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Droga: il potere nega l'autocontrollo per esercitare sugli uomini il suo dominio

di Umberto Galimberti - 01/09/2007

I diavoli tentatori
L’immagine di chi spaccia e di chi compra

Due pesi e due misure: chi vende le sostanze "commette un reato" chi le compra è una "vittima
Il potere nega l'autocontrollo per esercitare sugli uomini il suo dominio
Un problema che va affrontato a livello di "storia delle idee", con uno sguardo filosofico

Negli anni Settanta, la psichiatria incominciò a interrogarsi non tanto sui «metodi» più idonei di cura, quanto sui «fondamenti» teorici che giustificavano quei metodi. Questo genere di interrogazioni suscitò reazioni ostili da parte della città, sempre affamata di soluzioni e mai di problemi, di risposte e mai di domande. A Socrate che, inaugurando la filosofia, aveva messo in circolazione una serie di domande, la città riservò la cicuta, una droga (phármakon) che, nel momento in cui veniva somministrata dallo Stato, diventava legale e contribuiva all´ordine.
Resta infatti da dimostrare che le droghe lecite, quelle autorizzate dallo Stato: alcol e tabacco, per non parlare di quella droga chiamata «gioco», mietono meno vittime di quelle illecite: hashish, ecstasy, eroina, cocaina, proibite dallo Stato.
In questa strana incongruenza sembra si annidi non solo una sorta di inganno ideologico che maschera quanto vi è di inconfessabile nell´intenzione politica, ma anche quella riduzione di libertà che l´uomo sperimenta su di sé non per effetto delle «strategie del potere» (cosa che gli uomini conoscono dall´inizio della loro storia), ma per effetto delle «persuasioni indotte dal sapere», rispetto a cui, come ci ricorda Foucault, le strategie del potere, per quanto accanite e brutali, sono povera cosa.
Con ciò non intendiamo puntare l´indice sulle delibere di questo o quel governo, ma focalizzare un passaggio storico, avvenuto in epoca illuministica, quando alla visione «mitico-religiosa» del mondo è subentrata quella «scientifica» e, nella fattispecie, quella «medica».
E´ noto che l´uomo non ha mai abitato il mondo, ma sempre e solo la descrizione che le varie epoche storiche si sono incaricate di dare al mondo. Altro è vivere in un mondo i cui riferimenti sono mitici, altro in un mondo i cui riferimenti sono scientifici.
Nella descrizione «mitico-religiosa» del mondo c´era più considerazione per l´uomo non ancora ridotto, come nella descrizione scientifica del mondo, a semplice «organismo». Dicendo questo non si vuol assolvere nessuna delle crudeltà che in nome di Dio sono state inflitte agli uomini, ma semplicemente dire che sotto ogni crudeltà e punizione e tortura, fino al supplizio della morte, c´era sottesa l´idea che l´uomo è libero di fare sia il bene sia il male e, proprio per ridurre questa riconosciuta libertà, si rendevano necessarie crudeltà, punizioni e torture, fino al supplizio della morte.
La scienza non riconosce all´uomo la sua libertà, e questo non perché è giunta a scoperte incontestabili, ma perché non rientra nel suo metodo, regolato dal determinismo della ragione matematica, prendere le mosse da una simile ipotesi. Per queste sue esigenze di metodo, la scienza, a partire da Cartesio, fu costretta a trasformare il «corpo» in «organismo», e a indagare l´organismo come il fisico indaga un campo di forze.
Per effetto di questa oggettivazione, l´uomo è diventato una cosa, la cui espressione è leggibile nelle forze che la determinano. E come un ponte costruito per sostenere cinque tonnellate è impensabile che «si impegni» a reggerne dieci, così l´uomo, ridotto a organismo, è impensabile che «si impegni» a reggere una dose di droga. Una volta che si prescinde dal concetto di libertà si giunge al misconoscimento delle capacità di «autocontrollo» dell´uomo, che inevitabilmente porta, su base scientifica, al «controllo esterno» dell´uomo ridotto a cosa.
Nella visione mitico-religiosa l´uomo è visto come un attore responsabile delle sue azioni, che possono essere insidiate dalla «tentazione», a cui l´individuo può resistere o soccombere. Non c´è visione mitico-religiosa che non prenda le mosse da una tentazione originaria in cui, insieme alle catastrofi previste come conseguenza del cedimento alla tentazione, c´è una celebrazione della libertà dell´uomo. Nella visione scientifica del mondo l´uomo è un organismo che non agisce liberamente, ma si esprime come risultato di una «dinamica di forze» individuabili a un´attenta analisi psicologica se non addirittura biologica.
In questo scenario, dove il concetto di «tentazione» che si offre alla libertà dell´individuo è stato scientificamente tradotto in quello di «forza pulsionale» che agisce alle spalle dell´individuo, è ovvio che per il contenimento di quest´ultima non ci si potrà affidare all´autocontrollo che l´immagine della tentazione evoca, ma al controllo esterno evocato dall´immagine di forza pulsionale che agisce in un soggetto al di là della sua libertà.
