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La battaglia di Luck

di Francesco Lamendola - 22/08/2007

 

 

  

 

      La battaglia di Łuck si combatté in Volinia e in Bucovina dal giugno all'ottobre del 1916 e fu una delle più grand su tutti i fronti della prima guerra mondiale. Il generale russo Brusilov lanciò un attacco che, secondo i piani iniziali, avrebbe dovuto essere poco più di un'azione dimostrativa, e invece le sue armate penetrarono a fondo "come un coltello nel burro" delle linee austro-ungariche. In pochi giorni si delinearono le dimensioni di una disfatta senza precedenti per l'esercito di Francesco Giuseppe, che vi perse qualcosa come 700.000 uomini, molti dei quali fatti prigionieri senza quasi aver combattuto. Nessuno si era aspettato un attacco in quel settore del fronte orientale, ritenuto particolarmente tranquillo. L'entità del successo colse impreparati gli stessi vincitori: che, difatti, non seppero sfruttare sino in fondo l'occasione favorevole, e consumarono l'estate e parte dell'autunno nel vano tentativo di coronare lo sfondamento con una grande vittoria strategica. Mano a mano che accorrevano i rinforzi tedeschi, le perdite russe si facevano sempre più gravi e, alla fine, lasciarono l'esercito dello zar completamente esausto, ormai maturo per il crollo finale.

I N D I C E

 

 

PARTE PRIMA:  I PIANI E LE FORZE CONTRAPPOSTE, p. 3.

 

1.     IL PIANO RUSSO, p. 3.

 

2.     LE POSIZIONI FORTIFICATE AUSTRIACHE, p. 6.

 

3.     LO SCHIERAMENTO DEGLI ESERCITI, p. 9.

 

 

PARTE SECONDA: L'OFFENSIVA DI BRUSILOV, p. 11.

 

1.     LO SFONDAMENTO DI ŁUCK, p. 11.

 

2.     L'ATTACCO DELLE ARMATE RUSSE UNDICESIMA E SETTIMA, p. 16.

 

3.     LO SFONDAMENTO DI OKNA, p. 17.

 

 

PARTE TERZA: LO SFRUTTAMENTO DEL SUCCESSO, p. 22.

 

1.     L'ALTERNATIVA DELLA STAWKA, p. 22.

 

2.     RITORNO OFFENSIVO AUSTRO-TEDESCO, p 24.

 

3.     RIORGANIZZAZIONE DEI COMANDI AUSTRO-TEDESCHI, p. 27.

 

4.     PROSECUZIONE DELL'OFFENSIVA RUSSA p. 29.

 

 

PARTE QUARTA: STABILIZZAZIONE DEL FRONTE, p. 30.

 

1.     LA BATTAGLIA DI KOWEL, p. 30.

 

2.     L'ESAURIMENTO DELL'OFENSIVA RUSSA, p. 33.

 

3.     CONCLUSIONI, p. 35.

 

BIBLIOGRAFIA, p. 37.

 

NOTE, p. 38

 

PARTE PRIMA

 

I PIANI E LE FORZE CONTRAPPOSTE

 

 

1.     IL PIANO RUSSO.

 

     Al termine del 1915 l'esercito russo sembrava comletamente disorganizzato e in pratica distrutto come efficiente forza di combattimento. Nel marzo del 1916, attaccando vigorosamente e ostinatamente i Tedeschi presso il Lago Narcocz, esso aveva bensì dimostrato di essere nuovamente in grado di compiere uno sforzo offensivo; ma l'operazione era stata intempestiva e mal condotta, sì da rivelare le consuete carenze nell'azione di comando e confermando la potenza ritenuta insormontabile delle moderne armi difensive, il reticolato e la mitragliatrice. Ciò aveva ingannato la maggioranza dei comandanti avversari circa la reale situazione dell'esercito russo e le sue future possibilità d'azione.

     In realtà, da un punto di vista strettamente tecnico l'esercito russo, nella primavera del 1916, era più forte di quanto non lo fosse mai stato fino ad allora. Il materiale da guerra e le scorte di munizioni erano stati reintegrati, nel corso dell'inverno, con il massiccio aiuti degli alleati occidentali, degli Stati Uniti e del Giappone; dal settembre del 1914 l'artiglieria russa, benché poco numerosa, non aveva mai goduto di una tale disponibilità di munizioni. Ciò che avrebbe potuto non essere più come al principio della guerra, invece, era il morale delle truppe, che nell'estate precedente avevano subito una sconfitta disastrosa, compiuto una ritrata interminabile e sperimentato, impotenti, la schiacciante superiorità dei mezzi offensivi austro-tedeschi. Ma se un avvilimento dello spirito combattivo vi era stato, esso nel 1916 riguardava soltanto le truppe schierate di fronte ai Tedeschi; altrettanto non poteva dirsi di quelle contrapposte agli Austro-Ungarici, contro i quali esse, per lo più, avevano avuto la meglio. Infine, i vuoti aperti nelle unità erano stati colmati grazie alle inesauribili riserve umane del paese; e, a rendere la situazione russa ancora più favorevole, era sopravvenuto l'incauto indebolimento del fronte austriaco, voluto da Conrad per imbastire con larghezza di mezzi la Strafe Expedition (Spedizione punitiva) nel Trentino, contro gli Italiani.

