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Ken Parker: il personaggio

di Claudio Ughetto - 20/08/2007

   
 

Ken  Parker si distingue dalla maggior parte degli altri eroi fumettistici perché vive un’esistenza in “divenire”. I personaggi di carta, di solito,  si ripresentano ad ogni puntata sempre identici, circondati dagli stessi amici e comprimari, spesso in lotta con un nemico a sua volta immutato. Di solito si limitano a vivere un presente un po’ stereotipato, privi di passato oppure con un passato oscuro, caratterizzato da una vicenda dominante che li ha segnati per sempre. Al di là di quel momento la loro esistenza permane immutabile tra scazzottate e sparatorie in nome di un lieto fine nuovamente minacciato nella storia successiva.
Ken ha un luogo e una data di nascita[1] (Buffalo, Wyoming, il 20 novembre 1844), dei genitori che in 8 anni riesce ad andare a trovare almeno una volta, un fratello (Bill) che dei cacciatori di scalpi, bianchi, gli uccidono già dal primo episodio, e il senso di colpa provato sarà forse la ragione del suo girovagare per gli States senza mai trovare un punto dove fermarsi. Pare che Berardi avesse previsto per lui anche la data della morte, ai primi del ‘900 durante uno sciopero di minatori, ma le sue vicende sono procedute al dì là delle intenzioni dell’autore stesso, scegliendo che Ken terminasse i suoi giorni da scrittore, in una prigione di Stato in seguito all’uccisione di un poliziotto, durante uno sciopero a Boston, per salvare un anziano e un bambino[2].
Dalla nascita alla morte, Ken vive e si evolve: invecchia e vede invecchiare gli altri, talvolta li saluta da vivi e, anni dopo, gli viene detto che sono morti[3]. Soffre quand’è distante dalle persone care. Affronta gli imprevisti quotidiani si arrabatta per esistere, si sperimenta in svariati lavori, conosce persone splendide che aiuta o lo aiutano a crescere, si integra tra popoli differenti , ama, combatte, si trasforma da trapper sensibile in lettore vorace e interessato alla cultura. Come ogni persona, compie scelte riuscite o sbaglia clamorosamente, se può si corregge, oppure cerca di far tesoro dei propri errori. Pur animato da un profondo senso della giustizia, si ritrova, nella seconda parte della sua esistenza, criminalizzato, ricercato e poi giudicato per aver agito contro quella che riteneva un’ingiustizia.
Le parole del suo creatore, Giancarlo Berardi, possono spiegarcelo in sintesi:

"Ken Parker è un uomo d'oggi, con i problemi d'oggi. Non ha nessuna certezza, nessuna sicurezza, vive giorno per giorno con gli ideali che si è costruito da sé cercando ardentemente, disperatamente, coraggiosamente e dolorosamente di essere coerente."

