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Marco D’Eramo, “il manifesto” e Sarkozy

di Carlo Gambescia - 28/08/2007

 

Sul manifesto di domenica scorsa, Marco D’Eramo ha criticato la “sbandata” della sinistra italiana per Sarkozy. E in particolare quella delle “ nuove teste d’uovo” del Partito democratico.
D’Eramo pone due domande precise: perché certa sinistra si illude che Sarkozy persegua una politica “post-ideologica”? E soprattutto, perché, anche se per ora solo a parole, si propone di imitarlo? Tuttavia le sue risposte non convincono.
A suo avviso, infatti, la scelta filofrancese sarebbe sbagliata, dal momento che il clima in cui viviamo resta invece segnato da profonde divisioni ideologiche. Di qui la necessità, per una sinistra autentica, di arroccarsi sul confine destra-sinistra, E pertanto di non rincorrere il nascente mito del pragmatismo post-ideologico di Sarkozy, un politico, che in realtà, non sarebbe altro che l' alfiere del “perbenismo liberista”: l’unica ideologia oggi dominante. Davanti alla quale, secondo D’Eramo, tutti i politici indistintamente ( e istintivamente) tendono a inchinarsi.
Ora, l’idea che la sinistra debba comportarsi politicamente da sinistra e non scimmiottare la destra ha indubbiamente un qualche fondamento. Ma il vero punto del problema è che la sinistra italiana, quella rappresentata in Parlamento (riformista o meno), non ha più alcuna idea su cosa sia di sinistra e su cosa sia destra. Purtroppo, il post-ideologico cui fa riferimento D’Eramo è nei fatti . E non solo nei “cenacoli” riformisti frequentati da Rutelli e Veltroni.
Ad esempio, stando alle recenti polemiche, sembra addirittura che pagare le tasse sia diventato un comportamento di sinistra e non pagarle di destra… Insomma, quello che era e resta un dovere civico, è diventato per mancanza di idee un punto di discrimine politico...
Si dirà, la situazione italiana è particolare, e dunque anche la sinistra deve adeguarsi. Prendiamo allora il tema della precarizzazione del lavoro. Bene, su questo punto, a nostro avviso “epocale”, si imponeva un rigetto pieno e immediato, della legislazione in materia, da Treu a Biagi. E invece, dispiace dirlo, si continua a temporeggiare. Per non parlare, infine, dei cosiddetti “misteri d’Italia”, sui quali, la sinistra di governo, riformista o meno, ignorando l’antico precetto della verità come forza rivoluzionaria, si è ben guardata, una volta conquistato il Ministero degli Interno, di fare luce.
Il vero problema è che alla politica “incolore”, basata sulla melassa degli interessi, la sinistra dovrebbe rispondere scegliendo tra due possibilità: o ritornare al vecchio programma socialdemocratico di inizio Novecento, fondato sulla trasformazione democratica della società capitalistica in socialista, attraverso la conquista del consenso parlamentare; o puntare decisamente sull’opzione rivoluzionaria e leninista.
Una terza via, da sinistra, capace di mettere insieme capitalismo e socialismo ci sembra oggi politicamente improbabile, oltre che socialmente ed economicamente irrealizzabile. Quanto al destino del welfare state, alle cui rovine la sinistra neocomunista, ora al governo, e lo stesso manifesto sembrano essersi aggrappati, non si può non essere pessimisti. Anche a causa di quell’irresistibile offensiva neoliberista, di cui parla, e giustamente, D’Eramo.
Perciò il manifesto e i suoi editorialisti dovrebbero decidersi a parlare chiaro. Che senso ha citare fieramente il Marx del 18 Brumaio di Napoleone Bonaparte, come fa D’Eramo, per screditare Sarkozy quale eterna incarnazione della “borghesia reazionaria francese”, e poi in modo sommesso, invitare i lettori a sostenere il confusionismo politico, altrettanto reazionario, del governo Prodi.