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L'Iraq come il Vietnam? Volesse il cielo...

di Gianluca Bifolchi - 28/08/2007



Se diremo qualche parola per correggere le mistificazioni di Bush dette due giorni fa al raduno dei veterani della guerra del Vietnam nel Missouri, non è per denunciare gli usi politici della storia. Per questo bastano gli infimi indici di gradimento dell'amministrazione presso un'opinione pubblica USA la cui credulità la induce ancora a credere che Saddam Hussein fosse dietro gli attentati dell'11 Settembre 2001, ma non a concedere ulteriore credito a George W. Bush.

E' semmai perché chi ha a cuore gli interessi del popolo iracheno -- a cui Bush vorrebbe risparmiare un destino di vietnamitizzazione -- dovrebbe al contrario sperare che l'eventuale partenza delle truppe americane dia inizio ad un processo di ricostruzione e riconciliazione nazionale altrettanto brillante e coronato da successo di quello che vide protagonista il popolo vietnamita. Al massimo, ci si auguri che la devastazione e la distruzione della società irachena ad opera della guerra voluta da Bush non raggiunga i livelli da apocalisse -- a cui si avvicina invero a passo rapido -- sperimentati in Vietnam, Laos e Cambogia per le stesse ragioni.

La necessità di evitare il "bagno di sangue" fu la bugia escogitata da Richard Nixon per aggirare la promessa elettorale, che lo aveva portato alla Casa Bianca nel 1969, di porre termine all'intervento americano nel sud-est asiatico. La sua amministrazione, al contrario, intraprese in segreto la più brutale campagna di bombardamenti aerei di tutta la storia moderna, estendendo il teatro dello scontro al Laos e alla Cambogia.

A proposito di uno scenario senza presenza militare USA la propaganda della Casa Bianca insisteva soprattutto su questi fattori:

1) Le massicce vendette contro chi durante la guerra si era schierato al fianco degli Americani. Il timore aveva qualche fondamento, dato che se si seminano quisling e collaborazionisti è ovvio che poi ci si lascerà alle spalle gente invisa alla popolazione. Le vendette che fecero seguito alla Resistenza europea al nazifascismo, ben oltre la fine delle ostilità nel 45, rappresentavano un forte ammonimento. Senonché in Vietnam non accadde niente del genere. Gli unici episodi si verificarono nel nord del paese negli anni 50, al conseguimento dell'indipendenza dal dominio coloniale della Francia (sostenuto militarmente e finanziariamente dagli USA). Ma al di là delle cifre gonfiate (comunque ben al di sotto dei già menzionati standard europei), queste uccisioni -- scappate di mano ai funzionari di Hanoi --ebbero un effetto molto profondo sul regime e, per riflesso, sulle forze insurrezionali del sud Vietnam, la cui presa sulla popolazione contadina dipendeva esclusivamente dalla capacità politica e di persuasione. Il nuovo governo del Vietnam riunificato non permise il ripetersi di quanto accaduto negli anni cinquanta.

2) I campi di rieducazione. Si sostenne che i collaborazionisti subivano internamenti in campi di rieducazione dove venivano sottoposti a trattamenti atroci. In realtà l'esistenza di questi campi era proprio la conseguenza del punto 1, e cioè la decisione di non procedere ad esecuzioni di massa, e quanto alle atrocità subite dai suoi ospiti basti dire che la stragrande maggioranza di essi non veniva internata per più di 48 ore, durante le quali la cosa peggiore che poteva capitargli -- oltre a doversi rifare la branda da soli -- era ascoltare lunghi discorsi sulla necessità di unirsi allo sforzo collettivo di ricostruzione dal paese. I campi di rieducazione servirono anche per recuperare alla società lo sbalorditivo numero di prostitute -- dando loro un'istruzione elementare ed insegnandogli un mestiere, e spesso disintossicandole dalla droga -- creato dalla presenza delle truppe americane.