 

     Il concetto iniziale dell'offensiva progettata dalla Stawka (il Comando Supremo russo) era quello di un attacco principale sul fronte Ovest, in direzione di Vilna, sostenuto sulla destra dalle armate del fronte Nord; il fronte Sud-Ovest - quello, appunto, fronteggiante gli Austriaci - avrebbe dovuto mantenersi sulla difensiva. In tal senso si era pronunciato il generalissimo Alexeiev, nel consiglio di guerra riunito dallo stesso zar Nicola II. All'uopo, tutte le artiglierie pesanti della riserva avrebbero dovuto essere trasferite nel settore del generale Evert, comandante del fronte Ovest. In quella circostanza, però, sia Evert sia Kuroptakin (comandante del Gruppo d'Armate del fronte Nord) avevano espresso forti riserve su tale progetto, motivando il loro atteggiamento negativo con la scarsità di munizionamento per l'artiglieria pesante.

    Al contrario, il generale Brusilov - nuovo comandante del fronte Sud-Ovest - aveva egli solo manifestato volontà offensiva e fiducia nelle risorse e nelle possibilità dell'esercito russo, riuscendo a influenzare in tal senso il consiglio. I piani originari erano stati dunque mutati e, pur lasciando al Gruppo d'Armate del generale Evert il compito principale dell'operazione, si era stabilito che essa sarebbe stata preceduta da un attacco diversivo del Gruppo di Armate del Sud-Ovest, sull'ala sinistra dello schieramento russo. Stabilito ciò, Brusilov aveva convocato i suoi quattro comandanti di armata: Kaledin, Sakharov, Čerbačev e Krylov, comunicando loro la sua intenzione d'intraprendere l'offensiva entro il mese di maggio, quando - terminato il disgelo primaverile - le strade sarebbero state perfettamente agibili. Naturalmente, il compito principale sarebbe toccato all'Ottava Armata del generale Kaledin, essendo questa l'unità di ala destra dell Gruppo d'Armate del Sud-Ovest, dunque in contatto conl'ala sinistra dello schieramento di Evert.

     Per quanto la sua avrebbe dovuto essere soltanto una offensiva dimostrativa, Brusilov ne curò i particolari con una vastità di vedute e una profondità d'intuizione strategica che rivelano una decisione d'impegno assai superiore ai dichiarati compiti di carattere limitato. Davanti alle sue divisioni, l'avversario era attestato su solide posizioni sistemate a difesa; e il terreno, intersecato da numerosi grandi fiumi con corso meridiano e tra loro parallelo, non sembrava offrire condizioni particolarmente favorevoli a una vasta operazione offensiva. Gli Austriaci, se avevano indebolito alquanto il loro schieramento - sottraendovi gran parte dell'artiglieria pesante e alcune unità tra le più fidate -, avevano in compenso approntato, nel corso dei mesi invernali, un gigantesco e meraviglioso dispositivo di difesa, ricalcante le caratteristiche di quelli che, nella guerra di trincea sul fronte occidentale, avevano costantemente dimostrato la terribile potenza difensiva di fortificazioni similari. Voler attaccare in tali condizioni, senza disporre né di una netta superiorità numerica, né di un'artiglieria sufficientemente numerosa per una simile operazione, per di più con truppe inattive da parecchi mesi e, forse, irrimediabilmente sfiduciate, poteva sembrare un azzardo insensato, destinato a venire sanguinosamente stroncato davanti ai reticolati nemici dal tiro dei cannoni e dal fuoco delle mitragliatrici.

     Questi dovettero essere i timori che, all'ultimo momento, sopraffecero il generale Alexeiev, dopo che l'inizio travolgente della Strafe Expedition sull'Altipiano dei Sette Comuni aveva reso improrogabile una pronta e robusta offensiva "di alleggerimento" in favore dell'Italia. Perciò, visto che era assolutamente inevitabile muoversi, egli avrebbe voluto almeno farlo con le minori forze possibili; e pensò di concentrare tutti i mezzi destinati all'offensiva del fronte Sud-Ovest nel solo settore dell'Ottava Armata, la quale soltanto avrebbe preso l'offensia. Ancora una volta, tuttavia, la ferrea volontà del generale Brusilov - che giunse ad offrire le proprie dimissioni alla Stawka - ebbe ragione di ogni titubanza. Egli concordava circa il ruolo prioritario che sarebbe stato affidato all'Ottava Armata; ma pensava che mantenere inattive le altre armate avrebbe significato esporsi a un grave rovescio, consentendo all'avversario di concentrare contro di essa, indisturbato, il meglio dei propri mezzi. Davanti a tale argomentazione, in realtà abbastanza logica, Alexeiev finì per cedere, e venne confermato il piano iniziale che prevedeva una offensiva generale dell'intero Gruppo d'Armate Sud-Ovest, anticipandone l'inizio alla data del 4 giugno.

