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Questione identitaria e questione irlandese

di Manuele Ruzzu - 28/08/2007

   

Per lungo tempo l’Irlanda del Nord ha rappresentato, e probabilmente ancora rappresenta, l’immagine del conflitto fondato sulla contrapposizione identitaria e da essa drammaticamente alimentato.
Eredità lasciata, alle due comunità nordirlandesi, repubblicana/nazionalista e unionista/lealista, dalla politica coloniale inglese sull’isola cominciata nel 1169 con il re Enrico II e successivamente dalla “Plantation” dell’Ulster –nei fatti una ulteriore colonizzazione– tramite l’insediamento di coloni protestanti anglo-scozzesi da parte del re di Inghilterra e Scozia Giacomo I Stuart .
Mentre la comunità nazionalista/repubblicana rivendica la propria identità irlandese e si batte per la riunificazione politica dell’isola –dopo essersi battuta per la sua indipendenza dal dominio inglese– la comunità unionista/lealista rivendica e difende la propria ascendenza e lealtà alla corona britannica battendosi affinché l’Irlanda del Nord resti parte del Regno Unito.
L’aspetto religioso, come accennato precedentemente, ricopre un ruolo rilevante nella costruzione identitaria delle due anime che compongono la comunità nordirlandese.  Si accomuna, infatti, la comunità cattolica con i nazionalisti e la comunità protestante con i lealisti. È nell’ottica di tale distinzione che, ancora oggi, l’opinione pubblica tende ad identificare il conflitto. La storia ha spesso dimostrato come tale legame non sia un valore assoluto in Irlanda del Nord. Non è raro, infatti, trovare protestanti nazionalisti o cattolici unionisti.
In Irlanda si parla di Irishness e Britishness (traduz. “irlandesità” e “britannicità”, ndA.) per distinguere le due specificità. Fin dalla loro radice i due termini indicano il senso di appartenenza ed identificazione con una delle due nazioni, culture, tradizioni. A questa prima particolare distinzione si deve aggiungere una terza specificità definita Ulsterness.
La Ulsterness rappresenta l’identificazione, della comunità unionista/lealista/protestante o di quella parte di essa che si riconosce in questa specificità, con l’Irlanda del Nord, vista e legittimata come regione politica all’interno del Regno Unito. La Britishness è la “casa comune” che comprende questa particolarità così come quella inglese, gallese e scozzese. È la Britishness che mantiene viva, nella coscienza della comunità unionista, la “identificazione psicologica” dell’Irlanda del Nord con l’Inghilterra.
Per definire questa ulteriore specificità può essere interessante leggere quanto scritto dal partito irlandese Fine Gael nel 1979 in un documento intitolato “Ireland – Our Future Together” (Irlanda. Il nostro futuro insieme, ndT). Nel paragrafo 40, intitolato “Northern Ireland’s Sense of Identity” (Il senso dell’identità dell’Irlanda del Nord, ndT), afferma: “Coloro che sostengono la connessione politica con la Gran Bretagna, per ragioni emotive o pratiche, si sentono nordirlandesi e vedono la loro identità dell’Ulster come parte di un più ampio senso di appartenenza all’identità britannica”. Una identità costituita dall’amalgama di Britishness e Ulsterness.
Lo storico irlandese Conor Cruise O’Brien sosteneva che Irishness non era solo “l’insieme di elementi quali nascita, sangue o lingua, quanto piuttosto l’essere coinvolti nella situazione irlandese e, da essa, farsi costantemente maltrattare”.
I “Troubles”, come viene definito il conflitto nordirlandese scoppiato nella sua forma più drammatica alla fine degli anni ‘60, influirono notevolmente sulla questione identitaria. Nel suo libro, intitolato “A History of Northern Ireland 1920-1996”, Thomas Hennessey scrisse: “Il conflitto parve avere un impatto sulle definizioni di identità nazionale, confermando l’alienazione culturale dei cattolici dalla Britishness dello staterello nordirlandese e una accelerazione dell’alienazione culturale dei protestanti dalla loro Irishness”.
Nella comunità protestante, la situazione rafforzava il senso di appartenenza alla Britishness. La strategia militare condotta dall’IRA, contro l’Inghilterra e quelli che il movimento repubblicano vedeva come apparati di oppressione (es. polizia nordirlandese, esercito inglese, ecc.) da parte del governo di Londra sul territorio irlandese, era nell’opinione comune dei protestanti diretta contro la loro comunità. Nella resistenza all’offensiva repubblicana, essi vedevano un estremo tentativo di difesa della propria identità.
Nulla li accomunava alla identità irlandese, alla Irishness, e in nessun modo intendevano permettere al movimento repubblicano di assoggettarli ad essa. Farlo avrebbe significato, nella loro ottica, arrendersi allo stesso movimento repubblicano e alla violenza dell’IRA.  Era necessario, affinché la resistenza all’offensiva repubblicana avesse maggiore forza, che l’Inghilterra sostenesse apertamente che la comunità unionista/protestante nordirlandese era parte della identità britannica al pari delle identità gallese, scozzese, inglese. La paura incombente era di trovarsi al di fuori della Britishness dopo aver combattuto per difenderla.
