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Iraq: il fallimento del governo Maliki, balcanizzazione garantita...

di Günther Deschner - 28/08/2007

 

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Già quando il Presidente americano George W. Bush, nel gennaio 2007, ha annunciato la sua "nuova strategia irachena", che permetterebbe, infine, di far progredire le cose laggiù, la maggior parte degli osservatori era sicura che i punti essenziali di questa strategia non avevano affatto basi concrete ma, come quando si danno i numeri vincenti di una lotteria, si trattava di azzardo puro: "da qui a settembre", annunciava la casa bianca, "un'offensiva di sicurezza" pacificherà definitivamente il calderone iracheno in ebollizione, l'esercito e la polizia del nuovo Iraq sarebbero infine in grado di fare fronte alla situazione e garantire la sicurezza interna del paese contando soltanto sulle loro forze; in seguito, l'industria petrolifera irachena ridiventerebbe il motore economico del paese distrutto perché una nuova legge che regolamenta lo sfruttamento dei campi petroliferi garantirebbe una base sicura alla riapertura. Infine, il governo iracheno ne sorgerebbe rafforzato e dimostrerebbe le sue capacità di imporsi. Restano dunque ad oggi, i primi di agosto 2007, circa quattro settimane per realizzare questo programma... Ma ecco che il governo del primo ministro iracheno Nouri al-Maliki non si è mai trovato in una posizione così scomoda. Le parti sunnite hanno lasciato la coalizione governativa; i loro i sei ministri hanno abbandonato i loro gabinetti. I sei altri ministri, parenti del capo religioso sciita Moktada al-Sadr, avevano già lasciato il governo al-Maliki in aprile scorso, perché il primo ministro aveva rifiutato di stabilire un calendario per la partenza delle truppe americane.

 

La metà del gabinetto iracheno è in dissenso.

 

Il 7 agosto 2007, i cinque ministri del movimento secolare "alleanza per il Iraq", dell'ex primo ministro di transizione Ayad Allawi, hanno annunciato, a loro volta, che non parteciperanno più alle sessioni del gabinetto. Questa decisione ha effetto immediato.

Con questo nuovo dissenso, sono attualmente diciassette i ministri, ossia la metà del gabinetto, che hanno lasciato definitivamente o parzialmente il "governo d'unione nazionale". Nessuno non può negare, ormai, che il governo al-Maliki va verso il baratro, e ad alta velocità. Anche in Parlamento, non si trova più nessuno slancio: solo un quarto dei parlamentari autoproclamati si è affaticato a preparare le leggi ritenute più necessarie al paese ma ecco che a tutti i deputati si è appena assegnato un congedo a lungo termine, non previsto. Non si riuniranno più entro il 4 settembre. Nulla permette di prevedere che la "legge sul petrolio", molto contestata, passerà dinanzi a questo Parlamento. Affinché non si rimproveri loro "di vendere all'asta le ricchezze nazionali" a potenze straniere, il governo, nel suo progetto di legge, ha escluso effetti potenziali dalla nuova legge sui ventisette campi pétroliferi ancora in sfruttamento. Il diritto di sfruttare gli altri sessantacinque, che sono nuovi e non sono stati ancora messi in opera, sarà venduto a consorzi internazionali. Al di fuori della "zona verde", il paese è sottosopra. Attentati dinamitardi, attentati suicidi si moltiplicano: la spirale di morte non cessa di abbracciare il paese. La situazione generale in materia di sicurezza si è un po' modificata, ma non è certamente migliorata. Un ufficiale superiore dell'esercito americano in Iraq, il Tenente-generale Raymond Odierno, ha appena dichiarato che, in quest'ultime settimane, gli sciiti sono stati responsabili di quasi i tre quarti di tutti gli attentati commessi contro le truppe americane. Certamente, un buono numero di insorti sunniti è stato cacciato da Bagdad dall' "offensiva di sicurezza" ed ha ripiegato in altre regioni, ma il loro posto è stato preso, ormai, dai combattenti sciiti. L'efficacia delle forze di sicurezza irachene lascia a desiderare, mentre la loro costituzione è una condizione imperativa affinchè gli Stati Uniti acconsentano ad evacuare le loro truppe. Gli Stati Uniti avevano fornito a queste forze irachene circa 200.000 cannoni d'attacco e pistole. Queste armi sono scomparse senza lasciare alcuna traccia. Le autorità americane temono che siano nelle mani degli insorti o di bande criminali. Le realtà dell’ Iraq di oggi, al quale deve applicarsi la "nuova strategia" di Bush, risulta di giorno in giorno più violenta e caotica. Il fallimento del governo al-Maliki mostra, ancora una volta, che L’ Iraq, de facto, si è frammentato in molti centri regionali di potere. Il potere politico, poliziesco ed economico, infatti, è passato dal centro alle periferie regionali o locali, secondo fenditure etniche, religiose e tribali. Il governo di Bagdad non è che un attore politico fra molti altri. I kurdi al Nord, gli sciiti al Sud non cessano di consolidare le loro autonomie. Il frazionamento della società e del mondo politico iracheni ha per effetto che non c’è una sola guerra civile che fa rabbia, ma tutta una gamma di guerre civili. Insurrezioni e lotte per la divisione del potere si svolgono secondo divisioni mutevoli, che comportano coinvolgono tutte le forze vive della società. Questo crollo generale ha anche per risultato che la sensazione di un'appartenenza comune ad un Iraq unitario, sensazione già molto debole d'altra parte, sta scomparendo completamente.

 

L'Iran, l'Arabia Saudita e la Turchia agiscono di testa propria

 

Altri fattori di destabilizzazione dell’ Iraq si manifesteranno certamente entro la fine del 2007: il federalismo appare ormai come la sola uscita possibile per i kurdi e per un numero crescente di sciiti. Il dibattito in corso sulla divisione ed il controllo delle risorse petrolifere e gazifere, la questione dello statuto di Kirkuk ("Kerkûk" in lingua kurda), che, secondo la costituzione, deve essere regolato alla fine del 2007 da un referendum popolare, è altrettante questioni esplosive in sé, sintomi di crolli futuri." In tale contesto, i più potenti vicini dell’ Iraq, come l'Iran, l'Arabia Saudita e la Turchia, aggiungeranno, per loro conto e per ragioni diverse e divergenti, maggiore destabilizzazione; ciascuno di loro tenterà di modificare il corso delle cose in Iraq a suo profitto. L'istituto di studi strategici britannico, Chatham House, ha abbozzato queste realtà in tutti i dettagli nello scorso giugno. Le sue conclusioni sono sempre valide, visto i pochi cambiamenti verificatisi nell'equilibrio dei poteri iracheni e dall'offensiva di "sicurezza" lanciata dagli americani: La realtà, eccetto se nuove strategie permettono di trovare un’altra soluzione politica, non ci lascia altra via che di dialogare con le organizzazioni sostenute dalla volontà del popolo, anche se non condividono gli interessi degli americani nella regione ".

 

fonte voxnr. Trad. G.P.