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Mauritius: laguna blu vendesi

di Marina Zenobio - 31/08/2007


 

Anche l'isola di Mauritius, 1.860 chilometri quadrati di terra che emerge dall'Oceano indiano a 900 chilometri est dal Madagascar, deve fare i conti con quella che ormai viene passata come una «legge» inevitabile: attirare economici investitori stranieri. «Adattarsi alla globalizzazione o perire» è il motto con cui Arvin Boolell, ministro dell'agricoltura e della pesca della piccola repubblica divenuta indipendente dalla Gran Bretagna nel 1968, sta promuovendo la Aquatic business activities bill, legge sulle attività economiche acquatiche. Il progetto di legge è attualmente in discussione al parlamento di Port Louis; se sarà approvato, permetterà di dare in concessione a investitori privati - con una partecipazione straniera che può arrivare all'80% - buona parte delle coste e le fantastiche lagune dalle acque calme e azzurre che sono la principale attrazione turistica dell'isola. Le concessioni, di durata trentennale, saranno rilasciate per la costruzione di moli per sbarco e imbarco di persone e merci, e per progetti di acquacoltura che, secondo Boolell, porterebbero nelle casse del governo 25 milioni di dollari in investimenti e creerebbero 5.000 posti di lavoro. Solo che per i prossimi trent'anni parte del territorio nazionale sarebbe off limits per i mauriziani.
Ambientalisti, pescatori e buona parte della popolazione locale, che dal mare trae sostentamento, si stanno organizzando per impedire al governo di approvare una legge che renderebbe assai incerto il futuro ambientale e sociale di Mauritius. Preoccupazioni di cui si sta facendo portavoce Jack Bizlall, responsabile di Kalipso, la rete che riunisce alcune ong dell'isola. «Intere aree marine, le lagune, le terre e le acque prossime alla costa - si legge in un comunicato della rete - saranno a uso esclusivo di imprese private che le renderanno inaccessibili alla popolazione locale». Il progetto di legge in discussione prevede, infatti, che qualsiasi persona entri senza permesso nelle aree date in concessione rischierà un anno di prigione o una multa fino a 3.125 dollari.
Già sono stati individuati 20 siti potenziali per l'acquicoltura e c'è la fila di investitori che si sono dichiarati molto interessati al progetto. Preoccupati anche gli ambientalisti mauriziani, rappresentati da Vassen Kauppaymothoo, per le conseguenze negative che l'acquacoltura può avere sull'ambiente. Alle Mauritius non c'è nessuna legge che preveda dei controlli, per esempio, su come sarà nutrito il pesce allevato, e Kauppaymothoo - considerando che l'obiettivo del progetto è di arrivare ad una produzione annuale pari a 29-30 mila tonnellate di pesce da esportare - teme che le acque costiere si riempiranno di residui di farine di origine animale, prodotti chimici e altre sostanze che contamineranno l'acqua dell'oceano e la laguna, causando nuove malattie e attirando a riva gli squali.
A difesa del progetto, Boolell insiste sul fatto che lo sviluppo dell'acquacoltura è parte della strategia ufficiale per accelerare la crescita economica del paese e raddoppiare, entro sette anni, il Pil pro-capite che attualmente, secondo stime governative, gira intorno ai 5.400 euro l'anno.
Ma i pescatori, che già vengono scacciati da molte spiagge e zone lagunari dai poliziotti privati degli hotel - costruiti o in costruzione, e che stanno divorando sempre più costa per arrivare in tempi brevi ad attirare sull'isola 2 milioni di turisti l'anno - temono il peggio. Ashok Subron, oceanografo e ambientalista, Kalipso e a Lalit, organizzazione sociale a cui aderiscono anche comunità di pescatori, stanno provando ad azzardare una proposta: se davvero il governo ritiene che questo progetto sia utile per lo sviluppo del paese, gli impianti di acquacoltura - mettendo a punto l'attività in forma ecosostenibile - potrebbero magari rimanere nelle mani dei pescatori locali.