Paradossalmente, il conflitto, connotava sempre più la specificità nordirlandese e l’identificazione delle due comunità, da parte dell’opinione pubblica mondiale, convergeva sul definirle “nordirlandesi”. Ciò rappresentava, nella loro coscienza identitaria, un vero dilemma poiché la nuova identificazione poteva dare l’impressione di compromettere la loro identità irlandese o inglese. Fu negli anni ’70 che cattolici e protestanti, cominciarono ad accettare la definizione di “nordirlandesi”. Alcuni sondaggi, sull’identità nazionale, svolti alla fine degli anni ’60 avevano indicato che meno dei 2/5 della popolazione si definiva britannica, 1/5 si definiva irlandese mentre 1/3 riconosceva la propria identità nordirlandese.
Per i cattolici la specificità “nordirlandese” non rappresentava una legittimazione dei confini politici in Irlanda. Per questo motivo non intendevano rinunciare alle loro aspirazioni e, di conseguenza, alla loro lotta.
I protestanti, da parte loro, non vedevano la loro Britishness compromessa dal venir riconosciuti come “nordirlandesi”, dal momento che il termine poteva essere visto, tranquillamente, come una derivazione di “Irlanda del Nord”. Una regione ufficialmente riconosciuta come parte, del Regno Unito. Nella sua espressione culturale, l’identità nordirlandese, manteneva, per loro, il legame con esso.
Le contrapposizioni tra le due identità, affermava Hennessey, si riflettevano sulle concezioni che unionisti e nazionalisti avevano, nello specifico, dell’identità culturale dell’Irlanda del Nord, fosse essa espressa attraverso le bandiere, i simboli o le marce orangiste. Per esempio, l’inno “God Save the Queen” (Dio salvi la regina, ndt) e la “Union Jack” (la bandiera inglese, ndA) erano per gli unionisti la testimonianza della sovranità inglese sull’Irlanda del Nord. Una presenza che li rassicurava dal pericolo di una riunificazione dell’isola. Il non issare la Union Jack o il non proporre l’inno “God Save the Queen”, poteva rappresentare il segnale di un indebolimento del legame con l’Inghilterra.
Tutta la simbologia che richiamava all’Irlanda, es. il tricolore o la stessa religione cattolica, erano per loro simboli irredentisti e, per questo, pericolosi. Per tale ragione dovevano essere tenuti sotto controllo e arginati nel timore potessero dilagare e sovvertire l’ordine costituito.
La comunità nazionalista non si riteneva e non si è mai ritenuta, in nulla e per nulla, rappresentata dalla Union Jack o dall’inno inglese. Bandiera e inno del Regno Unito erano e sono tuttora simboli di uno stato straniero che occupa, militarmente e politicamente, il suolo irlandese. Uno stato che, per loro, si é imposto sul territorio irlandese in maniera ostile. Simbolo del più feroce imperialismo. La simbologia, attraverso la quale la comunità unionista esprime la propria identità, è la rappresentazione del potere imperialista, colonialista ed oppressore. Un potere che ha diviso un territorio, un popolo ed una identità.
Tre elementi chiave, questi, nel bagaglio ideologico che ha animato la lotta del movimento nazionalista/repubblicano. Riunire il territorio per riunire il popolo e, di conseguenza, l’identità. La Irishness era, nella loro ottica, l’identità originaria.
Per Hennessey Irishness e desiderio di riunificare l’Irlanda non erano interdipendenti nei nazionalisti. Pur ritenendo, alcuni di essi, che la riunificazione fosse lontana dal realizzarsi essi continuavano, ed avrebbero continuato, ad identificarsi nel tricolore dell’Irlanda, nel suo inno nazionale ed a sentirsi parte del suo popolo.
Un rapporto del New Ireland Forum (Forum per una nuova Irlanda, ndt), intitolato “Framework for a New Ireland: Present Realities and Future Requirements” (Struttura della nuova Irlanda: Realtà presenti e necessità future, ndT) e citato nel libro di Desmond Fennell intitolato “Heresy. The Battle of Ideas in Modern Ireland” (Eresia. La battaglia delle idee in Irlanda del Nord, ndT), pare contrastare con quella che è l’opinione di Hennessey riguardo il rapporto di non dipendenza tra la Irishness dei nazionalisti e il loro desiderio di riunificare politicamente l’isola. Il documento stabiliva che “È una realtà il desiderio, da parte dei nazionalisti, di riunificare l’Irlanda nella forma di uno stato irlandese sovrano e indipendente, capace di includere gli elementi fondamentali di entrambe le tradizioni”.
Il Forum citato da Fennell, e al quale egli stesso prese parte, si tenne a Dublino nel Maggio 1983. Nelle intenzioni degli organizzatori, i partiti che componevano il parlamento irlandese e il partito SDLP (Social Democratic Labour Party) costituiti in assemblea, avrebbero dovuto “studiare” la questione nordirlandese e cercare di riformulare quello che era l’approccio nazionalista ad essa.
