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Cari filosofi, ritornate alla verità

di Lorenzo Fazzini - 31/08/2007

Un pamphlet del docente americano Harry G. Frankfurt attacca duramente la cultura postmoderna che elude il senso del vero

«La gente ama ciò che possa aiutarla a vivere e a diventare se stessa in modo più pieno». Ma nell’attuale sfiducia dei pensatori verso il problema del giusto e dello sbagliato si nasconde solo l’insidiosa dittatura del relativismo

Possiamo vivere senza preoccuparci della verità? Impossibile. Anzi, per restare nel campo semantico del vero e del falso, a chi afferma che, dopo tutto, «la verità non è poi così importante», qualcuno risponde che «questo sarebbe un errore deplorabile». A sostenerlo è Harry G. Frankfurt, docente emerito di Filosofia alla Princeton University, di cui Rizzoli manda in libreria il saggio filosofico Il piccolo libro della verità. Un testo breve nelle dimensioni (90 pagine tascabili, euro 9), anche perché Frankfurt a tali proporzioni è abituato: ancora più ridotto fu il suo bestseller On Bullshit, che in pochi mesi registrò 400 mila copie negli Stati Uniti. Orbene, dopo qualche anno, Frankfurt è tornato - l'edizione originale è del 2006 - ad affrontare il tema della menzogna in via «costruens«, occupandosi della verità. Con piglio decisamente anticonformista: come affermato in un'intervista al New York Times, Frankfurt scrive un saggio che è pure un pamphlet contro i postmoderni. «Insegnavo a Yale - dichiarò il filosofo al quotidiano americano - che un tempo fu un centro della teoria letteraria postmoderna. C'era Derrida, c'era Paul de Man. All'inizio scrissi il mio saggio sulle menzogne a Yale, e un professore di fisica mi disse che era appropriato che quel saggio fosse scritto a Yale perché, dopo tutto, sosteneva lui, Yale è la capitale mondiale delle menzogne». E nel suo breve scritto, in effetti, Frankfurt attacca con forza i postmoderni: «Numerosi scettici e cinici riguardo all'importanza della verità (…) si trovano tra gli autori da best seller o tra i vincitori dei maggiori premi, tra coloro che scrivono per i giornali più quotati, e pure tra rispettati storici, biografi, memorialisti, teorici della letteratura, scrittori ed anche tra i filosofi». La sferzata del nostro è durissima verso i «minimalisti« del senso: «Questi svergognati nemici del senso comune - i membri di un certo emblematico sottogruppo di loro si fanno chiamare "postmoderni" - in maniera ribelle e autosoddisfatta negano che la verità possegga una qualsiasi realtà oggettiva». E invece per il pensatore di Princeton la verità è questione ineludibile e necessaria, sia a livello sociale che personale. E non è un caso che il passaggio più interessante del saggio di Frankfurt sia laddove analizza la comprensione spinoziana della verità:  l'autore del Piccolo libro annota, sulla scia di Spinoza, che la gente «ama ciò che essa crede la aiuti a continuare la propria esistenza e a diventare più pienamente se stessa». Detto altrimenti, la sfiducia postmoderna rispetto al vero viene vinta dalla «debolezza» dell'amore per la verità: «Praticamente tutti noi amiamo la verità, sia che siamo coscienti di farlo sia che non lo siamo». Certo, il contributo di Frankfurt - inficiato dalla brevità di scrittura - non rappresenta un lavoro epocale per la storia della filosofia. Ma gli va ascritto il merito di aver proposto, con un testo accessibile a tutti, il problema filosofico della verità, della necessità di riporre il nodo del vero e del falso, del giusto e dello sbagliato. In un panorama filosofico che troppo spesso sembra un laboratorio scientifico, dove ciascun pensatore pare concentrato sulla minuscola monade della propria specialità e resta alieno dalla comprensione di un dato generale, merita un plauso chi - forse troppo «all'americana», con tratto leggero e talvolta un po' generico - ripropone il quesito che fu di Ponzio Pilato: «Quid est veritas?».