 

     Il concetto fondamentale dell'offensiva di Brusilov era al tempo stesso semplice e geniale. Su due elementi  egli basò i propri piani, rivelando perspicacia e abilità: il morale delle proprie truppe e l'originalità del metodo d'attacco. Sul primo punto i meriti di Brusilov sono incontestabili. Nei primi mesi del 1916 egli fu infatti uno dei pochi, anzi dei pochissimi, in Russia, ad essere convinto che i rovesci precedentemente patiti e la grande ritirata del 1915 - in seguito allo sfondamento di Tarnów-Gorlice - non avevano distrutto il morale del soldato russo, e che questo non soffriva (per lo meno nei confronti degli Austriaci) di alcun complesso di inferirorità.  Quanto al secondo punto, la strategia di Brusilov fu straordinariamente indovinata:, pur essendo al tempo stesso elementare. È lecito domandarsi se lo stesso comandante russo avesse previsto, alla vigilia dell'offensiva, l'enorme portata del successo nella prima fase di essa; ma è fuor di dubbio che egli ebbe, fin dal principio, una percezione del valore dell'avversario infinitamente più acuta degli stessi comandanti austriaci. Esistono pochi altri esempi, nella storia militare, di una simile, sbalorditiva intuizione del probabile crollo, da tutti o quasi insospettato, delle difese avversarie sotto il primo urto dell'offensiva. Il morale del soldato russo, nel giugno 1916, era quello del vincitore; e i piani di Brusilov erano quelli di un capo incrollabilmente fiducioso nella vittoria.

 

     Egli partiva dal giusto concetto che premessa indispensabile al successo fosse impedire all'avversario di localizzare subito la direzione dell'attacco principale e sventare così la sua capacità di inviare rinforzi nei settori più minacciati nelle primissime fasi dell'attacco. Per vanificare quest'ultima possibilità egli volle che vi fosse anzitutto una lunghissima, tremenda preparazione di artiglieria su tutto l'arco del fronte, per aprire i varchi nei reticolati nemici, stroncare sul nascere la reazione della contropreparazione d'artiglieria, e logorare il morale degli Austriaci, mantenendoli a lungo nell'incertezza circa il vero settore dell'attacco. Poi la fanteria avrebbe dovuto semplicemente uscire dalle trincee e avanzare, come per una ricognizione su vastissima scala. Però, al fine di scardinare tutto il dispositivo difensivo dell'avversario, l'attacco non avrebbe dovuto assumere l'aspetto di un'avanzata contemporanea su vari tratti del fronte, né quello mediocremente "classico", e quindi prevedibile, di  una manovra in due tempi: prima la finta, indi il movimento principale in un'altra direzione, dopo averne distolto le riserve avversarie. Vi sarebbe stata, invece, una serie di colpi successivi, inattesi, in differenti direzioni, in modo da paralizzare  qualsiasi efficace contromisura da parte degli Austriaci. Essi non avrebbero potuto spostare tempestivamente le riserve né le truppe dei settori tranquilli, per il semplice fatto che non si sarebbero stati settori tranquilli.

     Il 4 giugno avrebbero preso l'offensiva l'Undicesima e la Nona Armata, in settori non contigui e, quindi,  in direzioni differenti; il 5 si sarebbe mossa l'Ottava, incaricata dello sforzo principale, e il 6 la Settima Armata, che non era a contatto con l'Ottava.  Un piano geniale, suscettibile di disorientare qualsiasi avversario, specie se legato a consunti schemi di strategia tradizionale e cullato nell'illusione che l'esercito russo non fosse più in grado, dopo la grande ritirata dalla Polonia, di costituire una vera minaccia per il futuro.

 

 

2.     LE POSIZIONI FORTIFICATE AUSTRIACHE.

 

     Dal settembre del 1915, nel corso di ben nove mesi, gli Austro-Ungarici avevano alacremente lavorato per organizzare e fortificare  potentemente le loro posizioni sul fronte russo. I lavori erano stati imponenti e il risultato mirabile: le posizioni austriache nel giugno 1916 erano munitissime e apparentemente imprendibili. Esse erano formate da tre linee successive di difesa, ognuna delle quali contava almeno tre ordini di trincee. Queste ultime erano profonde, collegate fra loro da camminamenti interrati; il loro potenziale difensivo era aumentato  da numerosi ricoveri in cemento, da solidi nidi di mitragliatrici e da osservatori per la direzione del tiro dell'artiglieria. Davanti alle trincee erano state distese molte linee di reticolati, per lo più una ventina, e alcuni tratti di terreno erano stati minati.  I capolinea delle numerose decauville o ferrovie a scartamento ridotto erano stati portati in posizione molto avanzata,  per garantire un pronto ed efficace impiego dell'artiglieria pesante. Cardine della strategia difensiva austriaca, in caso di un attacco russo - giudicato, del resto, molto improbabile - era infatti l'intervento del tiro di sbarramento obliquo, che avrebbe dovuto stroncare qualsisasi avanzata delle fanterie nemiche nel tratto scoperto antistante i reticolati.