Punto di partenza doveva essere, necessariamente, l’accettazione da parte di tutti dell’esistenza di due differenti identità. Solo dopo aver compiuto tale riconoscimento si sarebbe potuta progettare l’Irlanda del futuro, all’interno della quale entrambe le comunità avrebbero potuto convivere nel rispetto reciproco.
Già un documento del 1982, il “British White Paper on Northern Ireland” (La Carta Bianca inglese sull’Irlanda del Nord, ndT), nella sua parte terza intitolata “The Two Identities”, aveva “ufficializzato” l’esistenza delle due identità. Il paragrafo 14 aveva stabilito che: “La maggioranza della popolazione nordirlandese si ritiene britannica. Dichiara di far parte del tessuto sociale e culturale del Regno Unito e lealtà verso la Corona.  Rivendica il mantenimento dell’unione con il resto del Regno Unito”. Il paragrafo 16, invece, aveva riconosciuto che: “C’è, tuttavia, una sostanziale minoranza che si ritiene irlandese, sia in termini identitari che sociali, di tradizioni culturali o di aspirazioni politiche. Gran parte di essa sostiene quei partiti politici che lottano per la riunificazione dell’Irlanda”.
La Carta rappresentava, di per sé, un fatto storico poiché, per la prima volta, l’Inghilterra riconosceva verbalmente –in particolare nei paragrafi 17 e 19 che stabilivano: “Tale differenza in identità e aspirazioni sta al cuore del “problema” nordirlandese. Essa non può essere ignorata o spazzata via.”, e “Data l’importanza di queste due identità e tradizioni in Irlanda del Nord …”– l’identità irlandese in Irlanda del Nord e che la contrapposizione, tra le due specificità identitarie, era “la causa” del conflitto.
Era, per Desmond Fennell, compito del Forum del 1983 e dei nazionalisti irlandesi riconoscere, a loro volta, la Britishness della comunità unionista/lealista dell’Ulster e “proporre una Irlanda federale unita come mezzo per ‘formalizzare il reciproco riconoscimento’ ”.
Già agli inizi degli anni 70’ John Hume, leader dello SDLP, aveva avanzato la proposta di uno stato federale Irlandese capace di accogliere al suo interno entrambe le identità. Aveva affermato, all’epoca, il leader politico: “Il futuro stato irlandese, autonomo e federale, dovrà essere in grado, attraverso i suoi poteri, di proteggere la comunità protestante nordirlandese. […] dare ad essa garanzie riguardo la sua grande paura di essere assorbita da uno stato cattolico a lei ostile. La Britishness dovrà essere tutelata da un Consiglio Anglo-Irlandese, il quale dovrà operare da collegamento istituzionale con l’Inghilterra. […] Lo stato federale dovrà tutelare, anche, la Irishness della minoranza cattolica/nazionalista in Irlanda del Nord dal momento che essa è stata la sola vittima dell’Accordo del 1920 (L’Accordo tra Irlanda e Inghilterra che sancì la divisione dell’isola in due distinte entità politiche, ndA). Una tutela che dovrà svilupparsi non solo in termini economici ma anche in termini che sono essenziali per la coesione di ogni stato. […] Perciò, elemento base di qualsiasi soluzione deve essere il riconoscimento dell’identità della minoranza irlandese”.
Era, tra l’altro, compito del Forum del 1983, in qualità di “assemblea rappresentativa del nazionalismo irlandese”, esporre il proprio progetto di riunificazione dell’Irlanda.
La riunificazione, così come era nell’idea di Fennell, doveva scaturire dal reciproco riconoscimento da parte delle due diverse identità presenti in Irlanda del Nord. Era, questa, una priorità che doveva entrare formalmente nel discorso del nazionalismo irlandese. Nell’eventualità la riunificazione non si fosse realizzata, una operazione del genere, avrebbe comunque potuto fornire “delle basi forti per una manovra flessibile” utile per eventuali negoziati futuri.
Il “Report of the New Ireland Forum” (Rapporto del Forum sulla Nuova Irlanda, ndT), capitolo 4, intitolato “Assessment of the Present Problem” (Valutazione del problema attuale, ndT), nella parte intitolata “Nationalist Identity and Attitudes” (Identità nazionalista ed attitudini, ndT), paragrafo 4.6 indicava che l’obbiettivo primario dei nazionalisti era garantire la sopravvivenza e lo sviluppo della identità irlandese. Un obbiettivo che “ancora oggi in Irlanda del Nord permane, dal momento che i nazionalisti cercano ancora un effettivo riconoscimento della loro identità irlandese e continuano, attraverso i mezzi della politica, a difendere i loro diritti e aspirazioni. Con l’unificazione dell’Irlanda, essi, intendono sviluppare e promuovere una forma di Irishness che dimostri agli unionisti, in maniera convincente e credibile, che il patrimonio ereditario unionista e protestante può esservi incluso e che si possono creare delle istituzioni adatte a tutelare la loro comunità”.
