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La sala dei desideri

di Miguel Martinez - 23/08/2007

 

C'è un locale, al quartiere Esquilino di Roma.

Fino a poco tempo fa, quel locale era una discoteca. Un incubo, presumo, per i vicini: se sopravvivi al rumore, ti trovi un diciottenne strafatto di ecstasy e alcol pronto a usarti come pista da Formula Uno per la sua nuova para-Ferrari.

Adesso, quel locale è stato acquistato da un'associazione, con l'intenzione di farne una piccola sala di preghiera per la comunità del Bangladesh, assai numerosa da quelle parti.

Ora, avere vicino casa una sala di preghiera islamica è una fortuna eccezionale.

Non è aperta di notte.

La sostanza più pesante che gira da quelle parti è il tè alla menta.

Quelli che la frequentano non molestano le passanti e non schiamazzano.

Non c'è nemmeno la puzza di un ristorante.

I frequentatori, poi, non hanno i SUV che ti ostruiscono il passaggio quando esci di casa.

Ecco, io una sala di preghiera sotto casa l'avrei sempre desiderata.

Se la gente non la vuole, non è per paura dei "magnaccia albanesi", dei "marocchini che ti spacciano la droga", dei "viados brasiliani mezzi nudi", della "zingara che ti borseggia" e tutti gli altri incubi metropolitani più o meno comprensibili, perché legati comunque a esperienze vissute.

L'interazione con un bengalese da moschea è molto diversa. Nove di sera, "ci siamo dimenticati il riso!" E giù al negozio del bengalese che è sempre aperto, sorriso, pagare, buonasera.

L'islamofobia si distingue dalla xenofobia generale, perché non nasce da alcuna esperienza concreta. Anche se il nostro vicino di casa bengalese passa la notte (fonda, visto l'orario di apertura del suo negozio) ad ascoltarsi i discorsi di Usāmah bin Muhammad bin `Awad bin Lādin, non lo fa certamente ad alto volume; e anche se lo facesse, non capiremmo nulla di ciò che il Maestro delle Caverne dice.

L'islamofobia (a differenza della ziganofobia, la paura degli zingari legata a cose molto umane) nasce interamente dai media.

Che ogni giorno dell'anno, ci presentano il marito che in Mauretania ha picchiato la moglie, l'imam nelle Filippine che ha detto che le turiste italiane sono tutte puttane, il tipo in Nigeria che ha fatto a botte con il vicino cristiano...

Viviamo in tempi in cui si esalta il culto della Libertà e della Proprietà, che in questo caso consiste nel cercare qualunque ostacolo giuridico per impedire ai bengalesi di fare ciò che vogliono della loro proprietà privata.

Infatti, il Comune (di sinistra) è riuscito a bloccare la sala di preghiera, perché non avevano esposto all'esterno un cartello di inizio lavori per la ristrutturazione. Proprio come il ristorante sotto casa mia, con la differenza che il Comune (di sinistra) in quel caso, non ha bloccato proprio niente.

Capiamoci, non è che la saletta doveva diventare più sicura di quanto fosse prima: per passare da un locale in cui orde di gente si scatena per ore al massimo dell'agitazione fisica con rischio di collasso cardiaco, a uno in cui gente molto tranquilla si siede su dei tappeti per qualche minuto,non è che ci vogliano chissà che lavori.

Comunque, il Comune (di sinistra) ha subito espresso tutta la sua ipocrisia, dicendo che aveva bloccato la saletta per puri motivi "amministrativi".

Souad Sbai, l'incredibile prodotto della Angelo Costa, nonché socia di Daniela Santanché (in politica, non nella proprietà del Billionaire) ha protestato contro la sala di preghiera perché, dice lei, tutti i 150.000 mila musulmani di Roma dovrebbero andare solo alla lontana moschea di Monte Antenne perché altrimenti "sfuggono ai controlli": ha ragione, infatti la moschea di Monte Antenne è "controllata" direttamente dai governi (e dai servizi segreti) dell'Arabia Saudita, del Marocco e dell'Egitto.

Souad Sbai, poi, spiega che in Marocco la gente non può aprire liberamente dei luoghi di culto, e suggerisce che anche in Italia si faccia la stessa cosa: pare che si tratti della famosa "reciprocità" - un musulmano non deve pregare in Italia, e nemmeno in Marocco.

La destra ha detto, invece, che:

1) il quartiere Esquilino è invaso da buddo-confuciani cinesi, per cui i bengalesi non dovrebbero poter pregare;

2) in Arabia Saudita, non fanno costruire chiese, per cui i bengalesi non dovrebbero poter pregare;

3) in Egitto, un musulmano convertito al cristianesimo chiede che si segni il passaggio di religione sui suoi documenti, per cui i bengalesi non dovrebbero pregare;

3) lì vicino, c'è la chiesa cattolica di San Vito, per cui i bengalesi non dovrebbero pregare.

E su quest'ultimo punto, devo dire, non hanno tutti i torti.

Non è difficile capire cosa avrebbe preferito San Vito, tra una discoteca e un locale di preghiera. E mica perché San Vito era cristiano.

Perché San Vito è il patrono dei birrai e dei locandieri.

Nonché, memorabilmente, del Ballo di San Vito e dei tarantolati. Una vera tradizione italica, altro che discoteche e tricolori.


taranta