 

     Alcuni particolari rivelano la fiducia illimitata riposta dagli Austriaci nelle proprie fortificazioni. I ricoveri di seconda linea comprendevano bagni e cinematografi; il terreno intorno alle batterie era stato coltivato ad orto e financo a giardino; nelle camere degli ufficiali vi era ogni genere di comodità, compresi quadri, tavolini e pianoforti.  Tutta questa fiducia, si direbbe quasi questo abbandono, sembra però spiegare solo in parte le proporzioni di quella che sarà una vera e propria débâcle. Sarebbe inesatto, infatti, sostenere che l'attacco russo colse gli Austriaci totalmente ignari e impreparati;  al contrario, molti segni avevano ammonito inequivocabilmente i comandanti austriaci che l'avversario stava preparando un'offensiva di ampie dimensioni.

    Tuttavia l'errore primo, a livello strategico generale, fu commesso dal Comando Supremo austriaco allorché esso, al termine della campagna vittoriosa di Tarnów-Gorlice e della gigantesca ritirata imposta all'avversario, ritenne l'esercito russo posto di fatto fuori combattimento per un periodo di tempo esagerato.  Dopo la battaglia di Tarnopol del 6-19 settembre 1915, che aveva segnato l'arresto definitivo dell'avanzata austro-tedesca in Galizia orientale, il fronte russo, che fino a quel momento era stato - e giustamente - l'ossessione dei comandanti austriaci, passò a rivestire un'importanza secondaria a vantaggio di quello serbo nell'autunno 1915, poi di quello italiano.

    Conrad, in particolare, dopo l'offensiva in Trentino e sull'Altipiano dei Sette Comuni contro l'odiato "nenico ereditario" italiano,  sottrasse al fronte russo le migliori divisioni, composte da truppe di nazionalità tedesca e magiara, e buona parte dell'artiglieria pesante, che costituì poi, effettivamente, una grossa sorpresa strategica per l'esercito italiano, ma che sarebbe mancata contro i Russi nel momento decisivo della loro offensiva. Tutte le divisioni rese disponibili dopo la sconfitta e l'occupazione della Serbia e del Montenegro, tra la fine del 1915 e l'inizio del 1916 erano state inviate anch'esse contro l'Italia; altre 5 divisioni erano state ritirate dal fronte russo.

     Difficilmente il Comando Supremo austro-ungarico poteva ignorare l'intensa opera di riorganizzazione dell'esecito rsso. L'offensiva presso il Lago Narocz, poi - quando la Strafe Expedition non era che allo stato di progetto - avrebbe dovuto suonare per le Potenze Centrali come un minaccioso campanello d'allarme. Eppure Conrad era sempre convinto di poter fronteggiare con successo qualsiasi attacco dell'esercito russo, anzi aveva dichiarato al suo collega tedesco Falkenhayn che "un attacco russo in Galizia non avrebbe avuto alcuna prospettiva  di successo, se non da quattro a sei settimane dal momento in cui avremmo saputo che stava per essere lanciato. Questo periodo era il minimo necessario per il concentramento delle forze russe…" (1)

 

     Pure, da un punto di vista strettamente tecnico Conrad non sembrava avere tutti i torti, se guardava con tanta fiducia all'avvenire sul fronte orientale. Le posizioni austriache erano poderosamente fortificate, l'artiglieria era pur sempre efficiente, e anche numericamente i Russi non avevano un vantaggio schiacciante, anzi non parevano avere in alcun modo un vantaggio sufficiente per tentare una grande operazione di attacco frontale contro posizioni sistemate a difesa. Un anno di vittoriosa resistenza sul Carso e sull'Isonzo contro  un avversario - l'esercito italiano - più numeroso  e meglio equipaggiato, aveva rafforzato grandemente la fiducia austriaca nell'efficacia di una strategia puramente difensiva; e la battaglia di Verdum sul fronte occidentale, iniziata nel febbraio 1916, sembrava esserne una piena conferma.

