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Il valzer delle banche centrali sulla nostra pelle

di Alessandro Cisilin - 23/08/2007





 

Un fastidioso ferragosto, per il guardiano dell'Eurotower. Jean-Claude Trichet (ingegnere poi reinventatosi economista), dopo una vita a fare il delfino del centrodestra francese, da Giscard a Balladur, con la ricompensa della presidenza della Banca di Francia, era sopravvissuto al più grave scandalo della storia delle agenzie di credito pubbliche transalpine (l' affaire LCL ) col paracadute della sistemazione nella Banca Centrale Europea. Carica prestigiosa, ancor più ridondante della presidenza di un circolo di golf o di un Rotary Club. Addirittura super-partes rispetto ai governi europei, per la doppia valenza della tradizionale autonomia degli istituti monetari centrali e la congiuntura dell'assenza della controparte di un'autorità di pari livello (e cioè di coordinamento europeo) in materia di politica economica.

Nel governare le tasche europee, il francese di Francoforte risulta in effetti istituzionalmente imperturbabile alle timide obiezioni dei singoli governi. Ne è consapevole lui stesso, forse, e infatti ogni mese convoca i giornalisti a puntualizzare: “ Seguirò i segnali dell'economia reale ”. Non è mica uno che si è fermato agli studi giovanili delle teorie monetariste restrittive, smentite dalle falle della Reaganomics degli anni '80. Mica si è piazzato all'ultimo piano per stabilire rialzi dei tassi a ritmo costante senza accorgersi che il mondo intorno sta drammaticamente mutando, tra Guerre al Terrore, emergenze climatiche, crolli industriali europei nel boom delle economie asiatiche e nella supervalutazione della moneta unica. Invece sì, l'ingegner Trichet si è prepensionato esattamente così, mandando in vacanza se stesso e gli analisti che, con l'ausilio dei consueti termini aulicamente anglofili, si sono abituati a facilissime previsioni sui tempi e livelli degli aggravi del costo del denaro europeo. Un quarto di punto percentuale di aumento, ogni due mesi, da quasi due anni, indipendentemente dall'alterno andamento delle economie continentali e globali.

Al momento della sua presa dell'incarico, lo scippo inflativo coinciso con l'euro, che ha raddoppiato (quantomeno nell'Europa del Sud) i prezzi dei più poveri panieri di spesa a disposizione di salariati e disoccupati, si era già consumato. C'era a quel punto l'esigenza di un salvataggio della domanda, per proteggere milioni di persone dalla povertà e migliaia di imprese dalla bancarotta. Bazzecole, per l'Eurotower, l'essenza dell' economia reale è un'altra, lo ha ripetuto lo stesso Trichet per il quarto anno consecutivo nell'agosto scorso, proprio alla vigilia del crack. La crescita è ottima, bisogna solo limitare l'ascesa di prezzi, salari e liquidità. Dimostrazione? La disoccupazione, scesa ai minimi storici degli ultimi venticinque anni, e basta con le Cassandre che obiettano che è un dato senza verità mosso dal proliferare dei contratti di lavoro precario.

Il grosso degli economisti europei se l'è presa con l'ex governatore della Federal Reserve Greenspan e l'attuale presidente Bush, per l'attuale crisi finanziaria globale esplosa sull'insolvenza dei mutui americani. Un autentico furto, in effetti, ai danni soprattutto delle comunità di colore, costrette da prestiti usurari con l'esplicito avallo dei vertici federali. Una politica fiscale che ha tolto ai poveri, con colossali tagli alla spesa pubblica (eccetto il boom degli investimenti militari, naturalmente) e regalato ai ricchi, nei succosi sgravi alla loro fascia di fiscalità. Con l'accompagnamento di una campagna battente per incoraggiare i meno abbienti a spendere, specie nell'edilizia, indebitandosi. Portando i tassi all'1% nel 2001, chiamando i finanzieri a penetrare i quartieri poveri coi fatidici subprime - i crediti immobiliari a costo elevato per soggetti a rischio - e infine lanciando espliciti appelli alla popolazione a sostituire i debiti a tasso fisso con quelli variabili. Salvo, successivamente, triplicare lo stesso costo del denaro. Uno scherzetto che ha mandato in rovina milioni di americani, come documentano gli archivi delle inchieste sporadicamente comparse perfino nei media più moderati. Disastri non conteggiabili nei dati “ reali ” del Pil e di Wall Street, cresciuti anzi proprio sulle leve della speculazione finanziaria ed edilizia. La tradizione bancaria angloamericana è del resto è quella, ben più antica della dynasty dei Bush: prestare il più possibile e a più persone possibile, fin dalla loro infanzia. La logica è semplice, a forza di moltiplicare il numero di debitori, la rendita diventa tale da poter agevolmente sostenere un esteso numero di insolvenze. Tutto bene, dunque, e le borse e i mercati lo documentano, anche per il proliferare delle conversioni dei mutui in cartolarizzazioni di immaginifici bond , di cui neppure le agenzie di rating riescono a rintracciare l'entità e i percorsi. Tutto bene, almeno fino a quando i milioni di insolventi arrivano a superare i milioni di dollari degli speculatori. Esattamente quel che è successo il venerdì nero di questo 10 agosto. Il silenzioso esercito dei sofferenti che s'ingrossa al punto da mettere a repentaglio i guadagni finanziari degli altri ceti.

