S.O.S: Salvare un Presidente!
di Stephen Lendman - 21/08/2007
Nel primo anno di presidenza di George Bush, il Cook Political Report, ad ampia diffusione, aveva dato il seguente giudizio dei primi mesi di presidenza: “Guardando retrospettivamente ai suoi primi cinque mesi in carica, il Presidente George W. Bush, con la sua amministrazione, aveva avuto una partenza forte, di gran carriera, ma ora per lui il futuro appare ben lontano dall’essere certo. Non solo stanno crollando gli indici di gradimento sull’azione complessiva di Bush, ma gli indici della disapprovazione nei suoi confronti sono in piena ascesa e dopo un efficace avvio, gli ultimi tre mesi sono stati tutto meno che propizi per il nuovo Presidente. La buona notizia…è che hanno molto tempo a disposizione prima delle prossime elezioni presidenziali o di medio termine. La cattiva notizia è che hanno molto lavoro da fare per andare ai ripari e sarebbe meglio che cominciassero.” Costoro hanno sprecato il poco tempo a disposizione per fare questo, e nessuno (almeno l’opinione pubblica) immaginava in giugno quello che stavano progettando per il settembre successivo. Diffondere notizie allarmistiche diventa indispensabile Il 7 luglio, l’ex Senatore della Pennsylvania Rick Santorum prendeva parte al programma radiofonico Hugh Hewitt. Egli veniva presentato dal conduttore come “uno dei nostri Americani più illustri”, non lasciando alcun dubbio dove si posiziona Hewitt. Santorum, malgrado si presentino sul terreno situazioni senza speranza, arrivava a mettere sulla graticola la mancanza di risoluzione dei suoi ex colleghi che chiedevano di fermare il corso degli avvenimenti in Iraq. Inoltre non perdeva l’occasione di andare più oltre, sostenendo che “affrontare l’Iran è un assoluto passaggio obbligato per i nostri successi in quella regione,” che l’11 settembre ci ha insegnato che gli “Islamisti” devono essere affrontati, che costoro vogliono “soggiogare quella regione del mondo e presto mettere piede sul nostro gradino di casa, se non bloccati, e questo da adesso a novembre; stanno per succedere avvenimenti che forgeranno nel pubblico una opinione decisamente diversa di questa guerra…a causa…di molti eventi decisamente sfortunati, come quelli che stiamo vedendo accadere in Gran Bretagna.” Rick Santorum è a conoscenza di qualche fatto che il pubblico non sa, e cosa lo ha autorizzato a diffondere questo allarmismo? Un altro avvertimento arrivava il 10 luglio dal Ministro della Sicurezza Michael Chertoff, che praticamente rendeva noto ad un incontro con il comitato di redazione del Chicago Tribune che era in preparazione un altro rilevante attacco terroristico, alla fine o dopo questa estate, per il fatto che “sentiva sulla sua pelle” il periodo che precedeva un rischio in aumento. Fondando le sue valutazioni su una segreta azione di intelligence, (come sempre), e sulla base dei “disegni terroristici in Europa”, Chertoff aggiungeva: “L’estate sembra essere favorevole ai terroristi e noi siamo preoccupati che costoro stiano riorganizzando le loro attività. Io penso che in questa estate stiamo entrando in una fase di rischio accresciuto.” Il compito di Chertoff non è quello di “tenerci al sicuro”, la Dowd dovrebbe ben saperlo, e il tentativo di questa all’umorismo non risulta divertente. Le osservazioni di Chertoff devono essere prese in modo serio. Evidenziando per tempo uno o più eventi terroristici, forse imminenti, forse molto importanti, queste dichiarazioni sono rese per segnalare una variazione di clima politico. Ancora più allarmismo Pronto a giocare il loro ruolo guida di iperventilazione sul fuoco, il sistema corporativo dei media diffonde l’idea di un attacco a sorpresa terroristico estivo, a preparare in anticipo la pubblica opinione per quello che potrebbe arrivare, e di accettare in risposta le conseguenze di un’America stato di polizia. ABC News forse è stato il primo a gonfiare la storia, citando una recente analisi del FBI sui messaggi di Al-Queda, analisi che lancia un allarme sul “loro intento strategico di colpire gli USA all’interno e gli interessi USA nel mondo, che non dovrebbe essere preso sotto gamba come un rumore di fondo puramente ingannevole.” Con una dichiarazione chiaramente arrivata al momento opportuno, e motivata politicamente, il 17 luglio venivano divulgati “importanti giudizi” di Valutazione Preventiva (non più segreta) da parte dell’Intelligence Nazionale, in combinazione con opinioni di agenzie di spionaggio dell’amministrazione Bush, rilasciate il 16 luglio. Il tutto era intitolato: “La Minaccia Terroristica contro la Patria USA”, e presentava le seguenti rivelazioni, incluse quelle rimaneggiate in precedenza, in aggiunta a quelle già citate: Nella sua conferenza stampa del 12 