     Conrad, del resto, era nel complesso un classico stratega tradizionale, capace - sì - di concepire mosse inaspettate dall'avversario - come appunto il trasferimento dell'artiglieria pesante nel difficilissimo terreno dell'Altopiano dei Sette Comuni, dove gli Italiani non avrebbero creduto possibile un concentramento di forze tali da consentire una grande offensiva -, ma non piani strategici rivoluzionari. Josef Redlich, che lo conobbe e lo osservò da vicino come corrispondente di guerre, ha tracciato del Conrad come stratega un ritratto particolarmente acuto: " A lui manca ogni elemento demonico, è soltanto profondamente tecnico. Nella politica non vede altro che le forze misurabili e soppesabili, corpi d'armata, cannoni, fortezze, ecc.  opinione pubblica, ideale di popolo, tutti i problemi immateriali della politica moderna gli sono ignoti." (2)

      È un giudizio, peraltro, che si può considerare valido per  tutto l'ambiente degli alti comandi austriaci, che conferma le origini psicologiche e culturali della fiducia di Conrad alla vigiliadell'offensiva Brusilov, ed è molto ineressante perché risale a molto prima di quella data, cioè al settembre del 1914. Egli non riteneva probabile, nel giugno 1916, un attacco nemico sul fronte orientale e, anche quando ne fu informato dagli evidenti preparativi russi, lo attese con fiducia.

    Sulla carta, tutte le circostanze parevano sfavorevoli a un'offensiva contro le munitissime posizioni austriache. Egli non vide o non volle vedere che se l'esercito austriaco schierato in Volinia era, sì, ancora numeroso nonostante i reparti prelevati per l'offensiva contro l'Italia, gran parte delle unità che lo costituivano erano però poco affidabili dal punto di vista politico. Si trattava di reggimenti e divisioni di nazionalità slava che non potevano certo dirsi animati da un alto spirito combattivo, almeno nei confronti del nemico russo (altro discorso per il nemico italiano, "sentito" come potenziale usurpatore della Dalmazia e di altri territori abitati prevalentemente da Croati e Sloveni). La ritirata di Galizia nel settembre 1914 e, soprattutto, l'andamento della battaglia dei Carpazi nei primi quattro mesi del 1915, avrebbero dovuto ammonire Conrad a non fare soverchio affidamento su tali elementi, neppure per compiti strettamente difensivi. A maggior ragione egli avrebbe dovuto lasciarsi consigliare dalla prudenza, avendo di fronte un avversario che, tramite il panslavismo,  era capace di un grande potere di attrazione politica nei confronti delle nazionalità slave della Duplice Monarchia.

     Scrive a questo proposito Martin Gilbert, uno dei maggiori storici inglesi della prima guerra mondiale: "Sul fronte austriaco le truppe russe penetrarono per breve tempo nella Slesia austriaca e per la seconda volta in Ungheria. Il generale Conrad, consapevole che le minoranze etniche dell'impero intendevano approfittare della debolezza dell'Austria, propose il 26 novembre [1914] di imporre la legge marziale in Boemia, Moravia e Slesia. La proposta fu tuttavia respinta da Francesco Giuseppe, il quale era convinto che la guerra non avrebbe sconvolto il suo impero multietnico. Ma ogni volta che concepiva un piano militare, Conrad era costretto a tenere in conto  che non sempre le unità slave - fossero esse costituite da Polacchi, Cechi, Slovacchi, Sloveni o Croati - si sarebbero impegnate a fondo nel combattere contro i Russi." (3) Evidentemente Conrad, nella primavera del 1916, non aveva molte alternative: se voleva lanciare un'offensiva decisiva contro l'Italia, com'era nei suoi piani, doveva indebolire il fronte orientale e giocare d'azzardo con l'affidabilità delle truppe slave colà dislocate.

 

     Per quanto riguarda il campo della strategia pura, nemmeno qui sembra che Conrad abbia saputo far tesoro di quelle lezioni che pure gli avevano consentito di riportare, in passato, significativi vantaggi iniziali. La più importante di esse riguardava la sorpresa strategica, e cioè la capacità di sorprendere l'avversario in un momento, in un luogo e in circostanze tali da poterlo colpire del tutto inaspettatamente.  Il generale Cadorna, per esempio, aveva ritenuto "assurda"  una grande offensiva austriaca sui monti del Trentino, se non altro per la mancanza di vie di comunicazione adeguate al concentramento delle truppe e dei materiali; ed era stato sorpreso e - almeno in una prima fase - battuto. Allo stesso modo, Conrad considerava "assurda" l'ipotesi di una offensiva russa in Volinia, e venne a sua volta sorpresoe battuto; ma con conseguenze assai più funeste di quelle che dovette affrontare l'esercito italiano.

 

 

3.     LO SCHIERAMENTO DEGLI ESERCITI.

 

     Secondo il generale Danilov, nel giugno del 1916 sull'intera estensione del fronte russo, dal mar Baltico alla Romania (ancora neutrale, ma per poco) vi erano 55 corpi d'armata e 1/2, dei quali 13 (Dodicesima, Quinta e Prima Armata) fra il Golfo di Riga e Vidzy, formavano il fronte Nord; da Vidzy a Pińsk altri 23 corpi (Seconda, Decima,  Quarta e Terza Armata) costituivano il fronte Ovest;  e infine da Pińsk alla frontiera romena 19 corpi e 1/2  (Ottava, Undicesima, Settima e Nona Armata) presidiavano il fronte Sud-Ovest. (4)

    Quattro armate, dunque, costituivano il gruppo d'esercito del fronte Sud-Ovest, al comando del generale Brusilov. Nel maggio 1916 tale fronte correva, con andamento pressoché meridiano, fra il Pripjat' e la frontiera romena, passando in prossimità di Pińsk, Rafalówka, Dubno, Tarnopol, e appoggiandosi al Pruth non lungi da Czernowitz (in romeno: Cernăuti), capitale della Bucovina austriaca.

