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Oltre il Cardinal Bertone: tasse e modello di sviluppo capitalistico

di Carlo Gambescia - 21/08/2007

 

Il rumore intorno al caso di Valentino Rossi e il recente intervento del Cardinal Bertone sul dovere del cittadino di "pagare le tasse", accolto positivamente a sinistra, indicano come per il governo Prodi e la stessa Chiesa Cattolica la questione fiscale sia diventata centrale. Ma potrebbe non bastare. E spieghiamo perché.
Il “pagamento delle tasse” non è questione puramente economica. Senza voler andare troppo in là, basta sfogliare un qualsiasi manuale di storia moderna per scoprire come tra le cause della Prima Rivoluzione Inglese e di quella Francese, vi fossero questioni fiscali.
In realtà, si tratta una di questione che nel Novecento, con lo sviluppo della democrazia e con la costruzione del Welfare, ha assunto dimensioni imponenti. Semplificando: nel secolo scorso il “pagare le tasse”, da obbligo del suddito verso il sovrano si è trasformato in dovere di cittadinanza. Di qui però la necessità, tuttora viva, di godere da parte delle autorità politiche di un esteso consenso sociale. Ma come garantirlo? Ecco il punto.
In prima battuta, si è puntato sul Welfare, soprattutto nei paesi dell’Europa Occidentale. Trasformando il “pagamento delle tasse” in un elemento di scambio: più tasse più sicurezza sociale per tutti.
In seconda battuta, come di solito capita nei fenomeni sociali basati sulla reiterazione, nel tempo l’elemento di scambio, come fattore ideologico fiduciario, si è appannato. Ed è rimasta soltanto la crescente pressione fiscale. E ciò a prescindere dalla qualità dei servizi sociali forniti.
Su questo elemento reiterativo, oggi sorretto solo da un principio ideologico di autorità (“ le tasse vanno pagate, punto e basta”), influisce anche un processo disgregativo della coesione sociale, legato a valori e comportamenti di tipo individualistico, indotti necessariamente dal modello di sviluppo capitalistico.
Ora, la contraddizione fiscale ( e sistemica) è proprio questa: il sistema capitalistico per crescere ha bisogno, come dire, di forti dosi di individualismo, e dunque di alti consumi, ma al tempo stesso per garantirsi il consenso sociale ha necessità, in pari misura, del collettivismo democratico, rappresentato dalla diffusione della cittadinanza welfarista. Questa contraddizione, per ora, ha generato l’individualismo protetto: i singoli pretendono il massimo della protezione sociale individuale, ma al tempo stesso non vogliono pagarne i costi (fiscali). Ovviamente, ogni nazione ha interpretato (e interpreta) questo principio, secondo le proprie tradizioni, costumi e strutture di welfare.
Pertanto l’evasore fiscale ragiona, diciamo così, da “individualista protetto”.
Di conseguenza, se è il sistema economico e sociale ha produrre (e riprodurre) questa figura, come sarà possibile combattere l’evasione? Intensificando i controlli? Certo, ma tenendo presente che la riproduzione sociale della figura dell’ ”individualista protetto” viaggia a velocità superiore rispetto a quella osservata anche dai più attenti controlli amministrativi. Oppure tornando a invocare il valore collettivo della “coesione welfarista di cittadinanza”? Ma come riuscirvi in una società che premia l’individualismo, smantella lo stato sociale e mette i giovani contro gli anziani?