Ken ha sicuramente le caratteristiche per sopravvivere nell’’800 di frontiera: ha un fisico non possente ma agile e soprattutto sano, un’intelligenza pratica vividissima, sa adattarsi alle situazioni estreme e agli imprevisti, riconosce i segni presenti nell’ambiente, sa lottare ed eventualmente uccidere. Non è però un pistolero o un vendicatore solitario: ha messo qualche volta la stella di latta, posandola subito; gli è capitato di fare il detective, ma anche il taglialegna, il baleniere (controvoglia), l’attore, il ricercato e il carcerato. Privo di memoria per un anno, ha vissuto tra gli indiani Hunkpapa con il nome di Chemako[4]; anni dopo è stato tra gli Inuit[5] (gli Uomini), quelli che offensivamente chiamiamo Eskimesi (mangiatori di carne cruda). Ha saputo vivere tra questi popoli rispettando tradizioni non sue, sempre disposto ad imparare. Tra gli Inuit ha ricevuto il soprannome di Kenissuak, cioè di capo, sebbene il suo ruolo non assomigli certo a quello di Tex Willer- Aquila della notte tra i Navajo.
Ken non ha una missione di vitale importanza da compiere; non ha scelto di salvare il mondo. Questo non significa che sia qualunquista o nichilista. Semplicemente non è un “eroe di professione”, e in questo assomiglia a Corto Maltese (che però, talvolta, si protegge dal mondo adottando una posa) e Mister No. Con la differenza che Ken non beve (se non qualche birra ogni tanto), non fuma e non ama le risse  da bar. Sa fare a pugni se occorre, e gli capita spesso, ma di certo non userebbe queste parole del pilota americano: - Sfasciare mandibole, costole o zucche di furfanti vostri pari non mi lascia grandi rimorsi… ma spaccare una bottiglia di cognac ancora mezza piena… questo no, non me lo perdonerei mai! -. Ken non ama le gazzarre e fa bisboccia a piccole dosi. Come in Caccia sul mare (n. 6 della Ken Parker Collection), quando i marinai si ubriacano in sottocoperta, confrontandosi virilmente a braccio di ferro, lui, uomo di boschi e montagne, ingaggiato con la forza per cacciare balene, preferisce salire in coperta a guardare le stelle chiacchierando con il marinaio addetto al turno di guardia. Gli psicologi direbbero che ha una natura introversa. Questo non significa che sia un musone, un pistolero solitario dal passato torbido e romantico, cappello eternamente calato sugli occhi, che fa il vuoto attorno quando passa. Tutt’altro: è ironico e autoironico, facile alla battuta, fraterno con le persone che gli sono vicine, pieno di calore umano, animato da una curiosità perenne.
Con le donne ha un rapporto atipico per un uomo della sua epoca, e lo dimostra già dal n. 2, quando lo troviamo a letto con Tina, ragazza da saloon che ha conosciuto poche ore prima. Fino ad allora, 1977, non era mai successo che Bonelli concedesse tanto. I tempi di Dylan Dog e delle sue fidanzate, una diversa per albo, erano lontani. Tex viveva nell’immortale ricordo della moglie indiana, ed era difficile capire come i due fossero riusciti a fare un figlio, dati gli impegni del Ranger, eroe di professione; Zagor, energumeno affronta-mostri, arrossiva come un collegiale appena una donna gli si avvicinava; e Mister No, pur dichiaratamente donnaiolo e puttaniere a suo modo (sebbene non espressamente machista) non era mai stato colto sotto le lenzuola – come nei film degli anni 40, la porta della camera da letto si chiudeva davanti allo spettatore. Ma non è tanto come Ken vive l’eros a stupire, quanto l’assenza di strumentalizzazione e di moralismi. Subito dice a Tina di volerla portare con sé. Lei risponde: - Non è possibile, lo sai… Non riusciresti a scordare dove mi hai trovata -. E lui: - Non ci trovo niente di strano. Se un posto è abbastanza buono per un uomo, lo è anche per una donna… -. Benché spiccio e poco attinente alle recenti tesi del femminismo differenzialista, l’assioma dello scout rompe uno schema che era abituale nell’Ovest: la donna come madre o puttana. Tina è una puttana, ma è anche altro: donna ed essere umano pieno di sfaccettature e possibilità. Secondo gli anarcocapitalisti, tendenti a rivalutare ambiguamente la frontiera, il West rappresentava una condizione umana ideale, poiché l’assenza di istituzioni permetteva di basare economicamente ogni rapporto. Libero scambio di valuta, beni, armi, corpi… mi sembra ammirevole che Ken, in siffatta società, abbia considerato Tina qualcosa in più di una semplice transazione.
Tina non andrà con Ken. Una pallottola indirizzata a lui mette fine alle sue speranze. Anche qui Ken la tratta come probabilmente non lo è mai stata. – Sto per morire? – gli chiede. – Sì – risponde lui. Lei dice di avere paura e lui la stringe tra le braccia: - Non devi. Ora non sei più sola… Io resto con te fino all’ultimo… Aspetteremo insieme… - . Qualcuno ha criticato questo “Sì” detto ad una moribonda, mentre io lo considero una dimostrazione di stima ed onestà.
Ken non è un seduttore. Non è interessato al possesso, né ama farsi desiderare: preferisce vivere l’universo femminile in tutte le sfumature, senza usare ma nemmeno illudere. Il gioco dell’eros è sempre reciproco, a pari regole. Nella sua esistenza non compare la donna dell’eroe: egli viene a contatto con donne da amare ed altre che non può fare ameno di ammirare e ricordare. Col passare degli anni, si accorgerà di avere amato la moglie indiana, Tecumsee, uccisa dalle Giacche Blu in un episodio fondamentale della serie[6], più di quanto si fosse mai accorto. Forse è per questo che non ha mai smesso di occuparsi, sebbene a distanza, del figliastro Teddy-Theba, cresciuto a Boston da una donna che non ha amato fisicamente ma che ha determinato la sua esistenza più di altre: Belle-Kianceta, che solo tra i pellerossa si è accorta di essere una donna. C’è poi Adah, l’ex schiava e puttana negra dalla personalità così esclusiva da prendersi un album quasi per intero[7] . E c’è Milady, la giornalista inglese che, per ammissione dello stesso Ken, appartiene ad un mondo inconciliabile al suo ma che gli lascerà una nuova passione: la letteratura. E ce ne sono altre, sebbene tra gli affetti di Ken sia rimasta una donna il cui rapporto non era determinato dall’eros, ma dall’affetto e dall’amicizia. Piccola donna, la quattordicenne Pat O’ Shane, donna e bambina metà e metà, travolgente come gattino impetuoso e alla ricerca di sé[8]. Che fine avrà fatto, dopo che è diventata donna? Si sarà sposata, come la scena finale di Uomini, bestie ed eroi lasciava presagire? Avrà avuto dei figli? Ken se lo starà chiedendo, nella prigione in cui è finito e nell’assenza di prospettive in cui è precipitato. Sconcertando probabilmente i suoi stessi autori[9].
[2. continua]

