Quando la scienza fa confusione è una perdita per tutti. Come con l’esternazione, fatta da Capalbio, da Umberto Veronesi sul modello unico verso cui va l’umanità. Si sarebbe tentati di non parlarne, per non aumentare i danni. Invece si deve correre il rischio, ed esercitarsi puntigliosamente sulle parole, prima che queste finiscano col perdere ogni senso.
Dice Veronesi che le differenze tra uomo e donna si attenuano perché l’uomo non deve più lottare per la sopravvivenza, e quindi produce meno ormoni maschili e la donna, entrando in ruoli tradizionalmente maschili, meno estrogeni. Ma quest’immagine riduce l’intera storia alla sola modernità occidentale, interpretata in chiave pop, contrapposta al Paleolitico: la clava contro la Smart, troppo poco.
E chi lo ha detto a Veronesi che l’uomo moderno non deve lottare per la sopravvivenza? E i milioni di morti per fame e per guerre? Per incidenti stradali non di drogati ubriachi, ma di poveri diavoli che corrono verso il lavoro? Anche gli incidenti sul lavoro, compreso il più grave, quello di una vita che il lavoro non realizza, ma a volte umilia?
Le tecniche di sopravvivenza si modificano con le culture e le epoche, ma l’uomo non è uscito da quella lotta. Così come da sempre vi sono gruppi di privilegiati che ne sono esenti, ma che non rappresentano, oggi come ieri, la totalità, e neppure la maggioranza dell’umanità.
La stessa riduzione dell’umano all’andamento dei suoi ormoni, Veronesi la applica alla donna: nuovi ruoli, quindi meno estrogeni. Ma madre Coraggio, o la madre dei Gracchi, o Cristina di Svezia, come andavano a estrogeni? La vita delle donne prima di oggi non doveva tenere conto, e molto duramente, di una sopravvivenza non ancora giocata nei ruoli aziendali, ma con prove altrettanto ed anche più dure? Maschili, direbbe forse la vignettistica storica del professore, se non fosse che il femminile ha da sempre posseduto anche l’altro lato, quello pronto a durezze maschili, così come l’uomo da sempre conosce, anche dentro di sé, la tenerezza del femminile. Tanto che il fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, e tanti altri scienziati, già dalla fine dell’800, e dal 900, parlavano della “fondamentale bisessualità umana”, vedendovi però non una tendenza progressiva dell’evoluzione ma un dato strutturale, ed archetipico, di totalità, di completezza affettiva e simbolica dell’uomo, declinata poi nella sessualità nei due modi, maschile e femminile.
La scienza, insomma, ha visto da sempre una “parità”, nel senso di una completezza di entrambi i sessi, senza bisogno di pagarla al prezzo (di cui Veronesi parla con la leggerezza di chi la vita se l’è comunque goduta ed ora è al di là di queste miserie), di una bisessualità intesa come completa liquidazione della libido, dell’attrattiva, e della spinta del desiderio eterosessuale.
Senza dir nulla delle conseguenze che l’accantonamento di questa formidabile forza motrice della natura umana, l’attrattiva sessuale, produce sia dal punto di vista psichico, moltiplicando le depressioni, sia dal punto di vista fisico, aprendo la strada a peggiori guai. Un osservatorio che (non a Capalbio, ma in via Ripamonti, Milano), Umberto Veronesi ha più a portata di mano di chiunque altro.

da “Tempi”, 30 agosto 2007, www.tempi.it