La corsa per allungare la vita umana si intensifica. Tra i campioni in campo anche Etienne Baulieu, già inventore della Ru-486, la “pillola abortiva”. «La longevità - ha dichiarato - è oggi il problema più importante dell’umanità». Ma è veramente così? E’ proprio la durata, il diventare ultracentenari “in forma”, la questione sulla quale è opportuno che si concentri il pensiero e la ricerca dell’uomo, oppure la pienezza della vita, quella che a volte si definisce la sua “qualità”, il suo senso?
Naturalmente, quando Baulieu, come altri scienziati, puntano le loro ricerche su una forma perfetta per gli ultracentenari di domani, si pongono già il problema della qualità. Cercano, infatti, di superare le debolezze senili, le perdite di memoria, le confusioni mentali. Combattono l’invecchiamento del cervello, e del corpo cui la mente comanda. Neuro-steroidi per l’invecchiamento cerebrale, e ormoni della giovinezza per quello del corpo.
Si tratta, naturalmente, di conquiste importanti: il numero crescente di persone che passano il secolo in una forma fisica e psichica relativamente buona conferma che la direzione è percorribile, e che vale la pena investirci risorse ed energie.
L’osservazione psicologica e sociologica però, ci mostra anche un altro aspetto della situazione, di cui si trova scarsa traccia nell’attuale scienza dell’eterna giovinezza. Si tratta di questo: gli ultracentenari sono sempre più in grado di godersi la vita, ma il mondo è davvero disposto a godersi gli ultracentenari? Ed a quali condizioni?
Il problema più angosciante per l’anziano oggi, infatti, quello che gli rende davvero la vita difficile, non è tanto quello della “perdita di forma”, e quindi del gusto di vivere, quanto quello della sua progressiva esclusione dal mondo.
Non perché gli altri vogliano marginalizzare gli anziani, o almeno non solo per quello. Ma soprattutto perché il mondo di cent’anni dopo non è più il tuo mondo. In particolare oggi, quando i cambiamenti tecnologici, culturali, del costume, sono talmente veloci da tendere a marginalizzare anche i giovani che non rimangano costantemente al corrente con le innovazioni continue, e globali, che si producono in ogni ambito dell’organizzazione della vita.
Una migliore funzionalità cerebrale, fisica, sessuale, aiuterà certamente i centenari di domani a rimanere più a lungo nella corrente della vita, del costume e del sapere, però non sarà mai, da sola, in grado di contrastare la spinta espulsiva che la rapidità dell’innovazione esercita su tutti, anche sui giovani, figuriamoci sui vecchi.
Per evitare che la persona anziana, o molto vecchia, si senta allontanata dalla vita del mondo, e assecondi quindi il sopravvento delle tendenze distruttive presenti nel suo organismo, non bastano interventi organici e biochimici, ma occorre un diverso orientamento culturale. E’ necessario cioè che il “nuovo mondo” valorizzi ancora, e sempre di più, non solo i propri aspetti “nuovi”, l’innovazione e il progresso, ma anche quelli tradizionali, “di prima”, di cui il vecchio è conoscitore, e testimone.
Occorre che la persona anziana sia considerata una risorsa; non solo per il reddito di cui eventualmente dispone, ma per il suo sapere, i suoi ricordi, la storia di cui è portatore, ed alla quale la società “nuova” deve tornare ad attribuire importanza, anche perché garantisce equilibrio e stabilità alla sua stessa crescita.
Centenari “in forma” dunque. Ma soprattutto consapevoli del senso della propria storia, e proprio per questo apprezzati.

da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 20 agosto 2007