NOTE
[1] L’unico altro caso a mia conoscenza è Corto Maltese. Famosa è la scelta di beffare il destino allungandosi la linea della vita sulla mano con un colpo di coltello, quando sua madre (una gitana) l’aveva ritenuta troppo breve.
Umberto Eco scrive che ne Una ballata del mare salato (…) tutto segue il ritmo delle rotte marine che racconta anche la psicologia dei personaggi, che si amano dopo essersi sparati addosso, o si uccidono per amicizia, e perdono il controllo, e si reinvestano, con una discendenza, una cartella clinica a ogni pagina.
[2] Sciopero, n. 58, vecchia serie
[3] È il caso del vecchio Pucho e la nipote, che incontra alle prime pagine del n. 1. Otto anni dopo, tornando a casa a trovare i suoi, Ken passa da quelle parti per salutarlo. La nipote di Pucho è sposata e in attesa di un bambino, mentre il vecchio se n’è andato serenamente all’altro mondo, com’è naturale (Casa dolce casa n. 30, vecchia serie).
[4] Chemako, n. 3 Ken Parker Collection, luglio 2003
[5] Il popolo degli uomini, n.6 Ken Parker Collection, Ottobre 2003
[6] Chemako, n. 3 della Ken Parker Collection
[7] In Adha, n. 46 della vecchia serie, magistrale esempio di sensibilità narrativa e virtuosismo stilistico, Ken compare a pag. 75 su 98. 
[8] Pat O’ Shane occupa 4 albi consecutivi che ora possiamo ritrovare nella Ken Parker Collection: La ballata di Pat O’ Shane, La città calda, Ranchero e Uomini, bestie ed eroi.
[9] Ne La terra degli eroi e Nelle braccia della notte, n. 24 e 25 del Ken Parker Magazine, divertissement citazionista ma non solo, Berardi e Milazzo sembrano voler comunicare al lettore di non saper più cosa fare della loro creazione. Basti pensare alla commovente chiacchierata tra Ken e Berardi, con Ken che dice al suo autore: - Erano anni che scappavo con quell’accusa infamante di omicidio alle calcagna! Pensavo che, alla fine, si sarebbe risolto tutto, ma tu cosa vai a escogitare? … DI FARMI MORIRE! –
Pur non morendo, Ken finirà in prigione e la serie si conclude lì. Poco vale “l’espediente” di trasformare Ken in scrittore di storie proprie, vissute e possibili, e di altri (comunque buona l’idea di mettere Teddy-Theba- Telemaco alla ricerca di Ken-Ulisse, tramite le avventure di Huckleberry Finn).
Ora Berardi scrive le avventure di Julia la criminologa, personaggio interessante ma più attinente a logiche seriali (se Ken Parker è grande cinema, Julia è un ottimo telefilm), mentre Milazzo offre i suoi pennelli a MagicoVento, western anomalo ma più corrispondente al target bonelliano, che tuttavia gli permette di curare maggiormente il suo splendido stile, che talvolta aveva sacrificato ai tempi di consegna.