     L'ala destra del fronte Sud-Ovest era tenuta dall'Ottava Armata del generale Kaledin, schierata da Rafalówka sullo Styr a Kremenets, e forte di 11 divisioni di fanteria e 4 di cavalleria; inoltre disponeva di un Corpo di riserva per lo sfruttamento in profondità. Più a sud, fra Kremenets e Tarnopol, su di un'estensione molto più breve era schierata l'Undicesima Armata del generale Sakharov, forte di 8 divisioni di fanteria e 1 di cavalleria. Da Tarnopol a Potok vi era la Settima Armata (Čerbačev), con 7 divisioni di fanteria e 3 e 1/2 di cavalleria; e infine da Potok al confine con la Romania era schierata la Nona Armata (Lečitzkij), con 10 divisioni di fanteria e 3 di cavalleria.

    Da parte austro-ungarica, soltanto il fronte da Brody alla Romania era sottoposto direttamente al Comando Supremo dell'arciduca Federico; a nord di Brody, la Quarta Armata  austriaca dipendeva dal generale tedesco von Linsingen, del cui gruppo d'esercito faceva parte.  La Quarta Armata dell'arciduca Giuseppe Ferdinando e il Gruppo d'Armate del generale Böhm-Ermolli fronteggiavano i sette corpi del generale Kaledin. La Quarta Armata era composta da 10 divisioni di fanteria e 1/2 e da 1 divisione di cavalleria. Il Gruppo d'Armate Böhm-Ermolli  (Prima e Seconda Armata) comprendeva 8 divisioni di fanteria e 2 di cavalleria. Di fronte alla Settima Armata russa stava l'Armata tedesca del Sud, al comando del generale tedesco von Bothmer, che in realtà era composta da ben 9 divisioni di fanteria austro-ungariche e 1 sola divisione germanica, più 2 divisioni di cavalleria. Infine l'estrema ala destra austriaca, sino alla frontiera romena, era tenuta dalla Settima Armata austro-ungarica del generale Pflanzer-Baltin, che comprendeva  8 divisioni e 1/2 di fanrteria  e 4 di cavalleria.

     Complessivamente, 38 divisioni divisioni di fanteria russe e 12 di cavalleria facevano fronte a 37 divisioni di fanteria e 9 di cavalleria degli Austro-Ungarici, comprese le forze tedesche a sud di Rafalówka. (5)

     Secondo il generale Andolenko, erano 39 divisioni russe contro 38 divisioni austro-tedesche (questo autore non fornisce i dati relativi alle rispettive forze di cavalleria). (6) Secondo il generale Klembovskij, i Russi disponevano di 512.000 uomini  e gli Austro-tedeschi di 441.000.

     Bisogna comunque tener presente che, se da un lato le divisioni russe  erano più grandi di quelle austriache (e quindi la superiorità numerica dei Russi era, se pure non decisiva, tuttavia superiore  a quanto farebbe pensare il confronto del numero delle divisioni), dall'altro la scarsità di armi da parte russa era tale che alcuni battaglioni venivano inviati al fronte disarmati. Per esempio, la 4.a Divisione tiragliatori  del generale Denikin aveva i reggimenti di fanteria su 4 battaglioni di 1.000 uomini ciascuno, di cui i primi 3 erano armati di fucile e il quarto, per usare le parole dell'addetto militare italiano M. Marsengo, "non è armato che di eroismo e di bastoni e utilizza i fucili dei soldati morti e feriti". (7)

 

     Il rapporto tra le forze di artiglieria era decisamente favorevole agli Austriaci (secondo l'Andolenko, 2.600 pezzi contro 1.700); e, oltre a ciò, il notevole potenziale difensivo delle loro fortificazioni costituiva un altro grave elemento di svantaggio per i Russi. Tutto ciò ha indotto il generale Andolenko a sostenere che "alla luce dei documenti dell'epoca appare che tutti i fattori sono sfavorevoli ai Russi. […] Se, malgrado tutto, essi ne escono alla fine vittoriosi è per merito del loro morale, fattore imponderabile che rovescia sui campi di battaglia tutti i calcoli e tutte le previsioni più ragionevoli; esso è più solido di quello dei loro nemici." (8) Giudizio che adombra una parte della verità e non è possibile accettare interamente, pur restando vero che il più solido morale delle truppe russe ebbe un peso decisivo nel determinare l'esito della battaglia.