Ora, non è di per sé un male che le banche europee apprendano a prestare al di fuori del circolo di chi è già ricchissimo. E non c'è forse da scandalizzarsi se anche i nostri telefoni comincino a squillare proposte d'indebitamento bancario. Il fenomeno non è tuttavia esente dal rischio di uno sfruttamento creditizio di massa delle classi popolari, quando manca l'accompagnamento di un'adeguata protezione monetaria. Ed è esattamente questo il problema, ignorato dai sedicenti esperti addomesticati alla prevedibilità di Trichet. I rialzi decisi in questi anni dalla Banca Centrale Europea sono paralleli a quelli d'oltreoceano. Per la precisione, anziché triplicarsi, si sono “solo” raddoppiati, dal 2 al 4%, compensando la forbice della progressiva svalutazione del dollaro. Il dato è elementare, alla portata anche dei non addetti ai lavori, ma è del tutto ignorato. L'Eurotower non ha fatto le criminose campagne per la sottoscrizione dei mutui variabili, ma la sostanza della politica monetaria è stata identica a quella di Washington, con anzi qualche litigata col neogovernatore della Federal Reserve Bernanke che ha tentato invano di concordare un rallentamento dell'ascesa dei tassi d'interesse.

L'esplicita filosofia è quella dei salari al massimo contenimento – come ripetutamente invocato dall'ex portaborse di Giscard – e danaro al massimo rialzo, a scapito dei consumatori più fragili, delle piccole imprese e della capacità di spesa sociale dei paesi a forte indebitamento pubblico. L'obiettivo dichiarato è la tenuta dell'inflazione, sebbene già sotto controllo e, allo stato, ricerche econometriche alla mano, impermeabile a un eventuale recupero salariale. Se dunque ora i risparmiatori europei vedono volatilizzarsi dalle proprie tasche centinaia di miliardi - che vanno a saldare i debiti statunitensi - la causa strutturale è politicamente condivisa dal Vecchio Continente. E se la fonte del crack si è materializzata dall'al di là dell'Oceano, è banalmente perché al di qua sopravvive un residuo di welfare che salva dalla povertà qualche famiglia in più, e non certo per l'operare di qualche segreta genialità nei palazzi di Francoforte.

Il giocattolo è comunque esploso anche nelle mani dell'ingegner Trichet, che si è visto costretto a inquinare le vacanze ferragostane con la seccatura di qualche telefonata, per ordinare iniezioni massicce di liquidità, a smentire anni di sottrazioni. Paradossale contraddizione, proprio dall'Unione Europea che, per trattato, non solo inibisce, ma addirittura vieta interventi di Stato orientati a salvare le centinaia di migliaia di lavoratori delle aziende in difficoltà, si iniettano con la fatica di un'email centinaia di miliardi di euro per tutelare il mercato azionario.

La crisi assomiglia a quella del '29, notano alcuni, ricordando il nodo dei mutui e il protrarsi della discesa borsistica ben aldilà di un “ venerdì nero ”. Ma il vero rischio per l'” economia reale ” – mai così distante e insieme confusa con gli interessi degli speculatori del capitale - forse non è la discesa dei prezzi delle case paventata dagli analisti finanziari, che dopotutto consegnerebbe un tetto ai milioni di europei che non ce l'hanno. Il rischio è che l'Europa, anziché trovare una specie di Roosevelt, che rimpolpi gli investimenti e le buste paga per neutralizzare l'eccesso strutturale dal lato dell'offerta, si ostini invece ad affidarsi all'autismo virtuale dei banchieri centrali. Trichet, dopo aver mandato in crisi popoli di non abbienti per l'ossessione di deprimere la domanda, ha già avvertito: passata la crisi finanziaria, riprenderemo coi rialzi dei tassi.

di Alessandro Cisilin, Megachip - l'articolo sarà pubblicato sul mensile Galatea