luglio, George Bush ha resuscitato lo spettro della minaccia di Al-Queda contro gli USA, citando il documento di intelligence summenzionato, come prova presunta. Con ciò, ha resuscitato una preziosa idea, da tanto tempo sorgente di molti dubbi: “La gente che ora sta bombardando il popolo innocente dell’Iraq è la stessa che ci ha attaccato in America, l’11 settembre. Qui in casa, dobbiamo renderci sicuri rispetto a coloro che hanno provocato ciò che sta avvenendo in Iraq.” Ponendo in rilievo la possibilità di una rilevante aggressione terroristica contro il territorio USA, questi commenti, queste Valutazioni Preventive rese pubbliche dall’Intelligence Nazionale, queste incendiarie considerazioni da parte di dirigenti come Michael Chertoff, in associazione con il sistema dominante dei media che soffia sul fuoco, effettivamente attizzano il pubblico terrore. Questo può provocare un Allarme a Codice Rosso, che segnala il livello di minaccia terroristica più alto, e probabilmente l’Allarme sarà seguito da una sospensione della Costituzione, dall’imposizione della legge marziale e dalla fine della Repubblica. L’autorità della legge verrà sospesa, il dissenso non sarà più oltre tollerato, (è di già illegale), l’esercito e le altre forze di sicurezza saranno impegnati sul territorio USA in azioni di forza, se necessario, e uno stato di polizia, fascista, conclamato apertamente, da allora in poi verrà di fatto imposto. Una "Catastrofica Emergenza in Patria" per giustificare l’aggressione all’Iran Il puntare il dito dell’amministrazione Bush contro l’Iran, indicato come una minaccia alla sicurezza USA, è tanto privo di fondamento quanto sono state per la guerra contro l’Iraq le menzognere affermazioni sulle armi di distruzione di massa di un dittatore pericoloso. Questa è la stessa motivazione per cui Washington ha desiderato il cambiamento di regime nella Repubblica Islamica dell’Iran, dal momento in cui la rivoluzione del 1979 aveva deposto lo Scià Reza Pahlavi, rimesso sul trono al potere dagli USA in seguito ad un colpo di stato istigato dalla CIA nel 1953 contro il democraticamente eletto Mohammed Mossadegh. Attraverso la pratica usuale di corruzioni e prepotenze, l’amministrazione ha portato il Consiglio di Sicurezza ad agire per suo conto. Nel luglio 2006 è passata la Risoluzione ONU 1696, che pretendeva dall’Iran la sospensione dell’arricchimento dell’uranio, a partire dal 31 agosto. Al rifiuto dell’Iran, nel dicembre 2006 veniva votata la Risoluzione 1737, che imponeva sanzioni limitate, poi rese più restrittive nel marzo 2007 con la Risoluzione 1747. Questa imponeva l’interdizione alla vendita di armamenti ed allargava al paese un blocco delle attività, malgrado l’insistenza dei dirigenti Iraniani, (in assenza di prove a contraddirli), che il loro programma nucleare era del tutto pacifico e completamente in accordo con il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare (NPT). Appena l’Iran ha dimostrato questa buona volontà di cooperazione e di non costituire minaccia per alcun paese, l’amministrazione Bush ha rinunciato al NPT e al suo cruciale Articolo VI, che impegna le nazioni nucleari a mettere in atto sforzi di “buona fede” per eliminare i loro arsenali atomici, poiché averli innalza il rischio di usare le armi nucleari, mettendo in pericolo il pianeta. Mentre l’Iran desidera la pace e la non-proliferazione nucleare, l’amministrazione Bush persegue un’agenda sconsiderata, che prevede quanto segue: Di fatto, mentre l’Iran non minaccia nessuno, l’America minaccia l’intero pianeta, e la comunità mondiale sopporta in silenzio davanti ad un potenziale disastro, se gli USA, sicuri di farla franca, scatenassero una guerra nucleare. Quale altra nazione oserà sfidare l’unica superpotenza mondiale rimasta, malgrado le possibili orrende conseguenze derivate da un tale atteggiamento sprezzante? |
Spaventare l’Opinione Pubblica a Morte – Atto II
Un’altra campagna, già vista in precedenza e già screditata, ora sta nuovamente riscaldando gli animi, sebbene il Ministro degli Esteri Britannico, David Milliband, non abbia tenuto troppo in conto la sua credibilità in un’intervista dell’8 luglio al Financial Times.
Questa campagna mette in risalto, ma senza produrre prove credibili, anche perché non ve ne sono, le asserzioni e la retorica ostile degli USA su Reparti “Quds” della Guardia Rivoluzionaria Iraniana che stanno fornendo armi, finanziamenti ed addestramento agli Sciiti e ad altri combattenti della resistenza in Iraq e in Afghanistan.
Inoltre viene aggiunto che: “Gli istruttori dei Reparti “Quds” e di Hezbollah hanno addestrato in campi nei pressi di Teheran approssimativamente dai 20 ai 60 Iracheni per volta. Gli Hezbollah Libanesi...come mandanti o di supporto in Iraq.”