     Infatti, più interessante del raffronto tra le forze complessive delle varie armate è quello delle forze impiegate nei singoli settori ove effettivamenrte si pronunciò l'attacco russo. E si dovrà allora constatare che dappertutto i Russi disponevano di una concentrazione locale di uomini e mezzi notevolssima, che assicurava loro una preponderanza schiacciante. L'Ottava Armata di Kaledin, che doveva sferrare l'attacco su Rowno e Łuck con 4 Corpi d'Armata (XXX, XXXIX, XL, VIII, più il XXXII dell'Undicesima Armata) poteva mettere insieme 148 battaglioni contro 53 presunti degli Austriaci. L'Undicesima Armata di Sakharov, che doveva attaccare  su Tarnopol con un solo corpo d'armata, disponeva di 32 battaglioni contro 15 presunti. La Settima Armata di Čerbačev, che doveva irrompere con 1 corpo d'armata e 1/2 sul basso Strypa, disponeva di 32 battaglioni e 107 pezzi contro 5 battaglioni e 23 pezzi presunti. Infine la Nona Armata di Lečitzkij, che con 2 corpi d'armata doveva tentare lo sfondamento tra Mitkeu e Dobronoutz, si calcolava che avesse 54.000 fucili e 7.000 sciabole più della Settima Armata austro-ungarica che la fronteggiava, sebbene non vi fosse una grande differenza nel numero di divisioni delle due grandi unità contrapposte. (9)

 

    Per quanto riguarda il fattore morale, non sarà inutile riportare quanto ha scritto il Nowak (pur tenendo presente che è un apologeta di Conrad) sull'arciduca Giuseppe Ferdinando, comandante della Quarta Armata austriaca. "Egli dimenticò affatto che guerra e morte non sono organizzazioni di divertimento; cominciò ad annoiarsi e cercò di vincere la noia con serate musicali che a poco a poco si mutarono in piccole orgie. Voleva essere popolare fra le truppe, e vide con piacere rappresentare le gaiezze viennesi nelle trincee della gaia Quarta Armata.  Giuseppe Ferdinando fraternizzava con ogni tenente, e insieme bevendo e cantando criticavano l'opera e dicevan roba da chiodi dei generali.  Prima degli altri, vittima dei loro frizzi era il Conrad. […] Era e divenne sempre più il comando della spensieratezza.  Quando Giuseppe Ferdinando era stanco di banchetti e d'amici, usciva a caccia…" (10). Occorre tenere ben presente tutto ciò, per comprendere la subitanea potenza dello sfondamento russo che si sarebbe prodotto di lì a poco.

 

 

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PARTE SECONDA

 

L'OFFENSIVA  DI  BRUSILOV

 

 

1.     LO SFONDAMENTO DI ŁUCK.

 

     Il 25 maggio Brusilov emanò l'ordine definitivo per l'attacco. Il comandante dell'Ottava Armata russa, generale Kaledin, avrebbe dovuto esercitare il massimo sforzo sulla direttrice Rowno-Łuck, attraverso il villaggio di Olyka, prendendo l'offensiva dalla linea  Dubiszcze-Koryto.

    Alle ore 3 antimeridiane del 4 giugno iniziò un bombardamento infernale da parte delle 124 batterie dell'Ottava Armata contro le posizioni austriache: esso durò non poche ore soltanto, come era stata fino allora l'abitudine dei Russi,  ma per ben 48 ore ininterrottamente. Benché non disponessero di molte batterie pesanti, i Russi ottennero ugualmente risultati notevoli con l'impiego a massa  del loro eccellente pezzo da campagna da 76 mm. Scrive il Marsengo, che seguiva personalmente lo svolgimento dell'offensiva sin dalle prime ore: "Il primo colpo di cannone riga il cielo ancora nero e minaccioso. […] il proiettile, compiuta la sua lunga traiettoria,  è caduto ed è scoppiato al punto giusto. Una telefonata avverte che il segno è stato colto. Di lontano, come ovattata, giunge la sorda eco della cannonata di risposta: gli Austro-Ungarici devono essersi svegliati male. Il loro tiro è fiacco e non aumenta con l'aumentare del giorno." (11)

     Per tutto il giorno gli Austriaci rimasero sotto una terribile pioggia di granate aspettando da un momento all'altro l'attacco, che non arrivava mai; non è vero però, comne si disse in seguito, che le perdite fin dal primo momento furono gravi.  Il tiro di preparazione distrusse i reticolati (cosa tanto più necessaria, in quanto erano spesso  resistenti alle pinze tagliafili), spianò tratti di trincea e interruppe i collegamenti, ma grazie alla solidità dei ricoveri, le perdite non furono alte; notevole, invece, la tensone nervosa. La potenza di fuoco dell'artiglieria russa fu, per i difensori, una sgradita sopresa. Il colonnello russo Haruk ne ha esposto dettagliatamente le modalità d'impiego. "La preparazione d'artiglieria fu eseguita su un fronte molto ampio, quello di quattro armate contemporaneamente.  Così il nemico non poteva individuare la direzione dello sforzo principale, affidato all'Ottava Armata. […] Lo schieramento dell'artiglieria era stato spinto il più possibile vicino al nemico. Tutte le unità di artiglieria partecipavano all'individuazione degli obiettivi. Le resistenze individuate venivano riportate sulla carta e distribuite quindi a tutti i comandanti di compagnia e di batteria.I compiti erano ripartiti con precisone e il problema della cooperazione era risolto sul terreno e realizzato durante lo svolgimento della battaglia grazie alla sovrapposizione degli osservatori. Gli uffciali di collegamento dell'artiglieria avanzavano con le unità di testa. L'attacco era preceduto da una cortina di fuoco mobile ed inquadrato da cortine di protezione." (12)