Ma allora spontanea sorge la domanda: la droga è mortale perché più forte della libertà del soggetto, o perché la visione scientifica dell´uomo, non ospitando la categoria della libertà ma solo quella della dinamica delle forze, visualizza la droga come una forza a cui nulla si oppone se non una forza esterna superiore e contraria?
Come ci ricorda Thomas Szasz ne Il mito della droga (Feltrinelli) altra cosa è infatti vedere nel drogato una «persona» che liberamente cede a una tentazione, altro è vederlo come una «vittima» che non può non soccombere a una forza irresistibile. La visione mitico-religiosa dell´uomo riconosce al drogato la libertà, dal cui cattivo uso scende la punizione, anche nelle forme più crudeli che la storia testimonia. La visione scientifica dell´uomo, invece, è disposta a restituire al drogato l´innocenza (è una vittima), solo perché prima non gli ha riconosciuto la libertà di autodeterminarsi e di autocontrollarsi, avendo visualizzato la droga non come una «tentazione», ma come una «forza irresistibile».
Analoga sorte spetta allo spacciatore. In uno scenario mitico-religioso lo spacciatore occupa il posto del diavolo tentatore o di una Eva tentatrice che mette alla prova Adamo. «Mettere alla prova» non è di per sé qualcosa di diabolico o di esecrabile, ma è semplicemente il passaggio necessario richiesto per uscire dall´infanzia attraverso l´esercizio della libertà. Se aboliamo il concetto di tentazione che sottintende quello di libertà, lo spacciatore è colui che innesca la «forza irresistibile» a cui la vittima non può che cedere. E allora nasce quella politica a due pesi e a due misure per cui il tentatore non «mette alla prova», ma «commette un reato», e il tentato che cede non è un «colpevole», ma gode dell´innocenza della «vittima».
I risultati di questa visione scientifica dell´uomo sono visibili in tutte le strade della nostra città, dove la prostituta in quanto «tentatrice» è perseguitata dalla legge, mentre il cliente, in quanto cede a una forza a cui non può resistere, è «innocente» o al massimo, indipendentemente dalla sua volontà, è «disturbato nella sua condotta» e quindi di nuovo innocente. Lo stesso dicasi per il drogato che non può fare a meno di comportarsi come fa, e quindi è innocente, mentre lo spacciatore, in quanto tentatore, è un criminale diabolico.
Ma perché si mantiene la categoria mitico-religiosa della «tentazione» per lo spacciatore e per la prostituta, e si adotta invece la categoria psico-biologica della «forza irresistibile» per il drogato e il cliente della prostituta? Per sottrarre al drogato e al cliente anche la sola ipotesi di avere a disposizione la libertà dell´«autocontrollo», perché solo persuadendo gli uomini che non si possono autocontrollare, si può esercitare su di loro il «controllo esterno», a cui il potere per sua natura tende.
E così, concedendo a spacciatori e prostitute la prerogativa della «libertà», è possibile adottare nei loro confronti tutta quella serie di controlli, punizioni e reclusioni di cui la storia mitico-religiosa offre una ricca documentazione, mentre, adottando per il drogato e per il cliente della prostituta la categoria scientifica della «forza irresistibile», da cui scaturisce la loro innocenza, è possibile applicare ad essi, con la benedizione della scienza medica, quel controllo esterno che è il dovere della cura.
Con due pesi e due misure, utilizzando insieme due visioni del mondo, quella mitico-religiosa e quella scientifica tra loro antitetiche, il potere raggiunge in entrambi i casi il suo scopo che è quello di negare l´autocontrollo, come prerogativa inalienabile dell´uomo, per esercitare sugli uomini il suo controllo.
Il problema della droga non può essere affrontato solo a livello sociologico dove, tra test e campionature, lo sguardo resta in superficie senza mai azzardare uno strato di profondità; e neppure a livello psicoanalitico perché, non essendo ancora riuscita a emanciparsi dal seno materno, la psicoanalisi vede latte succhiato dal seno sia nel bicchiere dell´alcolista, sia nella siringa del drogato.
Il problema della droga va affrontato anzitutto a livello di «storia delle idee», quindi con uno sguardo filosofico, che può sembrare inutile ed essere trascurato per negligenza, per pigrizia o per una certa fatica che tutti avvertiamo di fronte all´astrattezza, ma non può essere evitato, se non si vuol scambiare per «razionale» ciò che è semplicemente conseguente a una determinata visione del mondo, dalla cui insidia non ci difenderà mai la nostra ignoranza.