Michael Gordon, giornalista del New York Times, su una linea di difesa da falchi (riprendendo dal punto in cui la ignominiosa Judith Miller aveva lasciato), ha concluso “che l’Iran si è impegnato per anni in una guerra per procura contro le forze Americane e del governo Iracheno”.
Questo tipo di linguaggio guerrafondaio sulla prima pagina del New York Times soffia sul fuoco in favore di una analisi logica di autodifesa, che induce ad una futura aggressione militare contro lo stato Iraniano, basata su false considerazioni, come le giustificazioni di Gordon.
Ciò indica la direzione verso cui si sta andando e sembra confermare quello che il London Guardian ha riportato, che una fonte “ben accreditata” a Washington di recente aveva affermato che “Bush non avrebbe abbandonato la carica con ancora l’Iran nel limbo, in uno stato di indeterminatezza”.
Sono le labbra di Bush a muoversi, ma sono le parole di Dick Cheney che vengono pronunciate, le sue e di quelli che gli stanno intorno, (come Elliott Abrams, criminale Iran-Contra, fanatico sostenitore di Israele, e consigliere deputato alla sicurezza nazionale), che da tanto sono favorevoli ad una azione militare diretta contro l’Iran, compreso l’uso di armi nucleari.
Secondo fonti del Guardian, “A Washington la bilancia non è più in equilibrio”, con George Bush sul bordo con il suo vice-Presidente, che, come sanno i ben informati, comanda con tutta rilevanza nel Campidoglio Nazionale.
Il Guardian riferiva che il direttore delle ricerche dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici, Patrick Cronin, affermando che “Cheney ha posto un limite alla fuga di capitali, (una affermazione verosimilmente poco chiara), e, se usasse questi capitali per uno scopo mirato, (ad esempio per attaccare l’Iran), egli potrebbe ancora avere una forte influenza.”
Nel Golfo, gli USA hanno una formidabile forza d’urto solamente a questo scopo, con due raggruppamenti di mezzi di trasporto truppe, 50 o più navi da guerra dotate di armamento nucleare, centinaia di aeroplani e contingenti di Marines e di personale della Marina Militare.
I piani di battaglia sono già da tempo predisposti, (e naturalmente aggiornati alle necessità), secondo il codice, o nome delle operazioni, TIRANNT per Theater Iran Near Term – Teatro Iraniano Prossimo a Scadenza.
Se si arrivasse ad un attacco, questo partirà dalla task force Navale del Golfo e vedrà l’utilizzo anche di bombardieri a largo raggio e di altri aerei da guerra e di missili di stanza in Iraq e in postazioni strategiche, come la base di Diego Garcia, dentro un raggio di azione per cui risulta facile raggiungere i siti bersaglio.
La possibilità che ciò accada fa spavento, mentre, secondo un “Ordine Provvisorio di Allerta per un Attacco Globale” top secret e il CONPLAN 8022 (piano per le emergenze), Washington ribadisce il diritto di colpire preventivamente obiettivi in ogni parte del mondo, usando armi nucleari definite di “bassa cessione”, estremamente potenti, “distruggi bunker”, con l’Iran a costituire evidentemente il primo bersaglio della lista.
La sola buona notizia dal Guardian, (se corretta), è che “Nessuna decisione su un’azione militare è prevista fino al prossimo anno”, con il Dipartimento di Stato che continua per ora a perseguire le vie diplomatiche – cosa che può esattamente costituire una cortina fumogena diversiva per quello che è stato già pianificato.
Il 17 luglio, la Reuters riportava le dichiarazioni dell’Ambasciatore USA a Kabul, William Wood,: “ Certamente molte munizioni che finiscono nelle mani dei Talebani arrivano dall’Iran. Noi riteniamo che la quantità e la qualità di queste armi siano tali che il governo Iraniano non possa non esserne a conoscenza.”
Il Ministro della Difesa Robert Gates aveva reso una identica dichiarazione un mese prima, aggiuntiva ad altre comunicazioni sull’Iran, come questo stia fornendo aiuti agli Sciiti, ad altri combattenti “militanti” ed a elementi di “Al-Queda” in Iraq, agli Hezbollah in Libano, e ad Hamas a Gaza.
Tehran respinge queste accuse come “prive di fondamento e illogiche”, replicando ovviamente che a causare l’instabilità in quelle regioni è la presenza militare USA in Iraq e nell’Afghanistan e l’appoggio unilaterale di Washington per Israele.
Gli USA sono alla ricerca forte di un pretesto per colpire la Repubblica Islamica, ma il governo Iraniano non è disponibile a fornirlo. Infatti, sta facendo l’opposto, cooperando con la IAEA e continuando ad affermare la sua volontà di impegnarsi in costruttive trattative diplomatiche con l’amministrazione Bush.
Il 16 luglio, l’Iran ha fornito indicazioni sulla possibilità in un “vicino futuro” di un’altra ripresa delle consultazioni con Washington, collegate alla sicurezza rispetto alla questione Irachena.
