i quadri dello stato e del partito.
Proprio alla fine del giugno 1937 Stalin decise però di effettuare, in tempo di pace, un intervento di chirurgia etnico-sociale sul corpo della popolazione attraverso "operazioni di massa" affidate alla polizia politica. La prima fu lanciata a luglio col decreto 00447 (vedi riquadro in alto a destra) che elencava le categorie da colpire e indicava le quote per regione delle persone da arrestare, divise in due categorie, quelle da giustiziare e quelle da deportare nei lager. Tra loro vi erano i membri dei vecchi partiti socialisti, religiosi ecc., ma la maggioranza era composta da contadini ("ex kulak") e piccoli criminali.
Lo 00447 fu seguito ad agosto dallo 00485, diretto contro "i membri dell´organizzazione militare polacca in Urss", vale a dire i cittadini sovietici di origine polacca. Esso servì da modello a decreti rivolti contro le altre nazionalità ritenute inaffidabili perché "soggette a governo straniero", benché risiedessero nel paese da lungo tempo: gli arrestati nel corso delle "operazioni nazionali" furono più di 330.000, di cui circa 250.000 fucilati.
Proseguiva intanto, estendendosi agli apparati locali, la purga dei quadri del partito e dello stato. In totale nel 1937 la polizia politica arrestò 937.000 persone, condannandone 791.000, di cui 353.000 a morte, quasi tutte dopo luglio. Nel 1938 vi furono invece 639.000 arresti e 554.000 condanne, di cui 329.000 a morte. Le esecuzioni di massa furono in genere condotte da piccoli gruppi di boia professionali che, facendo uso di vodka, giustiziavano i condannati singolarmente e in rapida successione con un colpo alla nuca di fronte a grandi buche scavate nelle foreste.
Nel 1936 le condanne a morte erano state invece circa 1.200 e ridiventarono 2.600 del 1939. Il terrore ebbe quindi un inizio e una fine precisi, e fu scandito da operazioni dirette da Stalin, che ne mantenne sempre il controllo.
In loco, però, il terrore ebbe un andamento caotico, prodotto da tre fattori. Ricevute le quote, i dirigenti della polizia politica controllavano quante persone delle categorie da colpire erano nei loro schedari. Il numero di regola non coincideva con quello indicato da Mosca. Ciò rendeva necessario "procurarsi" le persone mancanti. Poiché inoltre i decreti invitavano a eccedere le quote, chi si voleva distinguere si affannava a trovare altri colpevoli.
Il terrore che si innestò sulla purga dell´élite fu quindi insieme categoriale e preventivo: esso procedette cioè per categorie, ritenute pericolose e che quindi si decideva di liquidare preventivamente, in modo da rimuovere alla radice problemi futuri.
Questa essenza restò però segreta. L´ignoranza dei meccanismi del terrore ha influenzato anche le sue interpretazioni, che lo hanno a lungo presentato come un fenomeno casuale, teso ad atterrire, "atomizzandola", la popolazione. Ma se visto dall´esterno e cogli occhi delle sue vittime il terrore sembra cieco, una volta penetrata la sua logica esso ci appare come una opera "razionale" di pulizia, che procedette lungo due direzioni: l´eliminazione dei "detriti" ostili lasciati dalla costruzione del socialismo, proclamata dalla Costituzione del 1936, e quella di ogni quinta colonna potenziale in vista della guerra.
Il terrore del 1937-38 si ricollega perciò alla decosacchizzazione della guerra civile e alla dekulakizzazione del 1929-30. Esso è però anche la virulenta manifestazione di un fenomeno più generale, rappresentato dai tanti tentativi di manipolare la popolazione sulla base della sua suddivisione in categorie sociali, etniche o religiose, contrassegnate da un supposto maggiore o minore tasso di fedeltà o ostilità al potere. In epoca moderna tali pratiche sono state rafforzate dalla costruzione di stati in condizioni d´insicurezza, estremizzate dalle esperienze coloniali e poi generalizzate dalla prima guerra mondiale, quando raggiunsero il loro culmine con lo sterminio degli armeni. C´è a questo proposito da chiedersi se l´unicità della Shoah non consista anche nel suo essere slegata da ogni razionale, ancorché paranoica, preoccupazione di sicurezza, a meno di non voler ritenere tale la paura della contaminazione razziale. Anche in questo caso saremmo però lontani dal comportamento dei Giovani turchi del 1915 o dello Stalin del 1937-38, la cui lucida follia ci appare come un episodio estremo di quel terrorismo del potere che, come capì Burckhardt, stermina "gli avversari per categorie scelte secondo principi generali".