Come riportato nella parte intitolata “Unionist Identity and Attitudes” (Identità unionista e attitudini, ndT), paragrafo 4.9, durante il Forum fu richiesto, alla rappresentanza unionista presente, quali elementi all’interno dell’unionismo nordirlandese si riteneva dovessero essere maggiormente tutelati e preservati. La delegazione indicò tre elementi specifici: la Britishness, il protestantesimo ed i vantaggi economici provenienti dal legame con il Regno Unito.
Nel definire l’identità unionista, il Forum, stabiliva nel paragrafo 4.9.1 che “[…] gli unionisti, si ritengono britannici. Eredi di una lealtà comune e specifica con la Corona inglese. La tradizionale ostilità, da parte dei nazionalisti, verso il governo inglese è vista, dagli unionisti, come incompatibile con la sopravvivenza della loro stessa identità”.
Sulla base di tutti questi elementi l’assemblea doveva indicare quali soluzioni politiche, in termini di organizzazione sociale, culturale ed economica inclusiva delle due differenti realtà, intendeva proporre per portare l’isola alla riunificazione. Soluzioni che dovevano, comunque, essere il risultato di una libera negoziazione, dell’accordo di tutto il popolo irlandese, quindi comprensivo degli abitanti del Nord e della Repubblica e anche il risultato di un processo di riconoscimento di tutti gli errori commessi, nel corso degli anni, dalle parti coinvolte.
Una prima proposta, registrata nel paragrafo 4.15, indicava che “La soluzione al problema storico della questione nordirlandese e alla crisi Anglo-Irlandese richiede, obbligatoriamente, la costituzione di nuove strutture in grado di includere, al loro interno il diritto dei nazionalisti e degli unionisti all’espressione della loro identità politica, simbolica e amministrativa e alla particolarità e stile di vita di entrambe le comunità”.
Il capitolo 5, intitolato “Framework for a New Ireland: Present Realities and Future Requirements” (Struttura della Nuova Irlanda. Realtà attuale e necessità future, ndt), punti 10 e 11, indicava che: “(10) Finora le attitudini dei nazionalisti irlandesi hanno, nella loro espressione pubblica, teso a sottostimare la dimensione completa dell’identità e della specificità unionista. (11) L’approccio di base della politica inglese ha creato conseguenze negative, mostrando noncuranza e disprezzo nei confronti della identità e della specificità nazionalista irlandese. Non si avrà nessun progresso se l’Inghilterra non rivaluterà le proprie posizioni e  riconoscerà le proprie responsabilità”.
Nella sezione dedicata alle “necessità” future venivano stabiliti dei principi sui quali si sarebbe dovuta fondare la struttura dalla quale sarebbe nata la nuova Irlanda. Questi stabilivano, nei punti 4 e 5: “(4) La validità di entrambe le identità, nazionalista ed unionista e l’accettazione di tutti i diritti democratici di ciascun cittadino nell’isola. Entrambe le identità devono avere la possibilità di potersi esprimere in maniera eguale, sicura, duratura e soddisfacente sul piano politico e amministrativo. (5) Una stabilità duratura può trovarsi solo nel contesto di nuove strutture nelle quali non vi sia il pericolo per una tradizione di essere dominata da un’altra, nella quale vi siano eguali diritti ed opportunità per tutti e nella quale vi siano precise garanzie, formali ed effettive, della tutela dei diritti umani fondamentali e dei diritti comuni e culturali di nazionalisti ed unionisti”. A queste strutture spettava il compito di tentare di esaudire la richiesta, da parte dei nazionalisti nordirlandesi, di veder riconosciuta la loro identità irlandese e porre fine alla discriminazione alla quale, per tanti anni, erano stati soggetti.
Anni prima John Hume aveva sostenuto: “Tanti stati democratici sopravvivono perché hanno una identità nella quale il popolo si identifica. L’identità è il perno dell’ordine e della autorità. L’identità della minoranza, in Irlanda del Nord, non è riconosciuta e non detiene alcuna autorità”. L’eguaglianza, nei diritti e nei doveri era alla base del futuro stato democratico, qualunque forma esso prendesse.
Nel novembre del 1984 un documento congiunto –stilato dal Primo Ministro irlandese Garret FitzGerald e dal Primo Ministro britannico Margaret Thatcher– ufficializzò: “Le identità delle due comunità –in maggioranza e in minoranza– presenti in Irlanda del Nord devono essere riconosciute e rispettate. Esse devono riflettersi, in maniera equa per entrambe le comunità, nelle istituzioni nordirlandesi […] Prima di tutto in un governo che sia in grado di restituire ad entrambe le comunità, la speranza che tutti i diritti saranno  garantiti e salvaguardati”. Un riconoscimento che segnava, sempre più, la strada, che avrebbe portato alla firma degli Accordi Anglo-Irlandesi nel 1985.