[Nota del traduttore: da il Manifesto del 5 agosto 2007. Rappresentanti di Iran, Iraq e Stati Uniti si incontreranno domani, 6 agosto, per discutere i dettagli di un comitato “trilaterale” per la sicurezza in Iraq. La cosa in sé è notevole, e non solo perché Tehran e Washington hanno rotto le relazioni diplomatiche nel 1980 e da allora hanno relazioni più o meno fredde: in questo momento gelide. Il fatto è che nell’ultimo anno i comandanti USA in Iraq hanno accusato l’Iran di fornire armi alle milizie Sciite che attaccano le forze USA. Domani però si accorderanno su un comitato congiunto per riportare la sicurezza in Iraq.
L’incontro di domani è il terzo tra i “due grandi nemici”. Dopo quelli tenuti a Baghdad in maggio e poi il 24 luglio. Ed è al termine del secondo incontro che Stati Uniti ed Iran (tramite i rispettivi Ambasciatori in Iraq) e il governo Iracheno hanno deciso di formare un comitato trilaterale per trattare questioni come l’attività delle milizie armate e la presenza di Al-Queda in Iraq. Domani entreranno nei dettagli per stabilire la composizione e l’ordine dei lavori del comitato, secondo quanto ha dichiarato ieri l’Ambasciatore Iraniano a Baghdad Hassam Kazemi-Qomi all’agenzia Irna. Non ha specificato chi parteciperà all’incontro.
A prima vista, i ripetuti incontri e la formazione di un comitato congiunto contrastano con i toni da guerra fredda invalsi nelle relazioni fra Tehran e Washington. Le accuse americane all’Iran sono andate in crescendo, con anche gesti propagandistici, come quando, mesi fa, i comandi USA hanno diffuso disegnini di sofisticati ordigni smontabili secondo loro preparati in Iran ed usati contro i mezzi americani. In gennaio soprattutto le forze USA hanno arrestato ad Erbil, nel Kurdistan Iracheno, quattro addetti consolari Iraniani, accusandoli di essere in realtà ufficiali delle Guardie della Rivoluzione che agivano come agenti del traffico di armi (l’accusa è stata formalizzata solo più tardi ed è oggi una carta in mano a Washington nel contenzioso contro Tehran). Se le forze USA hanno prove circostanziate delle loro accuse, certo è che non le hanno mai presentate.
Poi però Washington ha accettato di avviare incontri diretti con Tehran – precisando che l’unico tema sarebbe stata la sicurezza in Iraq, dunque non il contenzioso sul programma nucleare Iraniano ne’questioni bilaterali di altra natura. Dunque, da un lato c’è la campagna, altamente pubblicizzata, sulle presunte forniture di armi Iraniane alle milizie; dall’altro c’è una richiesta molto più pragmatica: che Tehran usi la sua influenza presso le varie forze Sciite Irachene perché queste riducano gli attacchi contro le forze americane. Lo si desume da quanto dichiarava l’Ambasciatore USA a Baghdad Ryan Crocker al termine dell’incontro del 24 luglio: l’amministrazione di Washington, ha detto al reporter, considera l’Iran responsabile degli attacchi delle milizie Sciite in Iraq e si aspetta che faccia qualcosa per mettervi un freno. Che è poi quanto aveva dichiarato lo scorso ottobre il Sottosegretario di Stato USA Nicholas Burns, incaricato per la politica verso l’Iran: ciò che gli USA vogliono è che Tehran usi la sua influenza presso gli Sciiti per calmare la situazione in Iraq e allentare la pressione sulle forze USA laggiù. Questo per lo meno è l’obiettivo della Segretaria di Stato Condoleezza Rice o del Segretario alla Difesa Gates, a quanto sembra di capire.
Le forniture di “armi sofisticate” resteranno nell’aria (e nei titoli dei media), naturalmente: “fanno parte di una più ampia strategia per aumentare la pressione su Tehran”, osserva l’analista di questioni di sicurezza Gareth Porter su Asia Times. E poi possono sempre servire a creare le “prove” necessarie alle operazioni di forza auspicate dai neo-con dell’amministrazione di George Bush. Ma.Fo.].
Tehran dimostra ancora una volta che pensa quello che dice. Il problema è che è l’amministrazione Bush a non farlo, che persevera in tattiche di linea dura, preferendo la belligeranza e la doppiezza nei confronti dell’Iran, cosa comunque che corrisponde al suo stile di condurre gli affari. L’amministrazione Bush vuole costringere a negoziare solo alle sue condizioni, mentre mette sul tavolo la minaccia di un’opzione militare o sanzioni economiche contro quelle nazioni che non vogliono accettare. Allo stesso tempo, l’Iran sa che la CIA e reparti delle forze speciali sono state impegnate in azioni segrete nel paese per molti mesi, per destabilizzare il governo in carica.
