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Gli affondi di Bossi e le chiacchiere sulla legalità democratica.

di Carlo Gambescia - 28/08/2007

 

Gli affondi di Bossi, da ultimo quello di ieri (“I lombardi non hanno mai tirato fuori i fucili, ma per farlo c’è sempre un prima volta) sono sempre interessanti per due ragioni.
La prima, per le ipocrite reazioni che suscitano nei partiti “costituzionali”. La seconda, per la possibilità che offrono di capire la logica politica della Lega.
Veniamo al primo punto. Le periodiche reazioni dei partiti italiani (di maggioranza come di opposizione) al linguaggio di Bossi sono francamente penose. Perché rappresentano l’esito della peggiore retorica democratica. Quella che si tira fuori, quando gonfiare il petto, mettere la mano sul cuore e usare la parola patria, non costa politicamente nulla. Insomma, quel che è grave è che dopo vent’anni, non ci si chieda ancora il vero perché del successo politico di Bossi; non ci si interroghi seriamente sull’effettivo carico fiscale che grava sulle spalle di chi vive nel Nord italiano. E soprattutto si continui a non far nulla, a destra come a sinistra, per diminuire sostanzialmente la pressione fiscale in tutta Italia. Combattere l’evasione è giusto. Ma a breve e medio termine non è sufficiente. Il che spiega, di riflesso, il perdurante successo di Bossi, ma anche certa esasperazione nei toni del suo linguaggio, nonché la diffusa disaffezione “verso Roma”, che segna la vita sociale nella “Padania”. Basta infatti visitare, anche per poche ore, città come Varese, Bergamo, Vicenza, Verona per scoprire l’umor (nero) della gente comune. Alla quale parole come “patria italiana” non sono oggi tra le più gradite… Ma la politica “di Roma” - come direbbe Bossi - invece di prenderne atto prosegue a far finta di niente.
Secondo punto. La Lega ha conservato una logica di movimento, molto aggressiva. In certo senso come Rifondazione Comunista. Tuttavia, mentre la sinistra (già) leninista è passata per il terrorismo, e perciò, volente o nolente, ha imparato a moderare i toni, non si è registrato, almeno fino ad oggi, alcun organico “terrorismo leghista”(a parte il famigerato episodio di piazza San Marco, represso, a suo tempo, con un rigore inusitato). Di qui, la mancata presa di distanza da parte di Bossi e dei suoi, da un fenomeno come la “lotta armata”. Pertanto le sue minacce non vanno prese sottogamba, come non andavano sminuite quelle della sinistra rivoluzionaria negli anni Settanta. Ma in che modo? Certo, non ricorrendo a un ipocrita purismo democratico alla Mastella e alla Veltroni o alle misure preventive di polizia. Ma, sociologicamente, con interventi di politica fiscale e sulla qualità dei servizi sociali e pubblici, a cominciare dalla sicurezza. Per un vicentino la patria è pagare le giuste tasse, lavorare, fruire di efficienti servizi sociali e soprattutto non essere aggredito nottetempo.
Hobbes ha insegnato che i governi si reggono sullo scambio protezione-obbedienza. E, di conseguenza, un governo insaziabile ma incapace di proteggere i cittadini finisce sempre per non essere obbedito.
Sono questi i veri temi di riflessione da affrontare quando si discute della Lega, e non le consuete chiacchiere sulla legalità democratica, di chi ad esempio a Roma in pieno centro cittadino ( e figurarsi nei villini isolati del Nord...), non è in grado di garantire alle persone perbene come Tornatore, o ad altri comuni cittadini, di rientrare a casa incolumi.