Per l’allora ministro degli esteri irlandese, Peter Barry, il riconoscimento era solo il primo passo. Durante un’ assemblea dello SDLP affermò: “Abbiamo sentito gli inglesi accettare il principio secondo il quale le due principali tradizioni irlandesi sono eguali e devono essere poste su uno stesso piano. Ora aspettiamo la conferma, nei fatti, alle loro parole”. Era necessario, secondo il ministro, che i governi di Londra e Dublino si accordassero per migliorare le condizioni dei nazionalisti in modo da includere, pienamente, la loro identità e i loro diritti all’interno delle nuove strutture anche nell’eventualità il progetto di riunificazione non andasse in porto. Allo stesso tempo, il riconoscimento della propria identità e dei propri diritti dovevano avere la priorità nelle richieste da parte dei nazionalisti.
I discorsi di Barry lasciavano trasparire come egli relegasse la questione della riunificazione ad una posizione marginale nel programma politico nazionalista. Nella sua opinione, il conflitto nordirlandese “[…] nasce dal fallito tentativo di far coabitare le due identità –irlandese ed inglese– nell’isola. I tentativi del governo inglese, attraverso la divisione politica in due parti, compiuta all’inizio degli anni ‘20, è servita solamente ad intensificare le tensioni esistenti tra le due identità e a concentrare queste tensioni nella parte nord-orientale del paese. In quella piccola area vive molta di quella gente per la quale l’eredità inglese e Protestante riveste molta importanza e le cui radici, in Irlanda, risalgono al XVII secolo. In tutto si parla di 900.000 persone. […] Altri 600.000, tra uomini e donne, vivono nello stesso territorio  e si ritengono irlandesi e parte di una nazione più antica. […] Per 65 anni, questi ultimi, si sono sentiti intrappolati e discriminati all’interno dei confini dello stato nord-irlandese e rifiutati dai tre milioni e mezzo di cittadini della Repubblica che loro consideravano compagni nazionalisti”. Le colpe erano da ricercarsi nel fatto che “[…] le strutture, e i processi che hanno investito l’Irlanda del Nord, hanno finora fallito nel riconoscere, rispettare e riflettere l’identità della comunità nazionalista nel Nord”.
Nell’ambito dei negoziati per l’Accordo Anglo-Irlandese, nel 1985, la strategia adottata dal governo di Dublino fu quella di far propendere verso una soluzione politica che ponesse fine all’incubo che stavano vivendo i nazionalisti nel Nord ed esaudisse il desiderio di vedere riconosciuta, per quanto possibile, la loro identità. Anche, eventualmente, all’interno di una entità politica  ancora legata al Regno Unito. Per agevolare questa strategia, il governo irlandese, rimarcava, ancora una volta, la assoluta necessità che i nazionalisti riconoscessero ufficialmente la Britishness degli unionisti. Westminster, da parte sua, dove garantire il massimo impegno politico per riconoscere, ufficialmente, la presenza dell’identità irlandese nell’Ulster e i diritti ad essa spettanti.
Per Desmond Fennell, questa mossa, poteva dar vita a due possibili opzioni. Una era che gli irlandesi delle Sei Contee –una volta lenito il tremendo senso di dolore causato dalla discriminazione e dalla repressione subite da parte dei politici unionisti, dell’esercito inglese e della polizia nord-irlandese, sentendosi riconosciuti come popolo irlandese nel loro stesso Paese e godendo di diritti eguali ai loro concittadini che rivendicavano una identità britannica– mostrassero disponibilità a discutere ed accordarsi con questi ultimi sul modo migliore in cui governare l’Irlanda del Nord. Fosse anche all’interno di uno stato inteso come parte del Regno Unito. L’altra opzione, invece, vedeva i “britannici” dell’Ulster accettare i loro concittadini che rivendicavano una identità irlandese ma solo dopo la fine della “ribellione armata” rappresentata dal movimento repubblicano e dall’IRA in particolare.
L’Accordo Anglo-Irlandese venne siglato da Margaret Thatcher e Garret Fitzgerald il 15 novembre 1985. Per il mondo unionista nord-irlandese esso era il compimento del tradimento operato da Londra ai loro danni. La paura maggiore si era, secondo il loro punto di vista, alla fine realizzata. Nell’accettare un accordo con il governo irlandese, la Thatcher, aveva sacrificato loro e calpestato la loro Britishness.
Per John Hume “ L’Accordo ci da più di una opportunità di cominciare il processo di riconciliazione. […] I partiti unionisti hanno cercato, in maniera arrogante, di proteggere l’integrità della loro tradizione, la tradizione Protestante, in Irlanda. […] Una società, però, è più ricca grazie alle sue diversità. I miei scontri con i partiti unionisti erano dovuti al fatto che essi cercavano di proteggere la loro tradizione concentrando tutto il potere nelle loro mani e istigando l’odio settario. […]”.
L’Accordo, secondo Fennell e non solo, pur contenendo buone intenzioni e buoni principi sarebbe potuto essere migliore. Se ciò non era stato possibile lo si doveva al fatto che: “Il fallimento del governo irlandese di intraprendere misure decisive affinché i diritti e l’identità degli irlandesi nelle Sei Contee venissero riconosciuti non era dovuto solo alla lentezza o alla mala fede degli inglesi. Era dovuto anche al fallimento, da parte di due governi consecutivi, di richiedere tali misure, di garantirle e di sfruttare politicamente il rifiuto inglese a percorrere la strada di tali misure”.