Per giunta, Washington ha cercato di mettere in piedi una coalizione anti-Iraniana fra l’Arabia Saudita, la Giordania e l’Egitto, in modo da indebolire ulteriormente l’influenza di Tehran nella regione. Inoltre, il Dipartimento di Stato ha esercitato pressioni su banche internazionali e altre corporations perché tronchino le relazioni con l’Iran, in modo da far “schiantare” il paese, con le stesse modalità dell’amministrazione Nixon nei confronti del Cile di Salvador Allende e dell’amministrazione Bush e di Israele nei confronti di Hamas, eletto democraticamente al governo di Gaza. Naturalmente, l’Iran, come il Venezuela guidato da Hugo Chavez, è riccamente dotato di materie prime largamente richieste nel mondo e può conservare un buon flusso di entrate, che gli consente di non dare troppa importanza a tutto questo.
Il fattore Israele
Quando si arriva all’Iran, Israele fa parte in ogni modo dell’equazione.
L’11 luglio, il Senato ancora una volta dimostrava di essere territorio occupato da Israele, (assieme alla Camera dei Rappresentanti), approvando 97 - 0 l’Emendamento del Senato 2073, fortemente voluto dal Ministro per gli Affari Strategici di Israele, Avigdor Lieberman, (National Defense Authorization Act per l’Anno Finanziario 2008).
Questo conclama la stigmatizzazione dell’Iran per la sua complicità nell’uccisione di soldati USA in Iraq. Era un chiaro avvertimento a Tehran, che sta esigendo la produzione delle prove, mai addotte, che il suo governo stia usando per procura forze sul campo per attaccare le truppe USA. Questo, in seguito a mesi di accuse da parte dei comandi Americani, che l’Iran sta fornendo vari tipi di armi ai gruppi della Resistenza Irachena, senza alcuna prova chiara che questo avvenga.
Israele sta nella mistura, (e tanto!), e ha ripetutamente messo in guardia per un attacco contro l’Iran, come ha fatto all’inizio dell’anno il Primo Ministro Ehud Olmert, affermando che il suo paese non poteva correre il rischio di un’altra “minaccia alla sua esistenza”, con chiaro riferimento all’Olocausto Nazista.
Con questo, Olmert e altri dirigenti politici e militari Israeliani di alto grado puntano il dito contro il programma nucleare ad uso civile dell’Iran, asserendo falsamente che Tehran è fanaticamente ed ideologicamente impegnata a distruggere lo Stato Ebraico. Questa è una sciocchezza, ma è utile, alimentando le paure, per portare l’opinione pubblica di Israele e del mondo ad essere favorevole a qualsiasi azione militare, pianificata per “auto-difesa”.
Altri dirigenti Israeliani per la sicurezza nazionale hanno un punto di vista contrario, ma le loro prese di posizione non incontrano l’attenzione della stampa. Costoro pensano che il governo Iraniano sia razionale e non abbia affatto l’intenzione di scatenare una guerra contro Israele, gli Stati Uniti o qualsiasi altra nazione.
Israele e gli USA sanno tutto questo, ma non si sognano di renderlo pubblico. Se l’Iran attaccasse Israele, sarebbe come commettere un suicidio. Sarebbe come garantirsi una risposta totale da parte di Israele e Stati Uniti, forse con armi nucleari, che vedrebbe devastato il paese.
Inoltre, non si cita mai che, dopo che l’antico impero Persiano divenne Iran nel 1935, questa nazione ha sempre osservato il diritto internazionale, non ha mai occupato un altro paese, non ha mai attaccato o minacciato di aggredire un’altra nazione, al di là di occasionali schermaglie di frontiera, ben lontane dal costituire un conflitto. Il solo conflitto a tutto campo è stato di natura difensiva in risposta all’invasione del settembre1980 scatenata da Saddam Hussein, sostenuto, equipaggiato e aiutato finanziariamente dagli USA. Le prove di questo ora sono schiaccianti.
L’Iran non minaccia alcuna nazione e solamente difenderà se stesso, se aggredito.
L’Iran ha presentato formali proteste presso il Consiglio di Sicurezza, censurando i commenti minacciosi di Ehud Olmert e del Ministro per i Trasporti Shaul Mofaz.
Mofaz aveva espresso le sue osservazioni durante una visita a Washington in giugno e Olmert aveva manifestato le sue in aprile alla pubblicazione Tedesca Focus, ma in seguito le aveva ritrattate, pur essendo state testualmente riportate.
Entrambi i dirigenti parlavano di una possibile aggressione di Israele contro le strutture per il nucleare civile dell’Iran, con il Primo Ministro Israeliano che dichiarava che il programma nucleare Iraniano poteva essere portato a termine da 1000 missili Cruise lanciati per 10 giorni. Egli aggiungeva: “Forse è impossibile distruggere completamente il loro programma nucleare, ma certamente sarà possibile danneggiarlo in modo tale da portarlo indietro di anni.” Un migliaio di missili Cruise, molti con testate nucleari, porterebbero indietro di anni l’intera nazione, se non addirittura all’anno zero.