Repubblica 28.7.07
Il decreto n° 00477 che diede avvio allo sterminio
Sgominare senza pietà

Pubblichiamo parte del "Decreto operativo n° 00477 sulle operazioni di repressione degli ex kukak, dei criminali e degli altri elementi antisovietici", approvato il 30 luglio 1937

Dagli atti istruttori relativi alle formazioni antisovietiche trova conferma che nelle campagne si è rifugiato un gran numero di ex kulak, già repressi in passato, che si sottraggono alla repressione, fuggiti dai lager, dal confino e dalle colonie di lavoro. Vi si sono stabiliti molti degli ecclesiastici e dei membri delle sette, nonché degli ex partecipanti alle insurrezioni armate antisovietiche che in passato sono stati oggetto di repressione. Non sono stati pressoché colpiti nelle campagne i quadri principali dei partiti politici antisovietici (…) Una parte degli elementi su indicati, fuggendo dalle campagne verso le città, si è infiltrata nelle fabbriche, nei trasporti e nelle imprese edilizie. Inoltre, nelle campagne e nelle città hanno ancora il loro nido un numero considerevole di delinquenti comuni, di ladri di cavalli e di bestiame, di ladri recidivi, di rapinatori e di altri elementi che hanno scontato la pena, sono fuggiti dai luoghi di detenzione o hanno trovato scampo dalle repressioni. (...) Come è stato accertato, tutti questi elementi antisovietici sono i principali responsabili di ogni sorta di crimine antisovietico. Gli organi di Sicurezza hanno il compito di sgominare senza pietà questa banda di elementi antisovietici. In considerazione di ciò decreto di dare inizio il 5 agosto 1937 in tutte le Repubbliche e le regioni all´operazione di repressione degli ex kulak, degli elementi attivi antisovietici e dei criminali (…).
Per l´organizzazione e la direzione delle operazioni attenersi a quanto segue:
I. Categorie che soggiacciono alla repressione.
1. Gli ex kulak che hanno scontato la pena e continuano a condurre attività antisovietiche. 2. Gli ex kulak fuggiti dai lager o dalle colonie di lavoro, nonché quelli sfuggiti alla dekulakizzazione, che conducono attività antisovietiche. 3. Gli ex kulak e i soggetti socialmente pericolosi membri di formazioni insurrezionali fasciste, terroristiche e dedite al brigantaggio che hanno scontato la pena, sono scampati alle repressioni o fuggiti dai luoghi di detenzione e di nuovo impegnati in attività antisovietiche. 4. I membri dei partiti antisovietici, le ex guardie bianche, i gendarmi, i funzionari, i membri delle squadre punitive, i banditi e o loro complici, i favoreggiatori di fuggiaschi, i rimpatriati, coloro che sono scampati alle repressioni, gli elementi fuggiti dai luoghi di detenzione e tuttora dediti ad attività antisovietiche. (...)
II. Sulle misure punitive da adottare nei confronti degli elementi da reprimere e sul numero di coloro che soggiacciono alla repressione.
1. Tutti i kulak, i criminali comuni e gli altri elementi antisovietici contro cui dirigere la repressione vanno divisi in due categorie: a) nella prima categoria sono da annoverare tutti i soggetti più pericolosi tra quelli sopra nominati; costoro sono passibili di arresto immediato e di fucilazione; b) nella seconda categoria sono da annoverare tutti gli altri elementi meno attivi, ma ostili. Costoro sono punibili con l´arresto e la reclusione nei lager per un periodo da 8 a 10 anni (…)

Il Commissario del popolo agli Interni dell´Urss, N. Eov