Nella sua aperta critica, all’approccio che il governo di Dublino aveva tenuto nei confronti dell’Accordo, egli sosteneva che il parlamento aveva concentrato tutti i suoi sforzi su “questioni secondarie” piuttosto che sull’importante Art. 5, il quale indicava le misure per riconoscere e far convivere le due identità e tradizioni. Una priorità che il governo irlandese aveva deciso di non attribuire all’Articolo e che dimostrava lo scarso interesse da parte dell’istituzione nei confronti del problema della violenza e della pacificazione della regione. Dublino si era allontanato da quella strada che era stata tracciata dal Forum del 1983 e che era stata indicata dal nuovo nazionalismo irlandese. Una strada che, invece, Fennell riteneva l’unica possibile da percorrere.
La firma dell’Accordo imponeva al governo irlandese di richiedere, a Londra, la creazione di quelle strutture politiche che avrebbero dovuto riconoscere la comunità etnica irlandese nell’Ulster. Questo era quanto richiesto per pacificare la regione e questo doveva essere il tema centrale di ogni dialogo post-Accordo tra i due stati. Nell’Irlanda del Nord che cercava di uscire dal conflitto era necessario fare in modo che le due comunità potessero gestire le diverse situazioni, fossero esse di matrice politica o amministrativa.
L’esperienza ha dimostrato che, tra comunità in conflitto all’interno di uno stesso territorio, “La soluzione più efficace per riconciliarle è quella di garantire loro autonomia ed eguaglianza. Facendo ciò si riconosce l’esistenza stessa delle comunità, le si chiama per nome e si creano quelle strutture amministrative adatte a permettere loro di esprimersi, simbolicamente e politicamente. Di conseguenza esse, vedendo garantita la dignità personale dei loro membri, riacquistano fiducia e sicurezza e sentendosi accettate all’interno di una società che, finalmente, sentono anche loro manifestano la volontà di cooperare nelle istituzioni al fine di conseguire un bene comune”.
La condivisione di poteri, all’interno del futuro governo nord-irlandese avrebbe potuto, teorizzava Fennell, aprire scenari diversi. Uno indicava che, a seguito della collaborazione nel governo da parte delle due identità, sarebbe potuta scaturire, come naturale evoluzione, l’esigenza del popolo dell’Irlanda del Nord di richiedere ufficialmente che venisse riconosciuta la loro Ulsterness e la creazione di una nuova entità politica  autonoma in grado di rappresentarle totalmente. Un ipotesi del genere avrebbe potuto rappresentare un vantaggio non solo per gli irlandesi delle Sei Contee ma per l’intera nazione, ponendo fine ad un conflitto che aveva creato danni enormi ad una nazione dalle diverse particolarità.
Il governo irlandese, così come la Conferenza Intergovernativa e la popolazione nord-irlandese, avrebbero dovuto persuadere Londra a sostenere tale prospettiva. Qualora questa avesse ritenuto tale richiesta troppo difficile da sostenere, in quanto poteva far intendere l’inizio di uno smembramento del Regno Unito, Dublino avrebbe potuto avanzare una ulteriore proposta: se per gli inglesi era troppo oneroso riuscire a sistemare l’identità degli irlandesi delle Sei Contee allora la Repubblica d’Irlanda si sarebbe assunta il compito, con l’aiuto finanziario dell’Inghilterra, di sistemare l’identità dei “britannici” dell’Ulster. Una proposta, questa, che nasceva dalla filosofia nazionalista che aveva animato il Forum nel 1983.
L’ultimo e, probabilmente, definitivo Accordo tra Irlanda ed Inghilterra per portare la pace nella regione è il documento siglato il 10 aprile 1998. Il documento indicava alcuni principi relativi alla questione identitaria.
Il Good Friday Agreement, così venne chiamato l’Atto, indicava nell’elemento geografico una delle componenti principali dell’identità. Si sanciva che, per diritto di nascita sul suolo irlandese, tutti gli abitanti del Nord e del Sud potessero considerarsi irlandesi. Un passaggio dell’Accordo che non convinceva molti.
Dennis Kennedy, in un contributo all’opera intitolata “Being Irish” (“Essere irlandese”, ndt), edita da Paddy Logue e pubblicata dalla Four Courts Press di Dublino nell’ottobre del 2000, scrisse: “[…]Gli Accordi di Belfast ribadivano la questione geografica, decretando che tutto il popolo irlandese, compreso quello dell’Irlanda del Nord, era irlandese per “diritto di nascita”. […] Si dava, così, vita ad una sorta di “Irishness volontaria” dal momento che, nell’Accordo, il governo irlandese riconosceva ed accettava formalmente che la popolazione del Nord era irlandese solo se lo desiderava e, di conseguenza, non lo era se non lo voleva”.