L’11 luglio, il Ministro per gli Affari Strategici di Israele, Avigdor Lieberman, si dimostrava all’altezza della sua tristemente famosa reputazione di super-falco sprezzante con idee da fascista estremista. Egli dichiarava alla Radio dell’Esercito di Israele di essersi recato negli USA e in Europa per sostenere un attacco militare Israeliano contro le strutture nucleari dell’Iran in un incontro con dirigenti della NATO e dell’Unione Europea. Continuava dicendo che il messaggio che aveva ricevuto era che l’America e l’Europa erano già impegnate in Iraq e in Afghanistan e che Israele doveva procedere per conto proprio per “prevenire la minaccia Iraniana che sente su di sé”.
Secondo il Maggior Generale Eyal Ben-Reuven dell’Esercito di Israele (IDF), comandante responsabile delle forze Israeliane nella guerra disastrosa dell’estate scorsa in Libano, Israele deve tenere presente due fronti.
In una conferenza del 16 luglio di valutazione sulla guerra in Libano dell’estate 2006, il generale parlava all’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale e dichiarava che l’IDF sta “preparandosi ad una guerra incondizionata con la Siria, e questo è un importante cambiamento nella premessa operativa dell’esercito”, dopo la batosta umiliante dell’anno scorso per mano degli Hezbollah. Il Generale Ben-Reuven aggiungeva che, allo scoppio della guerra, la Siria verrà danneggiata in modo massiccio nelle sue strutture militari e civili, e per questo l’IDF sta addestrandosi per un’invasione rapida e schiacciante, “per mettere fuori combattimento quelle zone da cui possono essere lanciati missili Siriani…quanto più rapidamente possibile.” Inoltre, “preparandoci ad una guerra totale, dobbiamo tenere conto del terrorismo Palestinese”, e sottolineava le necessità di un possibile attacco contro Hamas a Gaza, combinato allo stesso tempo con quello contro Hezbollah.
Il 18 luglio, Haaretz riportava che l’ONU poteva partecipare al sostegno del programma aggressivo di Israele, comprovando la minaccia della Siria alla sicurezza della regione, e così giustificando la progettata aggressione.
L’Ambasciatore Siriano all’ONU Bashar Ja'afari, in una lettera al Segretario Generale Ban Ki-moon, protestava per il fatto che Israele stesse fabbricando prove per dimostrare che il suo paese, la Siria, presumibilmente inviava di nascosto armi in Libano. Nello specifico, accusava l’inviato del Segretario Generale in Libano e in Siria, Terje Roed-Larsen, che da tanto tempo serviva gli interessi dell’Occidente e di Israele. In una sua precedente relazione, costui faceva proprie le accuse prive di sostanza mosse da Israele, che armi stavano entrando in Libano attraverso la Siria, insinuando che fosse lo stesso governo Siriano ad inviarle.
Inoltre, Ja'afari accusava Israele di violazioni di confine, di missioni di spionaggio illegali con sorvoli dello spazio aereo Libanese, di fotografare consegne di autocarri di tipo commerciale asserendo trattarsi di contrabbando di armi.
Questa informazione rivela come Israele e gli USA stiano mettendo sotto tiro in un colpo solo tutti i loro nemici nella regione, con possibili piani che vanno estendendosi dall’Iraq all’Iran fino alla Siria, e perfino a Hezbollah nel Sud del Libano e a Hamas a Gaza.
È possibile che si configuri il medesimo progetto messo in atto da un padrino della mafia locale per eliminare i suoi nemici e consolidare il suo potere. In questo caso, si tratta di un padrino globale e del suo giovane socio (ma potente ed influente nella regione), che mettono in atto quello che un “don” locale ritiene opportuno fare per prendersi cura degli affari della “famiglia”.
Il risultato finale sarà forse quello di mettere a ferro e fuoco l’intero Medio Oriente, distruggere coloro che Washington non è riuscita per nulla ad influenzare, mettere in pericolo la sicurezza in patria, ed accrescere il rischio di ritorsioni contro gli interessi Statunitensi ed Occidentali in ogni parte del mondo.
Si può pensare ad una situazione peggiore, solo se venisse preso come bersaglio anche il Pakistan. Questo può accadere, con o senza il permesso del Presidente Pervez Musharraf, dato che si sostiene che le aree tribali nel paese sono rifugio per Al-Queda, che si atteggia come minaccia regionale e più estesa.
Il Wall Street Journal riportava: “Gli artefici della politica USA sono sotto pressione per estirpare queste enclavi, e questo potrebbe scatenare una reazione violenta locale, forte abbastanza da far crollare quello (il Presidente Pervez Musharraf) che il Presidente Bush ha definito come il più stretto alleato nella lotta contro al Queda.”
Il New York Times suonava lo stesso tema affermando: “…funzionari Americani si sono incontrati nelle recenti settimane per discutere quello che qualcuno ha definito come…una strategia aggressiva di nuova concezione, che vede coinvolti elementi pubblici e sotto copertura, e molte nuove misure segrete per evitare di creare difficoltà al Generale Musharraf.”