3) Le deportazioni forzate dalle città alla campagna. Agli Americani sembrava una prova di particolare barbarie e brutalità che esponenti della borghesia imprenditoriale e delle professioni dovessero infine guadagnarsi da vivere lavorando nei campi, conducendo la stessa esistenza di milioni di loro concittadini. Ovviamente si sorvolava sul fatto che la pesante eredità della guerra aveva messo il paese in ginocchio e che anche la sola sopravvivenza alimentare richiedeva una bonifica delle campagne che doveva impegnare tutte le forze attive della nazione. Si sorvolava anche sul fatto che la borghesia imprenditoriale e delle professioni si era formata nel contesto dell'assistenza finanziaria degli USA al regime di Saigon, e che partiti gli Americani tutte le attività d'affari legate al dollaro facile non avevano più ragione di esistere. In realtà il ripopolamento delle campagne ebbe luogo attraverso la creazione di villaggi piuttosto ben organizzati per gli standard di una nazione in via di sviluppo, con servizi medici, scolastici, ed igienici. Inoltre non esiste alcuna prova che i trasferimenti della popolazione furono attuati con mezzi coercitivi. Si ricorreva solo alla persuasione, e la gente delle bidonville createsi alla periferia dei centri urbani per sfuggire ai bombardamenti USA fu ben contenta di tornare nelle aree rurali. Al contrario, il livello di vita a Saigon non cadde verticalmente come si poteva credere perché dall'economia disastrata del nord furono compiuti ingenti trasferimenti di derrate alimentari e prodotti industriali proprio per rendere la riconversione del sud meno traumatica possibile.

4. La 'tragedia' dei boat people. Che la fuga dei boat people dall'inferno del Vietnam fosse in realtà una semplice forma di emigrazione economica, per persone che si erano precedentemente abituate a stili di viti ormai non più sostenibili, è dimostrato dal fatto che un numero elevato di essi era in realtà constituito da Cinesi, e non Vietnamiti, trasferitisi in Vietnam durante l'era coloniale e la presenza delle truppe USA per aprire attività commerciali che ora, nel mutato tessuto sociale della nazione, non potevano più prosperare. Ancor più significativo è che tutti sanno dei boat people ma nessuno sa degli enormi flussi di profughi, in quegli stessi anni, da Haiti, San Domingo, Bangladesh e Birmania, accuratemente tenuti nascosti dai media USA non solo per evitare che sottraessero attenzione ai boat people ma anche perché creati da regimi politici a vario titolo legati a Washinton.

5. Il genocidio dei Khmer Rossi in Cambogia. L'uso stesso della parola 'genocidio' richiederebbe molta cautela, visto che sui media USA si sono lette stime che variavano da un minimo di 20.000 persone a un massimo di 3.000.000. Di fronte a simili approcci ai dati di fatto è evidente che sono stati soprattutto gli interessi della propaganda a farsi sentire. Ma alcune cose le sappiamo: sappiamo ad esempio che le montagne di teschi mostrate dalla stampa occidentale in quegli anni provenivano in realtà da fosse comuni che il regime Khmer aveva portato alla luce e nelle quali erano inumati i probabili resti delle vittime dei bombardamenti USA nella prima metà degli anni 70; fu lo stesso principe Sianouk, nemico giurato dei Khmer, a smentire le notizie sui massacri diffuse a piene mani dagli Americani. Sappiamo che i Khmer furono il banco di prova del clima di distensione tra Cina e USA inaugurato dall'amministrazione Nixon anni prima, e cementato dai consistenti aiuti forniti dalla CIA e da Pechino a Pol Pot in chiave anti-vietnamita e antisovietica. Sappiamo anche che l'avvento dei Khmer fu favorito dal contesto di caos sociale e politico creato dai bombardamenti USA. Ma sappiamo soprattutto che a seguito dell'invasione vietnamita del 1979 l'amministrazione Reagan si schierò in modo aperto e ufficiale con i Khmer (gli arci-genocidi, quelli delle montagne di teschi) permettendo loro di creare basi operative in Tailandia, paese satellite.

All'idea dunque che l'Iraq possa vietnaminizzarsi c'è una sola risposta possibile: volesse il cielo! Ma la più grossa ipoteca allo svolgersi di un simile scenario è che le truppe USA non lasceranno affato l'Iraq. La missione, in Vietnam, era l'interruzione di un esperimento sociale ed economico, iniziato da Ho Chi Min negli anni 50, basato sulle necessità della popolazione locale e non sulle politiche di investimento delle multinazionali occidentali -- secondo il modello neo-coloniale caro a Washington -- che aveva già suscitato simpatie e speranze in tutto il sud-est asiatico e in Indonesia (il vero, temuto, effetto domino). Mentre la missione in Iraq è assumere il controllo stabile delle riserve petrolifere del paese. Ciò che richiede basi militari, sulle quali esiste un consenso bipartisan tra democratici e repubblicani, che si dividono solo sull'opportunità che gli USA continuino nel loro futile sforzo di normalizzare la situazione interna del paese con un impegno diretto.

Vi è un solo possibile punto di contatto tra il Vietnam e l'Iraq. In entrambe i casi si può stare certi che gli USA non verseranno un solo dollaro di riparazioni per i danni creati dalla loro guerra di aggressione.