In seguito alla stipula del Trattato, Dublino, propose emendamenti al fine di modificare gli Articoli 2 e 3 della Costituzione della Repubblica. La modifica che riguardava l’Art. 2 stabiliva che era: “titolo di chiunque sia nato nell’isola d’Irlanda […] quello di dichiararsi parte della nazione irlandese”. La modifica all’Art. 3 invece affermava: “È ferma volontà della nazione irlandese, in armonia ed amicizia, quella di unire tutto il popolo che condivide il territorio dell’isola d’Irlanda, in tutte le sue diverse identità e tradizioni, riconoscendo che una Irlanda unità potrà essere ottenuta solo con metodi pacifici e con il consenso della maggioranza della popolazione, democraticamente espressa da entrambe le giurisdizioni dell’isola”.
Per il governo inglese non vi era alcun problema riguardo le modifiche che il parlamento irlandese intendeva apportare alla Costituzione della Repubblica, dal momento che l’Art. 3 riproponeva il “principio del consenso” già indicato nel 1985.
Kennedy, riguardo le modifiche proposte dal parlamento di Dublino, notava che: “La Costituzione irlandese, rivista in seguito agli Accordi di Belfast, riflette questa dimensione opzionale del considerarsi irlandese. Nella sua forma originale la Costituzione legava, in maniera chiara, la nazione irlandese con il territorio nazionale dell’Irlanda costituito dall’isola nella sua interezza. Ora, invece, l’Art. 2 parla in maniera enfatica del diritto di ogni persona nata nell’isola ad essere parte della nazione irlandese, diritto casualmente esteso a chiunque, per legge, sia autorizzato a considerarsi un cittadino irlandese. La Irishness diventa, in questo modo, un concetto molto vago […]”.
Il problema risiedeva, secondo l’autore, nella politica nazionalista vera nemica del reale significato di Irishness. Era il nazionalismo irlandese ad impedire a “coloro che sono coinvolti nella situazione irlandese” di apprezzare gli aspetti migliori della propria identità. La politica aveva, ormai, ridotto la Irishness ad una mera questione di residenza ignorando tutto quell’universo che, invece, essa comprendeva e rappresentava.
Anche Fennell manteneva un atteggiamento critico e commentava: “La “identità irlandese”, attraverso la quale intendiamo “identità nazionale irlandese”, è diventata un argomento “di moda” nelle chiacchiere mediatiche e nei salotti letterari. Ciò riflette la seria crisi di identità nel quale ci troviamo fin da quando abbiamo perso la stima del nostro essere nazione, per la quale abbiamo vissuto e lavorato durante la prima metà del secolo. […] Il riflettere la crisi, però, non aiuta a risolverla. Una identità nazionale soddisfacente è diversa dalla “identità nazionale” intesa come tema speculativo. È un possedimento, una realtà sperimentata e vissuta, un qualcosa di creato, dato per scontato ed utilizzato. È una immagine, ragionevolmente chiara, accurata ed apprezzabile, della nazione. Una immagine che i suoi membri o la maggior parte di essi portano, inconsciamente, con loro durante la vita di tutti i giorni. Essa è creata dalle parole o dagli atti simbolici di pensatori, poeti, politici e giornalisti che interagiscono con la gente alla ricerca di traguardi nazionali. È il principio comune e distintivo che permette alla nazione di esistere, cooperare e ottenere risultati. Un principio che richiede un contenuto molto più consistente di quello che, invece, considera solo “coloro che si ritengono membri della nazione irlandese e nessun altro”. Esso include caratteristiche positive di tipo linguistico, religioso, costituzionale, territoriale o di parentela o, anche, una combinazione di particolarità che distingua “questa gente” dai suoi vicini e li unisca nell’avere uno soddisfacente auto-stima. Ogni nazione di successo possiede questa combinazione. Senza di essa, una nazione, è come l’Irlanda ora: disunita e a pezzi, paralizzata, incapace di unirsi e di risolvere i problemi. Una nazione dove ognuno pensa per se e molti sono emarginati e rifiutati. Coloro che, con tono di sincerità, affermano “Io e i miei amici non sentiamo il bisogno di una immagine comune di identità irlandese perché stiamo bene anche senza di essa” non cambiano quello che, invece, è il bisogno oggettivo. Semplicemente se ne infischiano”. “Fondamentalmente”, continuava Fennell, “spetta alla nostra leadership intellettuale e politica accettare ciò che, storicamente, divide noi dai nostri vicini: la nostra battaglia per la libertà e il nostro cattolicesimo. O altrimenti creare una nuova caratteristica nazionale che noi possiamo realmente accettare. Potrebbero, anche, optare alternativamente per una combinazione di tali azioni. I Leaders, però, non fanno niente di tutto questo  e noi –non individualmente ma la nazione nella sua collettività– ci scontriamo e perdiamo il rispetto da parte del mondo. Quel rispetto di cui abbiamo goduto durante la prima metà di questo secolo e per decadi prima”.
Gli irlandesi dovevano prendere coscienza della loro identità e riappropriarsi dell’immagine del loro Paese. Solo così gli avrebbero garantito un ruolo, da nazione moderna, in Europa.