Guardando in avanti
Con 18 mesi ancora di mandato, e la sua presidenza che sta sfasciandosi, George Bush è come un animale stretto all’angolo, così disperato da tentare qualsiasi cosa per sopravvivere. Bush è circondato da un numero, pur al tramonto, ma ancora potente, di sostenitori della linea dura e questo articolo vuole mettere in luce uno scenario per il futuro che crea turbamento, presagio di disgrazie per la nazione e per il mondo, se dovesse configurarsi.
Ne risulta che il progetto dell’amministrazione Bush implica di cambiare i soggetti da sottoporre a minacce allarmistiche, con la successiva messa in scena di uno o più cruciali attacchi terroristici sul territorio nazionale del tipo di quelli dell’11 settembre, quindi lo scatenamento della guerra contro l’Iran con il pretesto fasullo che Tehran minaccia la sicurezza degli USA e di quella regione.
Inoltre, possono essere pianificati attacchi contro le aree tribali del Pakistan, assieme alle mire di Israele contro la Siria, gli Hezbollah, ed Hamas, a sostegno degli USA.
Questi saranno gli inquietanti sviluppi, se dovesse succedere quello che è stato illustrato.
In un tentativo di sopravvivenza, per portare a buon termine il loro mandato, George Bush e Dick Cheney, fermamente decisi a giocare per questo il tutto per tutto, forse potranno raggiungere lo scopo.
Una valutazione della CIA di qualche tempo fa, comunque mette in evidenza parte del problema. Si trattava di una valutazione schietta e densa di preoccupazioni nel sostenere che, quand’anche gli USA attaccassero l’Iran, il Sud dell’Iraq Sciita si sarebbe incendiato esplosivamente e lo scoppio si sarebbe esteso senza controllo a tutta la regione. Inoltre, verosimilmente, anche gli Sciiti dell’Arabia Saudita, che si trovano nella parte del Regno più ricca di petrolio, verrebbero istigati, ma non solo, potrebbe essere coinvolto anche l’intero mondo Musulmano in una ribellione armata contro qualsiasi obiettivo Americano ed Occidentale.
Ora, ci si sta orientando verso questo tipo di “showdown”.
Già, gli Stati Uniti sono uno stato paria, che sta perdendo la sua influenza all’intensificarsi della sua deliberata imprudenza e sconsideratezza. Di fronte ad un mondo ostile, ridurre la sua forza militare potrebbe essere probabilmente il modo per evitare di porsi la domanda, se potrebbe essere di aiuto usare i muscoli od evitare di farlo. Questa è una possibilità per il futuro, ma certamente non per il presente. Nell’immediato, esiste la minaccia di una guerra nucleare, la fine della repubblica, e la perdita della norma Costituzionale. E questo riguarda una nazione che sta consumandosi ed avviandosi alla bancarotta e già, secondo molte valutazioni ed analisi, è impossibilitata a rifondere 80 bilioni o più di dollari in titoli a termine privi di copertura e in altre passività.
Questo è il punto di vista dell’economista Laurence Kotlikoff nella sua valutazione del 2006 per la St. Louis Federal Reserve Bank in un articolo dal titolo “Gli Stati Uniti sono alla bancarotta?”
Tutto ciò non accadrà fintanto che il Presidente della Federal Reserve Bernanke continua a stampare denaro con la stessa sprezzante imprudenza e a ritmo doppio di come aveva fatto Alan Greenspan prima di lui. Costoro e gli altri presidenti della Federal Reserve sono obbligati al medesimo cartello bancario e all’establishment di Wall Street, che possiede e dirige la Federal Reserve per i loro interessi, non per quelli dei cittadini. Il loro schema è simile allo schema di Ponzi,
[ Nota del traduttore: Lo Schema di Ponzi (a volte confuso con lo schema piramidale o marketing multilivello) è un modello economico di vendita truffaldino che promette forti guadagni alle vittime a patto che queste reclutino nuovi "investitori", a loro volta vittime della truffa. Lo Schema di Ponzi permette a chi comincia la catena e ai primi coinvolti di ottenere alti ritorni economici a breve termine, ma richiede continuamente nuove vittime disposte a pagare le quote. I guadagni derivano infatti esclusivamente dalle quote pagate dai nuovi investitori e non da attività produttive o finanziarie. Il sistema è naturalmente destinato a terminare con perdite per la maggior parte dei partecipanti, perché i soldi "investiti" non danno alcuna vera rendita né interesse, essendo semplicemente incamerati dai primi coinvolti nello schema che li useranno inizialmente per rispettare le promesse. Ad un certo punto la diffusione della truffa spesso diventa di tale portata da renderla palese, portando alla sua interruzione da parte delle autorità.
Le caratteristiche tipiche sono:
• Promessa di alti guadagni a breve termine
• Ottenimento dei guadagni da escamotage finanziari o da investimenti di "alta finanza" documentati in modo poco chiaro
• Rivolto ad un pubblico non competente in materia finanziaria
• Legato ad un solo promotore o azienda
Risulta evidente che il rischio di investimento in operazioni che sfruttano questa pratica è molto elevato. Il rischio è crescente al crescere del numero degli iscritti, essendo sempre più difficile trovare nuovi adepti.