    

    Il Comando della Quarta Armata austro-ungarica prese i primi provvedimenti ma, mancando uno scaglionamento in profondità, era impossibile allestire una fresca massa di manovra nelle retrovie per per sferrare eventuali contrattacchi. La sorpresa dei comandi e l'inadeguatezza delle prime contromisure adottate dagli Austriaci sono rispecchiate in un aneddoto, che subito corse tra le truppe russe. "L'Arciduca della sconfitta", come veniva da esse ironicamente chiamato Giuseppe Ferdinando a causa dei ripetuti insuccessi subiti, stava festeggiando al quartier generale di Łuck il suo giorno onomastico. "Altezza - vennero trafelate le staffette a riferirgli nella notte - i Russi hanno iniziato un bombardamento furioso delle nostre posizioni!". "Non ve ne preoccupate; fanno sempre così; sparano per un poco e poi smettono", fu la tranquilla risposta. Ma poche ore dopo egli doveva sgomberare in tutta fretta il proprio Quartier Generale, ormai minacciato. (13)

     Renzo Larco, che nel 1916 riferiva "a caldo" questo aneddoto, ha tracciato un vivo quadro, forse non sempre scrupolosamente realistico, di quelle ore decisive. "[…] gli Austriaci superstiti dovettero restare forzatamente chiusi  nella gabbia della prima linea, che si tramutò in tomba. Degli esploratori si spinsero, infatti, più tardi, fino alle trincee nemiche e riferirono che non vi restavano più che morti e feriti agonizzanti. Tuttavia il Comando ordinò di non passare all'offensiva in quel giorno stesso, per continuare e completare la preparazione col fuoco dell'artiglieria anche sulla seconda linea. […] Alle ore 4 del 5 giugno i cannoni ripresero il fragoroso concerto - che durò cinque ore. […]  Alle otto e tre quarti viene trasmesso l'ordine: "Iniziare il fuoco accelerato!". Ed ecco arriva anche l'ordine del generale in capo: "Alle nove precise passare all'assalto." Balza un "hurrà" formidabile. L'artiglieria porta subitamente il fuoco sulla seconda e terza linea  di trincee e le fanterie avanzano sotto l'arco rovente di quella rombante gettata di proiettili. Un minuto; due; tre; quattro… La prima linea di trincee è superata, la seconda poco ne dista ed è superata… Trascorrono altri cinque  minuti eterni. Ecco arriva l'annuncio: "Anche la terza linea è accostata, dominata, occupata, oltrepassata." (14)

 

     Il tiro di sbarramento obliquo, sul quale posava tutta la sicurezza austriaca di poter stroncare qualunque attacco dei Russi, non  potè dispiegare efficacemente la sua azione perché le truppe di Brusilov avevano gradualmente portato avanti le loro trincee, sì da arrivare quasi a contatto dei reticolati. Alcuni comandanti austriaci se n'erano avveduti e si erano resi conto che il tratto scoperto, che le fanterie avrebbero dovuto attraversare, risultava così troppo breve perché il tiro obliquo della contropreparazione d'artiglieria potesse impedirne l'avanzata; ma non si era provveduto, anzi molte batterie erano state lasciate in posizione alquanto avanzata.

 

     Attacchi notturni contro il X Corpo austriaco  presso Olyka-Dubyszcze  erano stati respinti; ma quando, il mattino del 5, venne lanciato l'attacco generale, nel complesso non vi fu che una resistenza sporadica.  La polvere sollevata dal bombardamento, e trasportata dal vento contro le trincee austriache, causò delle infiltrazioni di sabbia negli otturatori dei fucili e delle mitragliatrici, di modo che la fanteria russa potè entrare nelle trincee austriache quasi senza lotta. La 2.a Divisione del X Corpo austriaco non fece neppure in tempo a guarnire le trincee,che già i Russi le avevano occupate; vano risultò un contrattacco lanciato dalla 13.a Divisione Schützen, perché il suo Comando era stato disperso dal fuoco d'artiglieria.  Diverse batterie di prima linea caddero nelle mani dei Russi, altre vennero fatte arretrare precipitosamente; i  difensori, presi prigionieri e quasi impazziti per gli effetti del bombardamento venivano avviati verso le retrovie russe.