Era necessario che il Paese costruisse un “progetto”, come Fennell anni prima aveva proposto durante un dibattito, allo University College di Galway. Un “progetto nazionale” quale alternativa terminologica e concettuale rispetto alla “identità nazionale”. Un progetto che la nazione doveva cercare di realizzare, “[…] In una nazione –così come in una persona– l’identità si forma nella scelta e nella realizzazione di un progetto di vita. Si sbaglia chi afferma che, a parte qualche intellettuale, nessun altro da importanza alla nostra identità nazionale. […] Nel corso di questi ultimi venti anni molti giornalisti, politici e uomini d’affari si sono prodigati nel dirci che la nazione irlandese non era né gaelica né cattolica e che non era, storicamente, caratterizzata da una secolare lotta di liberazione, contro l’Inghilterra. Questa “gente molto laboriosa” considerava importante che noi negassimo di essere una nazione gaelica, cattolica e caratterizzata da una lunga lotta di liberazione che doveva farci sentire fieri di noi stessi. Facendo questo dimostravano che la nostra identità nazionale –che, in effetti, significa la nostra idea di identità– era, invece, molto importante. Sebbene molti siano pronti a dimostrare questa importanza, risulta difficile, ora che l’identità nazionale è stata demolita e non sostituita, entrare in aperte discussioni sul problema che questo fatto ha creato. Il fatto che noi non pensiamo più di essere, o non ci sentiamo più, gaelici, cattolici, contraddistinti da una lunga lotta di liberazione e il non aver rimpiazzato l’immagine che avevamo di noi stessi con una equivalente, ci lascia spogli di qualcosa di cui, invece, ogni nazione ha bisogno e che molte possiedono. Nessuno si sorprende se oggi tutti parlano della “depressione” di questo paese e della “paralisi” del governo e delle istituzioni. È proprio in queste circostanze che si ha difficoltà ad intraprendere dibattiti o elaborare pensieri su qualcosa di apparentemente lontano, astratto e statico come “identità nazionale” o il concetto che abbiamo di noi stessi”.
Il “progetto nazionale” doveva essere un qualcosa di dinamico, capace di suggerire obbiettivi ed azioni. Il parlarne significava andare incontro alle necessità di un’epoca nel quale il senso di paralisi incombeva sulla gente e il Paese non aveva uno “obbiettivo nazionale”. Così, mentre il discutere di identità pareva “minacciare un richiamo a vecchi e noiosi argomenti e aggettivi”, il parlare di “progetto” indicava il futuro. Chiunque aveva a cuore l’identità nazionale poteva e doveva partecipare al dibattito sul “progetto nazionale”.
Negli anni successivi, agli scritti di Fennell, i negoziati di pace tra le due parti cercarono, attraverso gli strumenti della diplomazia, di elaborare una società equa e rispettosa delle due identità. Le delegazioni incaricate di produrre tale elaborazione, che diedero vita successivamente agli Accordi del 1998, partirono dal principio che si dovesse, fondamentalmente, rinunciare a posizioni di intransigenza. Smussare gli angoli, per un bene superiore e comune, non significava necessariamente svendere o rinunciare alla propria identità. Il Documento del 1998 dimostrò che vi era disponibilità, da parte delle due identità, a riconoscersi, dialogare, interagire. Così come quello del 1985, anche questo Accordo non riusciva ad accontentare tutti. Era, però, la base di partenza della quale tutti, le due identità nordirlandesi, le stesse Irlanda ed Inghilterra e la comunità internazionale avevano bisogno.
La storia dimostra che l’identità non è valore assoluto e intoccabile. Essa parte da una origine e muta, nel corso del tempo, con il mutare della società. I negoziati anglo-irlandesi hanno dimostrato che è possibile concepire una società futura basata sull’incontro, all’interno dello stesso territorio, tra diverse identità piuttosto che sullo scontro finalizzato al reciproco annientamento.
Questo importante pezzo di storia della diplomazia e di storia dell’Europa moderna servirà, probabilmente, da esempio per altre realtà, europee e non, che vivono o hanno vissuto simili situazioni di conflitto.
Le componenti delle due comunità, aperte al dialogo e al confronto, guardano al futuro con quella speranza  e fiducia che non hanno mai avuto nel passato recente. Probabilmente, opinione personale di chi scrive e suscettibile di smentita, la strada che porta al rafforzamento di quella che è stata definita l’identità dell’Ulster risulterà quella maggiormente percorribile, almeno nel breve termine.
Starà alla coscienza delle popolazione nordirlandese la scelta di modellare l’identità dell’Ulster secondo le nuove specificità che la compongono e di conseguenza rafforzarla, oppure continuare sul terreno della divisione. L’estremismo rimane, in attesa, dietro l’angolo.

BIBLIOGRAFIA:
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Irlanda. La sua storia, (A cura di) Francesco Castronovo, Demetra, 2001, Verona.
Hennessey, Thomas, A History of Northern Ireland 1920-1996, Gill & MacMillan, 1997, Dublin.
Fennell, Desmond, Heresy. The Battle of Ideas in Modern Ireland, The Black Staff Press, 1993, Belfast.
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http://www.fortnight.org/barry421.html