In Italia, USA e in molti altri stati, questa pratica è un reato, essendo a tutti gli effetti una truffa.], quello di monetizzare una prosperità ininterrotta, di tirare la corda finché la corda resiste, cosa che non può durare all’infinito, come ci ha ben illustrato l’ex consigliere economico principale di Nixon, Herb Stein. Ma più si va avanti, peggiore sarà il risultato quando si arriverà inevitabilmente alla fine, con le persone, come sempre, pronte a subire una rovinosa caduta.
L’attuale turbolenza economica domestica e la minaccia della strozzatura del credito, (con implicazioni globali), sono il risultato di quello che segue, che è abbastanza grave, ma non ancora disastroso:
-- il crollo immobiliare,
-- la ricaduta da speculazioni con emissione di debito garantito da fondi di copertura non sicuri e, soprattutto, da Wall Street con il rifornimento della Federal Reserve,
-- obbligazioni a garanzia del debito pubblico (CDO) in sofferenza, vincolate a valutazioni di indebolimento delle sub-prime mortgage [Nota del traduttore: Le subprime sono società che concedono mutui anche a quei cittadini con un “credit score” non particolarmente elevato, ossia che non offrono garanzie abbastanza alte per potersi rivolgere a banche e ad istituti di credito tradizionali. Questa la notizia che ha fatto precipitare la borsa di New York nella giornata di ieri, 6 agosto 2007: quattro importanti compagnie di mutui per la casa specializzate in subprime mortgage hanno dichiarato bancarotta, perché i propri clienti non pagavano le rate mensili nei termini previsti. Sono circa il 25% del totale gli Americani che decidono di imbarcarsi in pagamenti sensibilmente più alti rispetto alla norma e che aumentano di mese in mese a causa dei tassi di interesse in continua crescita.
Si é calcolato che due milioni e duecentomila sono gli Americani che rischiano di perdere la casa quest'anno perché non possono più permettersi il mutuo.
E così, in molti cominciano a rinunciare al sogno americano di una casa tutta propria: le case invendute sono il 20% in più rispetto allo scorso anno.]
-- titoli assistiti da ipoteca residenziale (RMBS), prima ben considerati, ora in ribasso,
-- abbattimento dei prestiti “subprime”,
-- la speculazione sul mercato di derivati finanziari per molti bilioni di dollari, che Warren Buffet definisce come “bombe a tempo”e “armi di distruzione di massa finanziarie”,
-- obbligazioni ad alto rischio che producono “rottami”,
-- debolezza del dollaro,
-- inflazione molto più alta di quella dichiarata ed in aumento continuo, a causa di una spesa che dura da anni oltre le proprie possibilità, con un super indebitamento finanziario e con un’imposizione fiscale inadeguata,
-- ed altre potenziali perturbazioni finanziarie a vicino e medio termine, che, se davvero succedessero, certamente coglierebbero di sorpresa.
Finora si tratta di un disturbo di fondo ciclico paragonato al ben più grande disastro del secolo che si fa strada a causa delle bolle speculative immobiliari, del consumo massimo di petrolio, del riscaldamento globale, dei disastri ecologici in intensificazione, delle guerre permanenti nel mondo, e dello sviluppo in tutto il suo splendore della tirannia in patria.
Chi scrive è arrivato alla conclusione, condivisa con altri, nel pensare che l’America al presente si trovi in una catastrofe economica. Comunque, dove l’accordo è molto forte, è che si conosce quello che ci si deve aspettare, ma non si sa quando con precisione; quando capiterà, verosimilmente coglierà di sorpresa, potrà colpire come in un Armageddon, in uno scontro decisivo, e quando colpirà produrrà “la Grande Depressione”, ancora più pesante e più lunga di quella già vista in passato.
Tuttavia, per ora, l’impegno è quello di rimuovere la classe criminale da Washington, restaurare il dominio della legge, salvare la Repubblica, evitare guerre ulteriori, e mettere fine a quelle in corso. Fallire in questo, può significare che qualsiasi cosa accada, non avrà più alcuna importanza. Sarà troppo tardi, molto tempo prima che le cose precipitino. Quelli che si preoccupano per questa situazione e vedono meglio la minaccia, investano altri del problema, per fare in modo che aumenti la protesta, e per agire in tempo, collettivamente, per bloccare tutto ciò! Questo può avvenire solo con un movimento che parte dal basso, mai per altre vie.
Global Research, 23 luglio 2007
Stephen Lendman vive a Chicago e può essere contattato a lendmanstephen@sbcglobal.net .
Inoltre, è possibile visitare il suo blog a www.sjlendman.blogspot.com
Stephen Lendman è collaboratore assiduo di Global Research. Global Research Articles by Stephen Lendman
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di Stephen Lendman - Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova